COME SI E' GIUNTI A CONOSCERE E A CELEBRARE
UNA PAGINA DI STORIA A LUNGO DIMENTICATA
Guarda un po’, quel che non ti aspetti! Girando e rigirando per i tanti pdf che mi ritrovo sul computer, proprio a ridosso della manifestazione svoltasi per l’ennesima volta in montagna nella giornata dell’8 settembre 2023 mi sono imbattuto in questa che doveva essere la presentazione a Oppido del libro del prof. Agazio Trombetta da poco estinto e che non si è tenuta non so per quali cause. Dichiaro onestamente che non ne avevo più la minima idea. Non ricordavo proprio di averla scritta, né di averla pubblicata, ma, tant’è, è mia e non ci sono dubbi. Poiché la stessa riporta tutte le tappe che si sono susseguite dal primo timido tentativo di onorare le persone morte per una tragica fatalità, la propongo grazie all’ospitalità dell’amico Bruno Demasi, che ringrazio (Rocco Liberti).
IL FATTO D'ARMI DI ZERVO' (1943) E GLI STUDI
DEL PROF. AGAZIO TROMBETTA
"Ci troviamo questa sera per rievocare un episodio doloroso della seconda guerra mondiale, che ci riguarda molto da vicino. Come tanti sanno, all'alba dell'8 settembre 1943, quando ormai l'armistizio era stato concluso, anche se non ancora pubblicizzato, nella vicina montagna, venne a compiersi l'ultimo fatto d'armi nella zona, un evento che si sarebbe potuto e dovuto evitare solo che i nostri governanti avessero dato gli ordini che necessitavano a tempo opportuno. In una notte in cui Giove Pluvio la faceva da padrone e una spessa nebbia impediva la piena visibilità, si trovarono accosto gli uni agli altri un contingente italiano di paracadutisti del Reggimento Nembo e reparti dell'esercito canadese. Alle prime luci dell'alba d'un tratto da parte italiana ci si accorse del pericoloso frangente, ma invece di filarsela alla chetichella e sperdersi nella boscaglia, tra i nostri militari, i quali, malgrado tutto, si sentivano ancora onorati di difendere la Nazione, prevalse la decisione di contrastare il passo a quello ch'era ancora da considerare il nemico. S'ingaggiò perciò un furioso combattimento e sul terreno restarono 5 italiani e 12 canadesi. I reparti canadesi, i cui effettivi erano in numero preponderante, ebbero presto ragione dell'esiguo drappello italiano e in breve fecero molti prigionieri.
A quel tempo io avevo 10 anni non compiuti e ricordo benissimo il clamore che ne seguì e i commenti non proprio benevoli sul comportamento di gente dei paesi vicini e non, che arraffarono di tutto. Si trattò di operazioni non proprio encomiabili, ma allora tutto era scusabile. Quando imperversa la fame e per vestirsi o calzarsi bisogna ricorrere a tutti gli stratagemmi possibili non ci si può mettere certo a fare la predica. In simili contingenze le parole diventano purtroppo inutili. L'amico avv. Vincenzo Vadalà, che ha più o meno la stessa mia età, mi ha riferito di un contatto avuto nell’immediatezza dal padre con persona che si era approfittata di un certo oggetto. Conoscendo la di lui attività, calzolaio, si capisce benissimo di che cosa si sia trattato.
Finita la guerra e tornati alla normalità, i resti dei poveri soldati, ch'erano stati inumati provvisoriamente in una o più fosse comuni, furono traslati, prima al cimitero di Oppido, quindi avviati alla propria destinazione. Dell'episodio si parlava sempre liberamente, ma soltanto a titolo di cronaca perché nessuno si era presa la briga di valorizzare il fatto d'armi, che, pure se di portata limitata, rendeva onore all'Italia tutta. Né il commissario prefettizio, il socialista De Zerbi, né il sindaco democristiano Carbone. Ma, a sei anni di distanza, nel 1951, esponenti del Comune con in testa il sindaco Remo Frisina, che capeggiava un’amministrazione di ex-fascisti, si recarono sul posto in cui quello si era verificato e provvidero a installare un Crocefisso e una targa-ricordo. Fu silenzio fino al 1963, quando il rag. Giuseppe Muscari, ex-segretario del Fascio ormai di stanza a Gioia Tauro, venne a sollevare la questione con la rivista "Il Borghese" parlando di morti abbandonati. Allora il ministero della difesa fu costretto a intervenire e a chiedere spiegazioni al Comune. Era sindaco l'avv. Giuseppe Mittica, democristiano, che subito si mise in movimento e riuscì a chiarire che tutto era stato sistemato a suo tempo. Toccato comunque dal tragico evento, quegli pensò, onde onorare degnamente i caduti, di realizzare un monumentino e negli anni ’70 il Crocefisso della località Zillastro era cosa fatta. Il manufatto non venne collocato nel posto in cui l’episodio si era verificato, ma al di fuori della pineta, onde godere di più facile accessibilità, per cui l’antica opera in pietra restò negletta e abbandonata.
