giovedì 26 settembre 2024

ANTONIO DELFINO: UN GIORNALISTA CALABRESE MOLTO SCOMODO (di Francesco Barillaro)

   

     Era figlio del maresciallo Giuseppe Delfino di Platì, immortalato da Corrado Alvaro col nome con cui peraltro tutti lo conoscevano, “Il massaro Peppe”, e da lui, che si vantava di percorrere a dorso di mulo le balze dell’Aspromonte alla ricerca di latitanti, aveva forse ereditato il gusto di inseguire la notizia e di essere presente immancabilmente là dove accadeva qualcosa che sicuramente avrebbe acceso ancora una volta i riflettori nazionali sull’Aspromonte. Lo ricordo impaziente  di sapere e curioso quando veniva a Oppido da Bovalino, dove esercitava il mestiere di preside, e immancabilmente mi telefonava per acquisire informazioni o il modo per procurarsele di prima mano: era giornalista nel sangue, sanguigno nell’uso della parola, uomo di scuola, ma anche intellettuale inedito, sprezzante delle patacche , dei convegni e di tutte quelle occasioni mondane che in fondo servono solo a ibernare la vera cultura o a mascherare quella che vera non è. Era soprattutto calabrese, Totò Delfino, innamorato della sua terrra alla quale non risparmiò mai l’aceto pungente della verità brutale che le sparse sempre sulle ferite insieme al miele della commozione e dell’affetto profondo. Il ritratto inedito, sobrio e stringato, tracciato da Francesco Barillaro gli rende davvero giustizia anche attraverso due testimonianze di prima mano: la storia dell’intervista al rocambolesco  Angelo Macrì da Delianuova e un breve resoconto dell’ammirazione espressagli più volte da Saverio Strati. (Bruno Demasi)

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    “ Francesco dell'Aspromonte mi porto addosso il vento e la nebbia dello Zillastro, al Cristo sparato mi affido ogni volta che valico questo passo, di notte o di giorno, qui cominciano e terminano le emozioni”. Queste le parole pronunciate, ai piedi del Crocifisso, l'ultima volta che ci siamo visti. L'appuntamento era per le 10,00, arrivo' puntuale sorridente, come sempre, alto e distinto con la sua voce profonda e inconfondibile; la stretta della mano, nel tempo, non era cambiata: vigorosa e sincera. Totò Delfino , era nato a Platì nel 1934, il padre Giuseppe era il famoso maresciallo dei carabinieri “ Massaru Peppi” le cui gesta furono ricordate da Corrado Alvaro ( Il Canto di Cosima), Mario La Cava ( Tra i latitanti dell'Aspromonte) e Saverio Strati ( Massaru Peppi ). Giornalista pungente e senza padroni, ha scritto innumerevoli articoli in diverse testate nazionali e regionali: L'Europeo , Il Giornale, La Gazzetta del Sud . E' stato docente e Preside dell'Istituto Professionale di Stato per il Commercio “Corrado Alvaro” di Bovalino, dove viveva. Consigliere e assessore provinciale, alla pubblica istruzione.

    Tra i tanti riconoscimenti che gli furono tributati pur non avendoli mai cercati  spicca il premio di giornalismo a Palmi nel 1995 intestato a Domenico Zappone. Schietto, ironico, mai banale, diretto. Questi i tratti che hanno caratterizzato i suoi scritti. Totò Delfino giornalista, scrittore, un signore d'altri tempi. Scrutava con lo sguardo i suoi interlocutori, possedeva un fiuto ( forse un “vizio” di famiglia...) che lo portava a vedere le cose prima degli altri, trasmetteva sicurezza e fiducia, come quando riesce, negli anni Ottanta del secolo scorso, a farsi rilasciare un'intervista da Angelo Macri' (U Maricanejiu)“ L'ultimo re dell'Aspromonte” che fu condannato all'ergastolo, a soli venti anni, per l'uccisione in un bar di Delianuova ( 2 settembre 1951) del maresciallo comandante la locale stazione dei Carabinieri Antonio Sanginiti e di un'altra persona del paese aspromontano. Si diede poi alla macchia: lo credevano tutti nascosto in Aspromonte, invece venne ammanettato in America e il 21 febbraio del 1956, con i ferri ai polsi, sbarcò dal transatlantico “Andrea Doria” . Dopo 30 anni di galera a Portolongone , rimesso in libertà, Angelo Macrì si stabilisce a Genova e in un bar della riviera ligure, dopo lunghe trattative Delfino sente Angelo al telefono che gli dice: “ Prufissuri: 'U si scrivi a 'me storia nci voli ‘na bona manu....” . “ Tenterò – risponde Delfino - Vi facevo più vecchio...”. “Carciri non mangia genti - rispose Angelo”. E raccontò tutta la sua storia: “Sapiti, diversi giornalisti, anche di testate importati, mi hanno cercato a lungo e con insistenza... offrendomi anche tanti soldi, ma ho preferito parlare con Voi, mi ispirate fiducia....” Angelo saldò il conto del ristorante senza pretendere alcun compenso per l'intervista. Quando Totò Delfino mi ricordava questo episodio, diveniva subito particolarmente orgoglioso del suo lavoro, almeno quanto lo fosse per l’ammirazione espressa nei suoi confronti da Saverio Strati, di cui quest’anno ricorre il centenario della nascita.

