venerdì 28 aprile 2023

Memoires 3: OPPIDO MAMERTINA AL TEMPO DEI MITI E DELLE ESALTAZIONI (di Rocco Liberti)

Leggendo con l’abituale interesse e con attenzione sempre spontanea questa nuova e succosa pagina inedita di Rocco Liberti, e in particolare la sua ironica conclusione, viene in mente la famosa e amara osservazione di Winston Churchill, allorquando, al termine della guerra, affermava: ”Bizzarro popolo gli Italiani. Un giorno 45 milioni di fascisti. Il giorno successivo 45 milioni tra antifascisti e partigiani. Eppure questi 90 milioni di italiani non risultano dai censimenti…" . In effett il popolo oppidese sembra non sia affatto sfuggito alla regola generale che vide sia al Nord che al Sud un’adesione massiccia alla propaganda e ai miti del Ventennio . Ed altrettanto massiccia e generalizzata nel giro solo di alcuni giorni dopo il crollo del regime fu la corsa ad indossare con disinvoltura una nuova casacca o a cercare affannosamtente di indossarla. L’Autore con ricordi e riflessioni di prima mano e in modo disincantato e lieve ci riporta in prima persona in quel clima oppidese arruffato e mutevolissimo in cui ci sembra quasi  di esser vissuti anche noi. Gliene siamo ancora una volta grati.(Bruno Demasi)

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    Pure il Fascismo ha fatto la sua parte in Oppido, checché se ne dica. Non tutto era prepotenza. Non tutto era autoritarismo. C’erano sicuramente, ma, dopo il logico assestamento, la vita sembrava scorrere naturalmente e la cittadinanza partecipava entusiasticamente e senza forzatura alle manifestazioni che si svolgevano di rimpetto al monumento dei caduti. Masse di lupetti, balilla, avanguardisti, piccole e giovani italiane, semplici cittadini coprivano le due grandi piazze. Attorno a queste non mancavano persone che mugugnavano e dicevano la loro, come il cosiddetto avvocato B., avvocato in quanto perorante presso la Conciliazione, peraltro ex-insegnante che, vinta una causa avverso il direttore didattico Francesco De Cristo, ma trasferito in un centro della fascia ionica, aveva preferito ritirarsi a vita privata o il ciabattino mastro Carmelo G., ma se ne rimanevano in disparte e niuno se ne curava. Alquanto ripetitive le loro diuturne discussioni con mia madre circa il modo di giudicare la situazione politica. Certo, il mondo si percepiva ormai sotto quella luce! Le cose di questo mondo! Caduto Mussolini e morto il fascismo, mastro Carmelo ha finito col difendere il Duce e il regime.

Mi si è rivelato illuminante un episodio accaduto parecchio tempo dopo per capire che tanti che apparivano i “padroni del creato” in fin dei conti si montavano la testa con l’avallo del sistema. Anche la gente bene non difettava dall’atteggiarsi in stile autoritario, ma i comportamenti si qualificavano tutt’altri. Negli aa. 60 mi trovavo all’ufficio postale di Tresilico con Tito Demaria. Questi, celiando ha apostrofato un tizio quale “Comandante”. Trattandosi di un anziano piuttosto dimesso e umile, per curiosità ne ho chiesto poi informazione. Da trasecolare! Era nientemeno mastro M., che in periodo fascista in uniforme, ostentando un vistoso berretto col fez e con in mano un frustino, era il terrore di noi ragazzi specialmente quando suonava la sirena per dare l’allarme. Ordinava imperterrito di metterci obbligatoriamente pancia a terra. Al che, stupito, mi sono espresso prendendo a prestito la frase che la pucciniana Tosca rivolge all’indirizzo di Scarpia appena ucciso: Davanti a lui tremava tutta Roma! Evidentemente, erano in molti a recitare! 


