sabato 18 gennaio 2025

LEVANTINA!! (di Bruno Demasi)

- Che limbìci e limbìci – sbottò come una furia il barbiere verso i pochi clienti ancora presenti quasi a mezzogiorno dentro il salone – questo è le-van- te e qua fra poco ballano pure le sedie se non stiamo attenti!

    Le folate crescevano rapidamente di intensità mulinando sulla grande piazza e facendo volare tutto ciò che incontravano, terra compresa, mentre già si avvertivano le prime raffiche di pioggia che sbattevano a sprazzi sui vetri della porta.

- Prepariamoci minimo minimo a due giorni fitti di levantina, se tutto va bene – continuò il barbiere dirigendo la voce agli orecchi sordastri di don Saruzzo Capone, che, per essere, era alto di statura,ma magro e filiforme come una salamida , rintanato nella grande poltrona del barbiere e coperto da una tonga a strisce, aveva quasi l’aria di un ragazzo se non fosse per i baffoni e il pizzetto che incorniciavano il suo viso.

     Per la sua somiglianza con il nuovo re molti in paese avevano preso l’abitudine di chiamarlo “ Il Principino”, anche se aveva superato abbondantemente i sessanta anni, e di conseguenza la moglie, Donna Gaetanina , gigantesca e pingue come una balena, assunse a sua volta il nomignolo di “Elena”, come la regina. Quando uscivano insieme, lui scompariva al suo fianco anche se la sposa faceva di tutto per non apparire bisesta, non usava cappelli, evitava vesti larghe e appariscenti, camminava attaccata all’esilissimo braccio del marito, trattenendo pancia e seno in un continuo sforzo che la rendeva sempre  rossa in faccia coma una paparina.

    Appena Don Saruzzo ebbe finito, qualcuno dei presenti si offrì di accompagnarlo a casa a causa del vento che intanto era diventato fortissimo e faceva volare già qualche ceramida sulle teste degli incauti passanti, ma, essendo oltremodo orgoglioso, l’uomo rifiutò, prese il bastoncello ed aprì la porta per uscire. Fu un attimo: venne immediatamente risucchiato sulla piazza come un filo di paglia e andò di corsa a fermarsi con entrambe le mani alzate e con la faccia spiccicata contro il basamento del monumento a Rocco De Zerbi perdendo cappello e bastone, poi cominciò a ferriare come un pupo di pezza per la piazza e la percorse per decine di metri a zig zag senza riuscire a fermarsi, fino a quando una folata più intensa delle altre non lo sollevò quasi da terra spedendolo diritto verso la vasca della fontana centrale. E ci sarebbe arrivato subito se non fosse stato preso al volo dal provvidenziale arrivo del corpulento Coscimo Vagliano che, oltre a bloccarlo , provvide poi, tenendolo forte per le spalle, ad accompagnarlo fino al portone di casa, che si apriva su una stradella laterale a pochi metri dalla piazza.

    La levantina , come prevedeva il barbiere, durò quasi due giorni, durante i quali pochissimi uscirono di casa, e lasciò il macello sui tetti, per le strade e nelle piazze. Nel pomeriggio del terzo giorno si radunò un capannello di persone del partito dei Bianchi sotto il municipio reclamando a gran voce che si affacciasse il sindaco, che in quel periodo apparteneva al partito dei Rossi. Dopo un po’ il sindaco si affacciò mentre molte voci si alzavano contro di lui, mostrando il finimondo che aveva combinato la levantina:

- Che c’entra il municipio con il vento ? – urlò l’uomo dal balcone – Che pretendevate che mettessimo uno stuppagghio dove sapete voi al Levante?

- Vogliamo sapere cosa intende fare il comune per riparare i danni nel paese e nelle campagne, non incominciate col solito spunto all’aceto, sindaco! – disse il portavoce dei Bianchi – e vedete cosa dovete fare per la sicurezza dei cittadini che quando ci sono giornate di levantina in queste piazze sembrano peggio del ciciri al crivo e rischiano la vita!

    Il sindaco per non far finire la protesta a feto garantì che già dai giorni successivi si sarebbero presi tutti i provvedimenti del caso, ma gli animi non si calmarono e il capannello dei Bianchi salì al completo nel circolo dei gnuri per continuare la discussione. Seduto su un’enorme poltrona dietro il tavolo del biliardo, c’era don Saruzzo che era intento a leggere il giornale e sentiva e non sentiva le voci concitate: nessuno si era accorto di lui. A un tratto però il più accanito dei Bianchi, cominciò a battere nervosamente e ripetutamente il pugno sul biliardo per imporre il silenzio:

- Siete d’accordo se chiediamo al sindaco di provvedere la piazza di due lunghi passamano di ferro per permettere alla gente di tenersi quando ci sono le levantine?

