Questa quarta parte di memorie mamertine del prof.Rocco Liberti, da lui battezzate ben a ragione "Mémoires" in quanto non sono soltanto ricordi slegati tra loro, ma perfettamente inseriti in contesti paesani vissuti e riletti attraverso la storia ufficiale, è particolarmente ricca. Stavolta, da uomo di scuola oltre che da storico, egli traccia un excursus avvincente e vivo sulla vita e sulle strutture scolastiche mamertine in anni pedagogicamente e socialmente difficili. E, attraverso la storia delle situazioni e delle figure che contrassegnarono di sè la scuola mamertina, lo sguardo va poi oltre, delineando con commozione il grande fervore artistico e culturale che in quegli anni diede vita alle pendici dell'Aspromonte a un'inedita fioritura di teatro musicale con l'allestimento di varie operette che ebbero grande fortuna, la più celebre delle quali, "La voce del cuore", spopolò non solo a Oppido, ma anche al Politeama Siracusa di Reggio Calabria e altrove. Uno spaccato inedito di iniziative e strutture socioculturali rimediate alla meglio, ma anche della voglia della gente di superare la povertà diffusa attraverso i mezzi e i veicoli culturali di cui si disponeva con grande entusiasmo e forza di volontà .
Ritornando agli anni ’30, a capo di tutto c’era il ragioniere Muscari, segretario politico del Fascio, persona simpaticissima che amava la musica e si era votato a comporre le melodie su testi dell’avvocato Rocco Mileto. A questi era dovuta l’intera parte recitata. Lo spettacolo, rappresentato inizialmente in Oppido, verrà successivamente portato in giro per la Provincia. A detta di tanti alla preparazione concorreva l’intero paese.Ognuno collaborava secondo le attitudini. L’inno “O dolce terra di Calabria mia”, che pervade tutta la composizione, è stato a lungo cantato dagli Oppidesi e in particolari occasioni viene ancora oggi a essere rinverdito.
Non ho memoria che siano avvenute a scuola manifestazioni di sorta durante la mia frequenza, d’altronde all’epoca il conflitto tra le nazioni era già in atto e l’illuminazione si offriva assai scarsa. Di sera le lampadine nelle case venivano coperte da un drappo nero onde non far filtrare la luce all’esterno o ci si serviva di lumarej, lumicini che emanavano un chiarore fioco da un pezzo di tela impregnata d’olio. Solo i più abbienti avevano il loro bravo lume a petrolio con la cazettina, che illuminava bruciando lentamente dentro un contenitore di vetro. Tale azione si diceva oscuramento e le case restavano sotto controllo. Se si notava filtrare fuori del bagliore, i richiami, con le esagerazioni del caso, non mancavano da parte di chi si trovava a passare di ronda. Ricordo a proposito un avviso esperito a voce alta alla porta di casa mia dal fascista Giuseppe Garreffa perito poi in Russia, ma l’intervento era sproporzionato e fuori luogo. In verità, non si vedeva a un palmo dal naso nemmeno dentro! Ma a quei tempi ognuno voleva essere più realista del re. Era l’andazzo!
Le scuole erano sistemate in un caratteristico baraccato sorto dopo il terremoto del 1908. C’era un ampio spiazzo al centro e attorno si dispiegavano le aule, a ognuna delle quali si perveniva salendo per una scala. Se dalla destra verso nord l’accesso si rendeva agevole, a sinistra era il contrario datosi che occorreva quasi inerpicarsi. Al vuoto non si frapponevano parapetti e più d’uno ha finito col rompersi qualche arto. Le classi erano numerose e distinte per maschi e femmine e i maestri si qualificavano in genere uomini, ma le donne non mancavano. Alcune erano oriunde da fuori regione, dalla Sicilia Catanese e Condorelli, dalla Basilicata Laviani.
Di estremamente brutto ricordo i siti dei bagni, chiamiamoli bagni, ma erano delle latrine vere e proprie. Ce n’erano due distinti per sesso e collocati alle ali della costruzione. Quello frequentato dai maschi era cosa che non mi azzardo a commentare. Di bidelli se ne vedeva a malapena uno e in età avanzata, mastru Cicciu Carbone, nel contempo ciabattino e suonatore di tamburo con la banda locale, che si faceva aiutare dalla moglie, ‘onna Marantonia, un tipo sempre su di giri, davvero nu focu randi. In appresso i locali si sono deteriorati talmente che la scuola ha dovuto spezzettarsi in fabbricati presi in affitto e distanti l’uno dall’altro. Due classi sono state addirittura ospitate nella sacrestia della cattedrale. Nell’abbandonata struttura si sono allogati nuclei familiari cui la casa in qualche modo difettava, ma negli a. 70 è stato tutto abbattuto e vi si sono elevati immobili consegnati a famiglie di vario ceto, ma idonee a pagare il canone spettante.
Le classi quinte, unitamente al corso di “Avviamento agrario” agivano in un grande baraccone legnamato, detto appunto ‘u barraccùni. In principio, subito dopo il sisma del 1908 in altro consimile era stato albergato il Municipio, ma in successione col materiale ricavato si è costruito detto sistemandolo vicino al plesso delle scuole elementari. Negli a. 50 vi ho sostituito più di una volta i maestri D. e F., che, detta alla calabrese, di tanto in tanto foriàvanu. Per l’addietro i bagni nelle case come li conosciamo oggi erano davvero un miraggio e spesso la necessaria mèta per piccoli e grandi era costituita dal terreno accosto alla parte posteriore dello stesso. La parola d’ordine era a ogni piè sospinto: jmu arretu ‘o barraccùni. Poveri i netturbini che vi dovevano passare e ripassare con le loro non proprio adeguate carriole di legno.
Restando sul tema scuole, soccorrono dei particolari circa altre strutture che accoglievano i piccoli Oppidesi onde istruirli o far loro trascorrere delle ore in sana armonia. Nel locale che poi accoglierà la scuola media, due case popolari unite tra loro da una struttura in cemento, oggi occupate da una sede dipendente dell’ASL e dalla famiglia Freno, sulla quale campeggiava il nome di Italo Balbo, in periodo scolastico nel pomeriggio si alternavano i Balilla per effettuare esercizi ginnici. Spesso, scendendo inverso Tresilico, osservavamo il maestro Meligrana in atto di ordinare i classici attenti e riposo, avanti march o dietrofront.
In estate invece si dava vita alla colonia estiva, ch’era guidata da maestre, come indicate in fotografia. Un accorsato Asilo-Nido per i figli delle raccoglitrici di olive con l’egida dell’Unione di Reggio Cal. Conf. Fascista dei Lavoratori dell’Agricoltura aveva invece modo di essere a Tresilico e veniva guidato dalle suore di carità. Per i campi estivi si era addirittura creata sui prossimi monti in una specie di villaggetto, cui si era dato nome Mamertinia, accosto a quel Sanatorio Antitubercolare, che alla fine si è rivelato un vero e proprio fallimento, una colonia estiva intitolata al sottotenente Rocco Mammone caduto nel 1937 durante la guerra di Spagna. Pur essendomi recato spesso in montagna, non ho mai avuto riscontro diretto di dove si trovasse esattamente ubicata, anche se si sa che sorgeva, internata di alcune centinaia di metri, a destra della strada che dallo Zillastro porta a Zervò, più o meno all'altezza degli attuali ruderi di quella che fu l'Azienda Zootecnica.