di Bruno Demasi
C’era una volta l’olio d’oliva, l’oro vero
della Piana di Gioia Tauro. E c’erano
anche gli ulivi nella Piana che vestivano maestosamente la gran parte del territorio di ben 33 comuni
soprattutto con le varietà locali, "Sinopolese" o “Scialoria” ed "Ottobratica", e
segnavano in maniera inconfondibile il
paesaggio rurale.
Ben il 70% del territorio, pari a quasi 30.000 ettari, con oltre due milioni di piante di olivo era interessato fino a qualche anno fa da questa attività produttiva e che incideva profondamente sull'economia dell'intera zona. Qui l'olivicoltura infatti rappresentava una sorta di monumento ambientale che molto contribuiva alla caratterizzazione e alla valorizzazione del territorio agrario .
Per La sua indiscutibile importanza
economica e sociale, la coltura dell'olivo da queste parti era un tempo costantemente al
centro dell'attenzione da parte degli olivicoltori, di politici, economisti e
studiosi
di scienze agronomiche, ambientali, sociali, antropologiche,
geografiche, con la constatazione univoca che si era creato, nel corso dei secoli, in questo
territorio, un sistema olivicolo che, per le caratteristiche morfologiche e
ambientali non comuni poteva senz’altro essere definito unico al mondo.
Così poeticamente lo descrive l’amico
agronomo Antonio Lauro, una delle autorità più competenti in tema di
olivicoltura nella Calabria:
“Enormi pachidermi vegetali, con imponenti strutture arboree identificano il misterioso fascino dei luoghi. La maestosità degli alberi, con il verde argentato delle foglie e i grandi tronchi intrecciati che si coniugano in maniera indissolubile alla morfologia del territorio dove, nel corso dei millenni le varietà di olivo si sono differenziate ed evolute, hanno spinto numerosi studiosi ad occuparsi di questo sorprendente areale, crogiuolo di storia, cultura, arte, tradizioni che si fondono in un tutt'uno con l'ambiente in cui l'olivo si erge a protettore, diventando, geloso custode di secolari segreti...In queste zone il paesaggio olivicolo ha un carattere per molti versi unico, che gli è conferito dalla eccezionale età delle piante e, insieme, dalla fittezza della copertura vegetale; l'associazione di questi due fattori dà luogo a veri e propri boschi di ulivi, nei quali si riscontrano alberi con altezze imponenti (15-20 metri) e sezione al tronco di notevole superficie, estesa fino a 13 mq. Una delle massime espressioni della maestosità delle piante è possibile trovarla nell'azienda Guerrisi, nel Comune di Cittanova qui, in questo luogo meraviglioso ed incantato, esiste una pianta che ha una ragguardevole circonferenza del tronco di ben 16 metri, e un'altezza della chioma che sfiora i 30 metri. Tutto il territorio si presenta come una grande estensione monocolturale ed è il frutto di una lenta opera di bonifica da parte dell'uomo, che nel tempo ha conquistato ad un'agricoltura produttiva un territorio inospitale. Olivi secolari, più o meno antichi, sono presenti in tutti i comuni della Piana, anche in quelli non spiccatamente olivicoli. Essi hanno resistito, grazie anche alla longevità della specie a molte delle calamità naturali che nel corso della storia si sono succedute in questa zona. Per alcuni di questi oliveti la funzione dovrebbe essere complementare o alternativa alla funzione produttiva”.
Il famoso bosco di ulivi secolari di cui , se non è possibile
stabilire con buona precisione l'origine ( sappiamo che in epoca bizantino-
normanna ancora non esisteva, contrariamente a quanto si è voluto pensare
finora), è possibile invece determinare l'evoluzione subita nel corso del tempo
, in seguito alla quale ancora oggi, malgrado le distruzioni selvagge in
corso, si ha nella Piana la presenza di
due grandi areali: la bassa Piana, fino
all'altezza di 320 metri s.l.m.; la parte collinare della Piana, fino ai bordi
del Parco Nazionale dell'Aspromonte, a circa 600 metri di quota, dove gli ulivi
hanno un indubbio grande e suggestivo impatto ambientale e storico su terreni
terrazzati o in notevole pendenza.