Arrivati nell'89 i "parà" della Folgore a Scido per un loro turno e venuto a conoscenza del fatto d’armi, il loro comandante si diede con altri ufficiali a interrogare chiunque fosse in grado d'indicare il posto esatto dove esso era accaduto e a recepire memorie in merito. Scarse e comunque lacunose queste, carenti del tutto risultarono le notizie sul primo. Cionondimeno, volendo ricordare e commemorare l'epica azione, d'accordo col Comune di Scido e la Comunità Montana di Delianuova, volle solennizzare il tutto varando una cerimonia con la celebrazione di una S. Messa e la presenza delle amministrazioni di Scido e Oppido Mamertina. Al momento, disconoscendo i particolari del fatto d'armi, o avendo a mente soltanto l'essenziale, la manifestazione si tenne avanti al Crocefisso dello Zìllastro, mentre i vari oratori enfaticamente amplificarono le notizie che appena appena si tramandavano, affermando illogicamente che si trattava chi di un fatto "sconosciuto" chi di un fatto "dimenticato". Non era vero. Semmai, si potrebbe dire con linguaggio moderno, “non reclamizzato”.
Gli ufficiali della Folgore, nonostante reiterati tentativi per venire alla scoperta del luogo dell'evento, forse sviati da indicazioni false, non erano ancora venuti a capo di nulla, quando mi compare davanti proveniente da Reggio l'oppidese rag. Andrea Muscari. Questi, tra le carte del padre, aveva rinvenuto degli articoli che si riferivano proprio al fatto d'armi del 1943. Tra i vari fogli si trovava anche una fotografia che immortalava l’operazione del 1951. Fra essi risultava ancora una pagina di giornale, forse "La Voce di Calabria", con riprodotta una lettera del sindaco che iniziava con “Diamo onorata sepoltura ai nostri eroi” e la richiesta del Muscari a "Il Borghese".
Avuto in consegna il tutto dall'amico, ho subito imbastito un articolo, dove ho ragguagliato i lettori allegandovi persino la foto. Ottenute alcune copie del giornale, ne ho dato subito una al defunto direttore delle Poste di Scido, Giovanni Foti, il quale, al corrente delle pene in cui a proposito ancora incorrevano i militari di stanza nel paese, nel quale si trovava a operare, me ne chiese altra da consegnare al comandante. Detto fatto. Non appena l'alto graduato ebbe scorso l'articolo, subito esclamò: Ah! Finalmente, comincia a farsi un po' di luce! e in men che non si dica si precipitò al Comune di Oppido, ove chiese delucidazioni sul posto segnalato e qualcuno che ve lo accompagnasse. Ormai, era la volta buona e in breve si riuscì a localizzare la zona, dove si rinvenne la croce, che si ritrovò piuttosto malconcia, ma ancora in grado di marcare il ricordo di tanta tragedia.
A quel tempo io avevo 10 anni non compiuti e ricordo benissimo il clamore che ne seguì e i commenti non proprio benevoli sul comportamento di gente dei paesi vicini e non, che arraffarono di tutto. Si trattò di operazioni non proprio encomiabili, ma allora tutto era scusabile. Quando imperversa la fame e per vestirsi o calzarsi bisogna ricorrere a tutti gli stratagemmi possibili non ci si può mettere certo a fare la predica. In simili contingenze le parole diventano purtroppo inutili. L'amico avv. Vincenzo Vadalà, che ha più o meno la stessa mia età, mi ha riferito di un contatto avuto nell’immediatezza dal padre con persona che si era approfittata di un certo oggetto. Conoscendo la di lui attività, calzolaio, si capisce benissimo di che cosa si sia trattato.
