mercoledì 4 settembre 2013

L’ORO DELLA PIANA DIVENTATO FANGO

di Bruno Demasi
C’era una volta l’olio d’oliva, l’oro vero  della Piana di Gioia Tauro. E c’erano anche gli ulivi nella Piana che vestivano maestosamente la  gran parte del territorio di ben 33 comuni soprattutto con le varietà locali, "Sinopolese"  o “Scialoria” ed "Ottobratica", e segnavano  in maniera inconfondibile il paesaggio rurale.
   


      Ben il 70% del territorio, pari a quasi 30.000 ettari, con oltre due milioni di piante di olivo era  interessato fino a qualche anno fa  da questa attività produttiva e che incideva profondamente sull'economia dell'intera zona. Qui l'olivicoltura infatti rappresentava  una sorta di monumento ambientale che molto contribuiva  alla caratterizzazione e alla valorizzazione del territorio agrario .
    Per La sua indiscutibile importanza economica e sociale, la coltura dell'olivo da queste parti era  un tempo  costantemente al centro dell'attenzione da parte degli olivicoltori, di politici, economisti e studiosi
di scienze agronomiche, ambientali, sociali, antropologiche, geografiche, con la constatazione univoca che si era  creato, nel corso dei secoli, in questo territorio, un sistema olivicolo che, per le caratteristiche morfologiche e ambientali non comuni poteva senz’altro essere definito   unico al mondo.
     Così poeticamente lo descrive l’amico agronomo Antonio Lauro, una delle autorità più competenti in tema di olivicoltura nella Calabria:

Enormi pachidermi vegetali, con imponenti strutture arboree identificano il misterioso fascino dei luoghi. La maestosità degli alberi, con il verde argentato delle foglie e i grandi tronchi intrecciati che si coniugano in maniera indissolubile alla morfologia del territorio dove, nel corso dei millenni le varietà di olivo si sono differenziate ed evolute, hanno spinto numerosi studiosi ad occuparsi di questo sorprendente areale, crogiuolo di storia, cultura, arte, tradizioni che si fondono in un tutt'uno con l'ambiente in cui l'olivo si erge a protettore, diventando, geloso custode di secolari segreti...In queste zone il paesaggio olivicolo ha un carattere per molti versi unico, che gli è conferito dalla eccezionale età delle piante e, insieme, dalla fittezza della copertura vegetale; l'associazione di questi due fattori dà luogo a veri e propri boschi di ulivi, nei quali si riscontrano alberi con altezze imponenti (15-20 metri) e sezione al tronco di notevole superficie, estesa fino a 13 mq. Una delle massime espressioni della maestosità delle piante è possibile trovarla nell'azienda Guerrisi, nel Comune di Cittanova qui, in questo luogo meraviglioso ed incantato, esiste una pianta che ha una ragguardevole circonferenza del tronco di ben 16 metri, e un'altezza della chioma che sfiora i 30 metri. Tutto il territorio si presenta come una grande estensione monocolturale ed è il frutto di una lenta opera di bonifica da parte dell'uomo, che nel tempo ha conquistato ad un'agricoltura produttiva un territorio inospitale. Olivi secolari, più o meno antichi, sono presenti in tutti i comuni della Piana, anche in quelli non spiccatamente olivicoli. Essi hanno resistito, grazie anche alla longevità della specie a molte delle calamità naturali che nel corso della storia si sono succedute in questa zona. Per alcuni di questi oliveti la funzione dovrebbe essere complementare o alternativa alla funzione produttiva”.

    Il famoso bosco di  ulivi secolari di cui , se non è possibile stabilire con buona precisione l'origine ( sappiamo che in epoca bizantino- normanna ancora non esisteva, contrariamente a quanto si è voluto pensare finora), è possibile invece determinare l'evoluzione subita nel corso del tempo , in seguito alla  quale ancora  oggi, malgrado le distruzioni selvagge in corso,  si ha nella Piana la presenza di due  grandi areali: la bassa Piana, fino all'altezza di 320 metri s.l.m.; la parte collinare della Piana, fino ai bordi del Parco Nazionale dell'Aspromonte, a circa 600 metri di quota, dove gli ulivi hanno un indubbio grande e suggestivo impatto ambientale e storico su terreni terrazzati o in notevole pendenza.