- Ma quali passamano… – obiettò timidamente qualcuno – e che siamo a Trieste? Vogliamo rovinare la piazza più bella della Piana di Gioia Tauro?

- Che rovinare e rovinare … ? – ribattè l’uomo infuocato – non si rovina niente, ma si dà la possibilità alla gente anziana di passeggiare in piazza tenendosi se ha ferriamenti di testa e, quando imperversa il vento, com’è accaduto in questi giorni, serve a impedire che qualcuno di corporatura leggera 'nsamadio venga fatto volare via, come stava succedendo avantieri al povero don Saruzzo Capone che pareva un pilorgio…

- Il pilorgio di tua sorella! – esclamò ad alta voce sentendo urlare il suo nome don Saruzzo , che, appartenendo al partito dei Rossi, vedeva quella gente come il fumo negli occhi.

- Ah, qui siete , don Saruzzo? – riprese il portavoce dei Bianchi – scusate, ma non vi avevo visto e non vi volevo offendere, volevo solo dire che il primo giorno di levantina per poco in piazza non avete fatto la fine del surici nella cciappa se non fosse intervenuto qualcuno a salvarvi…

- E io ti dico invece che se continui a dire queste minchiate - interruppe don Saruzzo – la fine del surici la fai tu perché ti sparo nella mpigna e poi me ne vado in galera contento e là dentro me ne fotto una volta per sempre delle levantine!

    Gli animi si riscaldarono e tutti incominciarono a fare voci : chi per un motivo, chi per l’altro e chi non capiva bene cosa stesse accadendo urlava più degli altri.

. . .

- Catinazzo !! – urlò Donna Gaetanina al marito il giorno dopo – ancora non sei contento delle brutte figure che stiamo facendo? Te ne vai a ferriare al vento di levante quando lo sai che ti può buttare a terra pure un soffio per stutare una candela e mi hanno detto che ora ti metti pure a minazzare di sparare nella fronte a quelli del partito dei Bianchi…?
 
   Il Comune cercò di affrontare in qualche modo i danni terribili della levantina che aveva fatto cadere un numero altissimo di ulivi e di altri alberi anche in paese, ma il partito dei Bianchi insisteva per i passamano di ferro da installare sulla piazza grande e già tutti i forgiari del paese stavano con le orecchie tese, pronti ad accaparrarsi il lavoro. Alla fine di un lungo tira e molla si giunse alla mediazione di costruire un solo passamano in metà piazza e il sindaco capitolò. Il lavoro venne subito avviato e completato in meno di una settimana . E quando una domenica mattina fu inaugurato il lungo passamano in ferro che al centro della piazza collegava il monumento a Rocco De Zerbi con la fontana centrale, la gente in un solo attimo lo battezzò subito come “ Passamano del Principino”.

    I Bianchi erano al settimo cielo, nessuno però si avvicinava al manufatto neanche per sfiorarlo e piano piano da “Passamano del Principino” il nome chiamò più direttamente in causa don Saruzzo , che in pochi giorni divenne “ Il Principino Passamano”, suscitando battute e risate a non finire.

- Vogliamo vedere alla prima levantina, quando il Principino Passamano andrà a tenersi, se il lavoro è stato fatto a regola d’arte dal sindaco – sparrasiavano dovunque ad alta voce i Bianchi.

- Possono venire mille levantine, anche mbiscate con limbìci, grecale e scirocco – sentenziavano i Rossi – ormai il ferro non lo scasa più nessuno e non solo il Principino Passamano, ma tutti coloro che ne hanno bisogno si possono tenere quanto vogliono…!

    Tacitamente tutti aspettavano il collaudo dell’opera che nella fantasia popolare Don Saruzzo avrebbe dovuto fare proprio in un giorno di vento forte, ma la levantina tardava ad arrivare e quando egli usciva in piazza per farsi due passi si sentiva centinaia di occhi addosso ed evitava accuratamente di avvicinarsi al passamano, che anche di domenica nei momenti di maggiore affollamento della piazza faceva sempre il vuoto intorno a sé.