Finita la guerra e tornati alla normalità, i resti dei poveri soldati, ch'erano stati inumati provvisoriamente in una o più fosse comuni, furono traslati, prima al cimitero di Oppido, quindi avviati alla propria destinazione. Dell'episodio si parlava sempre liberamente, ma soltanto a titolo di cronaca perché nessuno si era presa la briga di valorizzare il fatto d'armi, che, pure se di portata limitata, rendeva onore all'Italia tutta. Né il commissario prefettizio, il socialista De Zerbi, né il sindaco democristiano Carbone. Ma, a sei anni di distanza, nel 1951, esponenti del Comune con in testa il sindaco Remo Frisina, che capeggiava un’amministrazione di ex-fascisti, si recarono sul posto in cui quello si era verificato e provvidero a installare un Crocefisso e una targa-ricordo. Fu silenzio fino al 1963, quando il rag. Giuseppe Muscari, ex-segretario del Fascio ormai di stanza a Gioia Tauro, venne a sollevare la questione con la rivista "Il Borghese" parlando di morti abbandonati. Allora il ministero della difesa fu costretto a intervenire e a chiedere spiegazioni al Comune. Era sindaco l'avv. Giuseppe Mittica, democristiano, che subito si mise in movimento e riuscì a chiarire che tutto era stato sistemato a suo tempo. Toccato comunque dal tragico evento, quegli pensò, onde onorare degnamente i caduti, di realizzare un monumentino e negli anni ’70 il Crocefisso della località Zillastro era cosa fatta. Il manufatto non venne collocato nel posto in cui l’episodio si era verificato, ma al di fuori della pineta, onde godere di più facile accessibilità, per cui l’antica opera in pietra restò negletta e abbandonata.
Arrivati nell'89 i "parà" della Folgore a Scido per un loro turno e venuto a conoscenza del fatto d’armi, il loro comandante si diede con altri ufficiali a interrogare chiunque fosse in grado d'indicare il posto esatto dove esso era accaduto e a recepire memorie in merito. Scarse e comunque lacunose queste, carenti del tutto risultarono le notizie sul primo. Cionondimeno, volendo ricordare e commemorare l'epica azione, d'accordo col Comune di Scido e la Comunità Montana di Delianuova, volle solennizzare il tutto varando una cerimonia con la celebrazione di una S. Messa e la presenza delle amministrazioni di Scido e Oppido Mamertina. Al momento, disconoscendo i particolari del fatto d'armi, o avendo a mente soltanto l'essenziale, la manifestazione si tenne avanti al Crocefisso dello Zìllastro, mentre i vari oratori enfaticamente amplificarono le notizie che appena appena si tramandavano, affermando illogicamente che si trattava chi di un fatto "sconosciuto" chi di un fatto "dimenticato". Non era vero. Semmai, si potrebbe dire con linguaggio moderno, “non reclamizzato”.
Gli ufficiali della Folgore, nonostante reiterati tentativi per venire alla scoperta del luogo dell'evento, forse sviati da indicazioni false, non erano ancora venuti a capo di nulla, quando mi compare davanti proveniente da Reggio l'oppidese rag. Andrea Muscari. Questi, tra le carte del padre, aveva rinvenuto degli articoli che si riferivano proprio al fatto d'armi del 1943. Tra i vari fogli si trovava anche una fotografia che immortalava l’operazione del 1951. Fra essi risultava ancora una pagina di giornale, forse "La Voce di Calabria", con riprodotta una lettera del sindaco che iniziava con “Diamo onorata sepoltura ai nostri eroi” e la richiesta del Muscari a "Il Borghese".
Avuto in consegna il tutto dall'amico, ho subito imbastito un articolo, dove ho ragguagliato i lettori allegandovi persino la foto. Ottenute alcune copie del giornale, ne ho dato subito una al defunto direttore delle Poste di Scido, Giovanni Foti, il quale, al corrente delle pene in cui a proposito ancora incorrevano i militari di stanza nel paese, nel quale si trovava a operare, me ne chiese altra da consegnare al comandante. Detto fatto. Non appena l'alto graduato ebbe scorso l'articolo, subito esclamò: Ah! Finalmente, comincia a farsi un po' di luce! e in men che non si dica si precipitò al Comune di Oppido, ove chiese delucidazioni sul posto segnalato e qualcuno che ve lo accompagnasse. Ormai, era la volta buona e in breve si riuscì a localizzare la zona, dove si rinvenne la croce, che si ritrovò piuttosto malconcia, ma ancora in grado di marcare il ricordo di tanta tragedia.
Dal ritrovamento in questione è partita la serie di manifestazioni annuali, che si tengono la domenica in prossimità dell'8 settembre e la costruzione in zona più accessibile, a una cinquantina di metri, di un monumentino, accanto al quale fu riposta la vecchia croce, che venne restaurata per quanto possibile. Le manifestazioni sono curate dall'Associazione Nazionale Paracadutisti d'Italia e precisamente dalle sezioni di Calabria e di Sicilia e dal Comune di Oppido.
