La figura di Iochim Murat, il suo sogno di una lotta popolare capitanata dal Sud per l' unificazione ante litteram e l'affrancamento della Penisola , han prodotto nei due secoli che ci separano dalla sua drammatica fine a Pizzo grandissima risonanza anche a livello europeo dando materia a una vastissima e ambigua letteratura che da troppo tempo richiedeva una sistermazione critica mai tentata da nessuno. Si trattò, come questo libro accerta con assoluta chiarezza, di un vero e proprio assassinio conseguente ad congiura passata invece alla storia come opera di spontanea sollevazione della gente pizzitana, secondo un collaudato copione che già aveva provocato la fine dei martiri della repubblica napoletana del 1799 e che sarà ripreso qualche anno dopo l’uccisione di Murat con la spedizione e l’uccisione dei Fratelli Bandiera a Cosenza e poi di Carlo Pisacane a Sapri.
Le ragioni dell’ abbondanza abnorme di scritti su Murat vanno individuate in primis nella vicenda contraddittoria e drammatica di quest’uomo che ha commosso e irritato mezza Europa, ma anche nel limite grossolano della storiografia ufficiale e locale che, perseguendo una presunta obiettività tout court di studio e di narrazione e fermandosi spesso al dettaglio, impedisce a tanti una visione chiara e coerente delle vicende studiate con la paura irrazionale della partigianeria.
Il monumentale e avvincente studio-inchiesta di Vincenzo Villella ( “ IOACHIM MURAT – La vera storia della morte violenta del re di Napoli – GrafichEditore) con i suoi 23 capitoli , tutti irruenti e convergenti come le fiumare delle nostre montagne, viene a colmare questa lacuna vistosa assumendo due ulteriori meriti che vanno subito evidenziati. In primis ci restituisce in maniera chiarissima la figura di Murat in tutte le sue sfaccettature umane, psicologiche e politiche secondo un metodo storico che affonda le sue radici nella freschezza e nella lucidità dell’indagine crociana coniugata con il rigore della storiografia moderna. L’altro merito, non da poco, l’offerta al grande pubblico, e non solo alla ristretta e a volte rissosa cerchia degli addetti ai lavori, dei risultati di un’indagine omnicomprensiva e completa che assume spesso, nei toni, nelle descrizioni, nella composizione sapiente e articolata dei vari contributi, il sapore narrativo di un romanzo di vita vissuta, pur non abbandonandosi mai all’approssimazione e alla fantasia.
Insieme all'uso di una prosa avvincente un terzo merito evidentissimo è poi il corollario dei primi due: l’Autore, come si diceva, non ha ambiguità nel manifestare apertamente il proprio giudizio personale sullo sfortunato sovrano , e lo può fare con grande libertà perché ne indaga sul serio gli aspetti più reconditi della parabola umana e poltica, senza lasciare nemmeno una virgola al caso. Scrive infatti apertamente quasi in esordio “In generale la storiografia ha trattato Murat come sempre vengono trattati i vinti. Senza alcuna pietà. Se anziché morire fucilato come un brigante, fosse perito su un campo di battaglia, magari a Tolentino, certamente tutta la gloria acquisita in tante imprese avrebbe continuato a cingere d’aureola il suo nome”(pag. 26).
Una dichiarazione rafforzata da un’altrettanto lapidaria considerazione che non tutti gli storici di Murat sono in grado di fare senza la sicurezza derivante da un lavoro davvero meticoloso e approfondito, e non solo delle vicende legate alla drammatica morte del Re, ma di tutta la sua formazione umana e di tutta la sua vicenda politica che, a ben guardare, ha dell’incredibile: “ La storia d’Italia - egli afferma a pag. 36 – non può limitarsi a tributare lacrime a Murat. Gli Italiani gli debbono riconoscenza e gratitudine per l’azione che egli intraprese con l’obiettivo dell’unità nazionale quand’era follia parlarne…”. Riconoscenza e gratitudine mai espresse dai libri di storia, ma neanche dalla gente semplice, per la buona ragione che la vicenda di Murat è stata troppo presto sepolta insieme al suo cadavere dopo l’ignobile fucilazione nel castello di Pizzo, sulla quale sono stati versati fiumi di inchiostro che, anziché convincere il grande pubblico a conoscere fino in fondo questa pagina ingloriosa della nostra storia, lo hanno totalmente messo fuori strada, o comunque estraneato da una vicenda paradossale che pure ci riguardava e ci riguarda ancora da vicino.
Proprio per questa ragione con questa inchiesta a 360° Vincenzo Villella ha portato a compimento un’impresa per tutti, ma soprattutto per la verità, in tempi in cui va di moda osannare in modo nagniloquente il regime borbonico come un eden perduto, quando invece, come afferma l’Autore con Giuseppe Galasso, “ non è avventato dire che nel decennio francese si fece, in proporzione , alquanto di più che in tutto il periodo borbonico (durato complessivamente 117 anni)”, un decennio molto fecondo per la Calabria che conobbe un’insolita fioritura socioculturale, infrastrutturale e addirittura industriale, ma anche bonifiche di terreni a grandissimo raggio e ammodernamento delle città ( come l’illuminazione pubblica e la fondazione del Liceo “Campanella” a Reggio Calabria) per non parlare del compimento delle leggi eversive della feudalità e della soppressione della manomorta ecclesiastica negli anni 1809-1810.