- Soldi perduti! – diceva ormai la gente – Hanno diviso in due la nostra bella piazza con questo ferro rruggiatizzo e nessuno va a tenersi, manco il Principino Passamano per cui è stato fatto!

    Queste parole giungevano immancabilmente all’orecchio di Donna Gaetanina che ormai sputava veleno e, quando era costretta ad attraversare la piazza per recarsi in chiesa, camminava rasente i muri nel lato più distante dal manufatto di ferro al centro della piazza che faceva finta accuratamente di non vedere, ma c’era sempre qualche amica che si spassava, incontrandola:

- Che si dice, Donna Gaetanina, sembra che oggi il levante cominci a soffiare a leggio…fanno bene i mariti a restare chiusi nelle case, è vero? Se non altro non si coprono di purbarata…

    La donna incassava queste battute con un mezzo sorriso e continuava a camminare, ma si sentiva lo stomaco pieno di fiele: non era cosa…!

    Un sabato pomeriggio partì prima un venticello leggero che al massimo poteva spostare i cappelli delle donne e degli uomini, ma non fare altri danni…

- E’ quello schifoso del Limbìci – dicevano in molti.

    Ma in serata le folate aumentarono e la montagna tra giorno e scuro apparve all’improvviso coperta da una folta pinnacchiera di nuvole che minazzavano pioggia:

- Levante !!! – fu il grido che rimbalzò di bocca in bocca, di strada in strada…

- Tu non ti permettere assolutamente di uscire di casa! – intimò Donna Gaetanina al marito.

    A sera tardi ormai le raffiche di vento mulinavano per le strade e sulla piazza e mille occhi con tutte le scuse possibili andavano a dare un’occhiata al passamano del Principino, domandandosi cosa avrebbe fatto il Principino Passamano l’indomani se il vento non fosse calato.

    E il vento di levante non calò affatto, anche perché per la prima volta in assoluto, anziché ricevere il biasimo e gli scongiuri degli Oppidesi, come avveniva di solito, stavolta era come se tutti lo ringraziassero e lo pregassero di continuare la sua opera almeno fino all’indomani e si sentisse quasi in dovere di dare il meglio di sé. Soffiò in crescendo per tutta la notte scoperchiando anche qualche casa, e all’alba con un cielo livido che minazzava pioggia da un momento all’altro, si produceva ancora in mille capriole, mulinelli, stoccate fortissime che piegavano le cime degli alberi quasi fino a terra.

    Alle sette e mezza di domenica la piazza appariva ormai piena di gente assiepata a distanza da una parte e dall’altra del passamano del Principino e tutti, anche se non parlavano, aspettavano di vedere da un momento all’altro il Principino Passamano in atto di collaudare il lunghissimo bastone di ferro che sfidava superbamente il vento…

    Ma Don Saruzzo non appariva…

Apparve invece all’improvviso dall’angolo della piazza con incedere orgoglioso, che sfidava imponente ed altèro la forza del vento, Donna Gaetanina, che più che mai in quel momento avrebbe potuto benissimo essere chiamata Donna Gaetanona. Incurante di tutto e di tutti , la donna a testa alta tagliò di sguincio la piazza e si avvicinò solenne e superba al monumento di Rocco De’ Zerbi , poi si accostò all’estremità del passamano , lo afferrò tenacemente con entrambe la mani e rossissima in viso cominciò a tirare fin quando non lo divelse quasi per i primi due metri, poi afferrò la sbarra divelta e piegata e andò a buttarla pesantemente sotto il balcone del municipio. Quindi tornò verso il moncone del passamano , che afferrò con tutte le sue forze fin quando lo divelse per un altro tratto… all’improvviso si levò da tutta la piazza un applauso fortissimo che nemmeno le folate di vento riuscirono a coprire, mentre tutta la gente, uomini e donne, Bianchi e Rossi, accorreva verso il passamano per collaborare all’opera di demolizione iniziata da Donna Gaetanina. In pochi minuti tutto il manufatto fu completamente distrutto insieme ai piantoni che lo sorreggevano e tutti i contorti relitti in ferro furono allegramente trascinati e ammucchiati sotto il municipio.

    E mentre Donna Gaetanina, altèra e silenziosa, tagliava ancora una volta di sguincio la piazza per fare ritorno a casa, alla gente, che applaudiva fino a spellarsi le mani, sembrò davvero di vedere camminare una regina in persona che col suo coraggio aveva restituito a tutti la loro bellissima piazza.