  Strati era molto amico di Antonio Delfino, si stimavano tantissimo. Quando nel maggio 1987 esce “Gente di Calabria” , Editoriale progetto 2000, Strati ne cura la presentazione. Fu subito un successo editoriale, tanto che a settembre dello stesso anno esce la seconda edizione, poi una terza a febbraio del 1988. Nella presentazione Strati, tra l'altro, scrive: “Delfino ha la virtù di farsi leggere più come scrittore che come giornalista ligio alla fredda cronaca. In lui la curiosità è sempre più forte che il bisogno di registrare una notizia. L'insieme degli articoli di Antonio Delfino è come la tastiera di un pianoforte su cui basta pigiare il dito per sentire una nota musicale; e una nota dopo l'altra nasce una sorta di concerto corale dentro il quale è dominante l'anima di un popolo, nel bene e nel male. La povertà, l'ironia, la violenza mafiosa, la stupidità, sono tutte queste cose i pregi e i difetti registrati con onesta sincerità da un uomo che crede nei valori della cultura e dell'intelligenza”.
    Non posso chiudere questo breve  ricordo, senza citare alcune altre  opere di Antonio Delfino che hanno fatto la storia recente della nostra letteratura. Nel 1994 esce, sempre per editoriale progetto 2000, “ Amo l'Aspromonte” un omaggio alla montagna che amò in modo smisurato. Il libro, dedicato al fratello Francesco, controverso Generale dei Carabinieri, diviso in piccoli capitoli narra tra l'ironico e il reale la storia della nostra montagna. Nel 1999 pubblica con Nosside Edizioni “ A Polsi con Alvaro sui sentieri dell'Anima”, con la presentazione di GianCarlo Bregantini, Vescovo di Locri-Gerace. Nel 2000, per Falzea Editore, viene pubblicato “ l'Aspromonte” , libro fotografico con una bella copertina che ritrae Pietra Kappa e numerosi e ricercati testi.

    Menzione a sé stante merita “ La Nave della Ndrangheta” uscito nel 2005 per Klipper edizioni, un concentrato di racconti appassionati e suggestivi, di medaglioni sui principali avvenimenti che hanno interessato la Calabria negli ultimi cinquant'anni. Ma non solo. Chi sa e vuole leggere con l'attenzione che un libro del genere richiede non tarderà ad apprezzare le coraggiose prese di posizione che hanno sempre contraddistinto l'attività giornalistica e culturale di Delfino, sempre pronto a combattere per l'affermazione della verità. Anche o soprattutto quando ciò significava  criticare, contestare, prendere posizione contro le istituzioni, sollecitare a non attardarsi in inutili e dannose “circunnavigazioni” verbali e semantiche. Secondo Pietro De Leo, docente all'Università della Calabria , i suoi studi sull'Aspromonte sono “da collocarsi tra i classici dell'analisi sociologica del Mezzogiorno d'Italia”. L'ultima fatica letteraria è del 2008, “ Il raglio dell'asino” - Nuove Edizioni Barbaro di Caterina Di Pietro - libro ironico, ma contenente amare verità tratte dagli articoli pubblicati negli anni in diverse testate giornalistiche.


  Totò Delfino si spegne il 22 settembre del 2008, dopo una lunga malattia, lasciando in eredità innumerevoli articoli, varie pubblicazioni, ma soprattutto il ricordo vivo di una persona coerente, un giornalista mosso dalla passione e dalla dignità, senza padroni, che voleva e sapeva camminare sempre a testa alta con il vento dell'Aspromonte che gli accarezzava i sogni e i capelli.

                                                                                                             Francesco Barillaro