Proprio per questa ragione con questa inchiesta a 360° Vincenzo Villella ha portato a compimento un’impresa per tutti, ma soprattutto per la verità, in tempi in cui va di moda osannare in modo nagniloquente il regime borbonico come un eden perduto, quando invece, come afferma l’Autore con Giuseppe Galasso, “ non è avventato dire che nel decennio francese si fece, in proporzione , alquanto di più che in tutto il periodo borbonico (durato complessivamente 117 anni)”, un decennio molto fecondo per la Calabria che conobbe un’insolita fioritura socioculturale, infrastrutturale e addirittura industriale, ma anche bonifiche di terreni a grandissimo raggio e ammodernamento delle città ( come l’illuminazione pubblica e la fondazione del Liceo “Campanella” a Reggio Calabria) per non parlare del compimento delle leggi eversive della feudalità e della soppressione della manomorta ecclesiastica negli anni 1809-1810.
E d’altronde Vincenzo Villella, pur consapevole che la storia non si fa con i “se”, giunge anche ad effermare qualcosa di cui tutti , e in particolare noi Calabresi, dovremmo essere consapevoli: “ Se il progetto di Murat fosse andato in porto, forse avremmo avuto un’unità d’Italia, dal basso verso l’alto, alcuni decenni prima e con un ruolo trainante del Regno delle Due Sicilie, il più esteso dell’Italia pre-unitaria, con Napoli capitale del movimento risorgimentale. Non si sarebbe parlato di “piemontesizzazione” del Mezzogiorno da parte dei Savoia, di rapina delle sue ricchezze, di annientamento dei presunti primati del regno borbonico. Non avremmo avuto la guerra civile e gli eccidi del briugantaggio. Non ci sarebbe stata la questione meridionale come l’attribuzione all’Unità d’Italia dei mali del Mezzogiorno”(p.41).
E’ una riflessione lapidaria che riporta alla sua vera dimensione quella che per molti era stata soltanto l”utopia” di Ioachim Murat di sperare in un riscatto delle plebi del Sud. Se utopia fu , chiarisce ancora una volta l’Auture attraverso i risultati concreti della sua ricerca , è da addebitare ancora oggi non solo all’indifferenza e alla rozzezza dei persecutori e uccisori di questo sovrano, ma soprattutto all’indifferenza di una classe intellettuale incapace di sposare il sogno di unificazione, di indipendenza e di progresso impersonato da Murat e poi esplicitato interamente nel Proclama di Rimini, il primo vero manifesto del Risorgimento.
E’ una riflessione lapidaria che riporta alla sua vera dimensione quella che per molti era stata soltanto l”utopia” di Ioachim Murat di sperare in un riscatto delle plebi del Sud. Se utopia fu , chiarisce ancora una volta l’Auture attraverso i risultati concreti della sua ricerca , è da addebitare ancora oggi non solo all’indifferenza e alla rozzezza dei persecutori e uccisori di questo sovrano, ma soprattutto all’indifferenza di una classe intellettuale incapace di sposare il sogno di unificazione, di indipendenza e di progresso impersonato da Murat e poi esplicitato interamente nel Proclama di Rimini, il primo vero manifesto del Risorgimento.
Quello che fu un vero e proprio assassinio pose fine a ogni ambizione politica e a un sogno che forse poteva essere condiviso da molti meridionali. Con la sua morte, afferma Vincenzo Villella , “ Spariva senza omaggi e senza gloria l’ultimo dei grandi cavalieri che avrebbe meritato una fine degna di un re. Così terminava l’impresa di un monarca che, in poco tempo, aveva visto succedere alla più alta fortuna le miserie più insopportabili, compresa la crudele esperienza dei tradimenti e delle perfidie di coloro che egli credeva suoi servitori devoti e che aveva colmato di benefici (p. 224)”
E quando giungi all’ultima riga di questo splendido libro, senti il bisogno di riaprirlo di nuovo e di rileggerne qualche brano che ti porti a rivivere ancora un'atmosfera e una storia davvero coinvolgente ed emblematica per questa terra di Calabria e, forse perchè tale, troppo a lungo sepolta nella congiura peggiore, quella del silenzio.
E quando giungi all’ultima riga di questo splendido libro, senti il bisogno di riaprirlo di nuovo e di rileggerne qualche brano che ti porti a rivivere ancora un'atmosfera e una storia davvero coinvolgente ed emblematica per questa terra di Calabria e, forse perchè tale, troppo a lungo sepolta nella congiura peggiore, quella del silenzio.