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   Come a Roma “ quod non fecerunt Barbari fecerunt Barberini”, così nella Piana  ciò che non hanno
distrutto  nel corso dei secoli decine di terremoti, centinaia di incendi o  di alluvioni e migliaia di temporali, oggi viene sistematicamente distrutto, complici motoseghe, trattori e gru, dalla mano dell’uomo e dalla grassa pigrizia mentale dei nostri politici persi dietro mille convegni cartacei, centinaia di discorsi, decine di piccole fiere paesane in cui vengono fatti girare sempre gli stessi improbabili prodotti della nostra pseudoagricoltura...
  

Sono decine di  migliaia ormai le piante secolari di
ulivo tagliate quasi raso terra con la scusa di riconvertirle in piante “ alla barese”, per ricavarne legna da ardere pregiata o qualche sparuta quantità di formelle da parquets. E i politici, cui sarebbe spettato il dovere di legiferare a livello regionale  pene severissime per questi nuovi barbari stanno a guardare!
   A questo disastro  si aggiungono, anche come due  delle fondamentali cause scatenanti, la lebbra dell’ulivo, che nell’ultimo decennio ha scompaginato in modo molto grave la produzione olearia sul piano quantitativo e soprattutto qualitativo, e  la scarsa commercializzazione del prodotto standard, relegato ancora ai margini di improbabili extravergini di nicchia e costeretto tra una normativa europea e regionale decisamente inadeguate e quasi ostiili e la forte concorrenza produttiva di altri paesi del bacino del  Mediterraneo. E anche per queste due tremende
ed endemiche piaghe i politici della nostra regione non hanno fatto quasi  nulla e stanno ancora a guardare (quando guardano)!
   Ma tutto ciò non giustifica lo scempio quotidiano di  ettari ed ettari di uliveti pregiati, non è nè potrà mai essere , neanche a livello di surrogato economico, un modo per aggirare la scarsezza e la decadenza qualitativa della produzione nè, a maggior ragione  il deficit di commercializzazione.  E di ciò i politici, ma soprattutto gli agricoltori locali, prendano coscienza!!!
    E' necessario, al contrario, avviare delle iniziative per la conservazione degli "olivi ultrasecolari" e del relativo paesaggio rurale, inserendoli possibilmente in un circolo virtuoso di sviluppo, legato all'attivazione di tutte le componenti sociali, economiche e culturali che coinvolgono il sistema produttivo e culturale calabrese. Per queste piante è necessario studiare interventi tecnici tesi ad agevolare le operazioni colturali ed a incrementare la produzione, salvaguardando l'integrità delle piante. Idonei sono anche gli interventi di restauro e messa in sicurezza degli alberi monumentali. Si devono inoltre sostenere le funzioni non produttive dell'olivicoltura da tutelare sostenendo e riconoscendo il ruolo degli agricoltori che con il loro lavoro, proteggono beni e valori che possono diventare di interesse collettivo. Per gli oliveti secolari della Piana di Gioia Tauro-Palmi, come opportunamente  continua ad annotare  Antonio Lauro, urge avviare una indagine sul territorio, una valutazione della loro diversità, tipicità, integrità, rarità fino a disporre di un inventario dei paesaggi attraverso il quale sia possibile individuare quali devono essere conservati come "paesaggio museo", testimonianze viventi della civiltà olivicola calabrese, quali invece vanno guidati nella loro evoluzione tecnica mantenendo quella multifunzionalità produttiva, ambientale e culturale che è propria della loro storia e quali debbano essere riconvertiti.
    Il paesaggio olivicolo della Piana, come elemento
originale ed unico, può rappresentare per gli olivicoltori e per un possibile indotto un valore economico non indifferente, basta saperlo legare ad interessi commerciali, alle tradizioni locali e alle volontà politiche che allo stato attuale  sono in letargo...