. . .
Come a Roma “ quod non fecerunt
Barbari fecerunt Barberini”, così nella Piana ciò che non hanno
distrutto nel corso dei secoli decine di terremoti,
centinaia di incendi o di alluvioni e
migliaia di temporali, oggi viene sistematicamente distrutto, complici
motoseghe, trattori e gru, dalla mano dell’uomo e dalla grassa pigrizia mentale
dei nostri politici persi dietro mille convegni cartacei, centinaia di
discorsi, decine di piccole fiere paesane in cui vengono fatti girare sempre
gli stessi improbabili prodotti della nostra pseudoagricoltura...
Sono decine di migliaia ormai le
piante secolari di
ulivo tagliate quasi raso terra con la scusa di
riconvertirle in piante “ alla barese”, per ricavarne legna da ardere pregiata
o qualche sparuta quantità di formelle da parquets. E i politici, cui sarebbe spettato il dovere di legiferare a livello
regionale pene severissime per questi
nuovi barbari stanno a guardare!
A questo disastro si aggiungono, anche come due delle fondamentali cause scatenanti, la
lebbra dell’ulivo, che nell’ultimo decennio ha scompaginato in modo molto grave
la produzione olearia sul piano quantitativo e soprattutto qualitativo, e la
scarsa commercializzazione del prodotto standard, relegato ancora ai margini di
improbabili extravergini di nicchia e costeretto tra una normativa europea e
regionale decisamente inadeguate e quasi ostiili e la forte concorrenza
produttiva di altri paesi del bacino del
Mediterraneo. E anche per queste
due tremende
ed endemiche piaghe i politici della nostra regione non hanno fatto quasi nulla e stanno ancora a guardare (quando guardano)!
ed endemiche piaghe i politici della nostra regione non hanno fatto quasi nulla e stanno ancora a guardare (quando guardano)!
Ma tutto ciò non giustifica lo scempio quotidiano di ettari ed ettari di uliveti pregiati, non è
nè potrà mai essere , neanche a livello di surrogato economico, un modo per
aggirare la scarsezza e la decadenza qualitativa della produzione nè, a maggior
ragione il deficit di
commercializzazione. E di ciò i politici, ma soprattutto gli
agricoltori locali, prendano coscienza!!!
E' necessario, al contrario, avviare delle
iniziative per la conservazione degli "olivi ultrasecolari" e del
relativo paesaggio rurale, inserendoli possibilmente in un circolo virtuoso di
sviluppo, legato all'attivazione di tutte le componenti sociali, economiche e
culturali che coinvolgono il sistema produttivo e culturale calabrese. Per
queste piante è necessario studiare interventi tecnici tesi ad agevolare le
operazioni colturali ed a incrementare la produzione, salvaguardando
l'integrità delle piante. Idonei sono anche gli interventi di restauro e messa
in sicurezza degli alberi monumentali. Si devono inoltre sostenere le funzioni
non produttive dell'olivicoltura da tutelare sostenendo e riconoscendo il ruolo
degli agricoltori che con il loro lavoro, proteggono beni e valori che possono
diventare di interesse collettivo. Per gli oliveti secolari della Piana di
Gioia Tauro-Palmi, come opportunamente
continua ad annotare Antonio
Lauro, urge avviare una indagine sul territorio, una valutazione della loro
diversità, tipicità, integrità, rarità fino a disporre di un inventario dei
paesaggi attraverso il quale sia possibile individuare quali devono essere
conservati come "paesaggio museo", testimonianze viventi della
civiltà olivicola calabrese, quali invece vanno guidati nella loro evoluzione
tecnica mantenendo quella multifunzionalità produttiva, ambientale e culturale
che è propria della loro storia e quali debbano essere riconvertiti.
Il paesaggio olivicolo della Piana,
come elemento
originale ed unico, può rappresentare per gli olivicoltori e per
un possibile indotto un valore economico non indifferente, basta saperlo legare
ad interessi commerciali, alle tradizioni locali e alle volontà politiche che
allo stato attuale sono in letargo...