    Bando a deplorevoli atteggiamenti, c’era pure l’Opera Balilla poi GIL ad accogliere e guidare, anche se con una precisa intenzione, in educazione, istruzione e perché no anche divertimento la gioventù. A capo si offeriva la cosiddetta signorina della GIL, una M., che non vedevamo di buon’occhio sia per l’aspetto ritenuto arcigno che per il comportamento, ma crollato il fascismo ha mantenuto altra condotta ed è stata considerata in modo differente. Erano i tempi! Mannaggia i tempi! Le divise purtroppo irreggimentano l’uomo. Nei locali appositamente adibiti, alcune case popolari nuove di zecca sulla via Rocco de Zerbi e accosto alla piazzetta Mamerto, le distrazioni vi  erano presenti. Rimembro appena qualche adunata, come si diceva e che vi operava un proiettore cinematografico che ammanniva i soliti filmetti comici. Non erano bastanti le sedie per tutti e sovente dovevamo rimanercene accovacciati sul pavimento.
 
    Mi è rimasta impressa una circostanza. A un momento sullo schermo compare un “donnone” e subito esplode un gridìo fragoroso e unanime: “’a Pappalarda”! Da qui risa e strepiti che non smettevano più. Chi era ‘a Pappalarda? Una signora gigantesca e dalle forme sproporzionate di origine napoletana col cognome ridotto al femminile che a Oppido professava l’impegno di levatrice (nel luogo era la prima diplomata a esercitarla. In antecedenza erano impiegate le cosiddette mammane o levatrici empiriche. L’ultima, donna Concettina Morabito, pur essendo anziana a tal ragione era stata spostata dal Comune con incarico di operare a Piminoro). Abitava nelle vicinanze e somigliava in tutto e per tutto all’attrice apparsa sullo schermo. I ragazzi sono birboni! 

   Ulteriore reminiscenza attiene a una divisa da balilla, che mia madre (mio padre era militare in quel di Vibo Valentia che ancora da tutti si nomava Monteleone) non è riuscita a ottenere perchè non ce n’erano a sufficienza, anche se si consegnavano dietro pagamento. O i pianti che ho fatto quando ho visto i miei compagni che se ne pavoneggiavano! Pure se nel Ventennio il denaro non abbondava i genitori volevano che i loro figli portassero la loro brava divisa come tutti gli altri. La divisa si appalesava qualcosa di notevole effetto. Che farci! Era la moda! Alla GIL si riproponeva annualmente la celebrazione di una Befana fascista, nella cui occasione si distribuivano doni ai più piccoli. Il disegno sul fondo, che rappresenta l’Italia che saluta Mussolini era di Domenico Mazzullo. Questi è stato contrario al Regime, ma bisognava pur mantenere una famiglia! Va da se che il dipinto è sparito in un battibaleno, scrostato o celato sotto uno strato di vernice. Sovrastava la paura per il futuro! Per timore dell’arrivo dei nemici a casa mia i bauli con la biancheria unitamente alle fotografie sono stati allogati in un sotterraneo e questo lo si è ricoperto fino al colmo con terriccio e sabbia. Ma non era sufficiente. Nelle foto interrate sono stati prima ingenuamente occultati con inchiostro i segni che denotavano presenza di fascismo, persino le mostrine delle divise militari. 

A pace fatta ogni cosa è ritornata al suo posto. A proposito di Mazzullo soccorre un’amena vicenda. Finita la guerra sono risorti i partiti. A Oppido si andava costituendo, tra gli altri, quello socialista. Gli adepti erano convocati nella sede di corso Vittorio Emanuele, propriamente, guarda caso, dove ora risiede la famiglia Mazzullo e si stava per avviare la discussione quando quegli, avvistato che tra i caporioni c’era un fascistone, se n’è immediatamente involato borbottando: non si può essere più nemmeno socialisti! L’Italia non per nulla si è configurata la patria del Girella immortalato dal Giusti. Era ormai maturato il tempo di un mutamento di casacca.

 

Rocco Liberti