Dopo il primo raduno è partito anche l'avvìo di ricerche serie per stabilire come realmente si fossero svolti i fatti e chi n'erano stati i protagonisti. Io stesso reiterai poco dopo con altri articoli, forte anche della cosiddetta “memoria Inga” consegnatami da mons. Antonino Dimasi di Varapodio. In seguito alla prima manifestazione del 1989 militari e giornalisti si diedero da fare al fine di ottenere notizie sul fatto d'armi e ricercarono varie fonti. In primis si fece avanti il giornalista Antonio Delfino, che riuscì a recepire alcuni nomi e qualche fondato particolare sulla vicenda. In successione fu uno degli stessi protagonisti, il cap. Paolo Lucifora, allora sottotenente, residente a Rometta in Sicilia, a fornire più esatte e circostanziate note.
Nell'anno 2000 l'episodio viene tratteggiato da Aldo De Jaco, che, riprende da me la "memoria Inga", ma a dire una parola chiara, facendo tacere racconti fantasiosi e memorie non troppo brillanti, ha pensato buon ultimo con amore di studioso e scrupolosità di ricercatore, doti che da tempo lo contraddistinguono soprattutto in ambito reggino, il prof. Agazio Trombetta, non nuovo a studi del genere, ch'è riuscito con un'ampia gamma di documenti ad aggiungere molti e risolutivi tasselli a una vicenda che si presentava ancora alquanto nebulosa. La sua ultima opera, infatti, presentata a Reggio qualche giorno prima della manifestazione in montagna nel settembre 2005, che ha inizio con lo sganciamento delle forze italo-tedesche dalla Sicilia, copre molte delle lacune che ancora si avevano sul fatto, che dovrebbe senzaltro considerarsi eroico. Egli, forte di una corposa appendice documentaria inedita, nella quale hanno posto il diario storico-militare del comando del XXXI Corpo d'Armata, il Diario storico del Comando del 143° Reggimento Costiero, Atti e Diario del 34° Reggimento Fanteria "Livorno", relazione del Comando del 185° Reggimento "Nembo", Atti dell'Ufficio Operazioni dello Stato Maggiore del Regio Esercito, ma, servendosi anche di fonti canadesi, del diario del col. Ganzini e delle testimonianze del cap. Lucifora, del ten. Romanato, del parà Savasta e riportando anche la "memoria Inga", oltre a far il dovuto riferimento a quanto già pubblicato, non solo delinea la situazione esatta quale si presentava nello scacchiere siculo-calabro, ma offre con altrettanta precisione quanto avvenne in quella fatale mattinata dell'8 settembre 1943 sull'Aspromonte, che così riassume: La battaglia dello Zìllastro si protrasse dall'alba fin oltre le otto del mattino. Lo scontro si svolse nel faggeto di "Mastrogianni" nel comune di Oppido Mamertina, in un paesaggio naturale di straordinaria bellezza, in prossimità di una vecchia e diroccata "casa cantoniera". Nel corso della breve e sanguinosa battaglia tanti ragazzi dell'VIII battaglione immolarono la loro vita combattendo contro quasi quattromila soldati canadesi dei reggimenti Edmonton e Nuova Scozia. Fu la battaglia dell'onore, senza del quale non avrebbe avuto alcun senso combatterla, l'ultimo scontro sostenuto prima della ufficializzazione dell'armistizio, a difesa del territorio aspromontano per ritardare l'incalzante avanzata anglo-canadese. Il prof. Trombetta, ch'è riuscito a delineare il quadro ufficiali del battaglione dei paracadutisti impegnati nell'azione, riesce a darci anche il numero e il nome degli italiani caduti.
Il giorno 11 settembre 2005, in una bella giornata di sole, la prima sicuramente da quando hanno avuto inizio le manifestazioni a ricordo dell'epico scontro e dopo aver onorato i caduti in altra sede distante un 200 metri, si è svolta la consueta cerimonia davanti al cippo che ne perpetua la memoria. Presente, tra gli altri, l'autore del libro, che di qui a poco c’intratterrà più diffusamente.
Conosco da qualche tempo il preside Agazio Trombetta e mi onoro di essergli amico. Invero, non sono molti anni che ciò si è verificato. L’occasione è stata fornita dalla sua entrata nella famiglia della Deputazione di Storia Patria per la Calabria, ma era parecchio che ne avevo cognizione, tante e tali sono state le pubblicazioni di vario genere ch’egli ha consacrato alla nostra terra e le conferenze che lo hanno visto protagonista.
Laureatosi in Geografia economica e Scienze naturali, ha subito pubblicato nel 1964 "La coltura del gelsomino in Provincia di Reggio", quindi sono stati gli aspetti geografici a interessarlo e uno dopo l’altro sono apparsi: "L'Africa, espressione moderna di antichi aspetti", nel 1967; e l’anno dopo "Sullo stretto di Messina un ponte per l'Eurafrica"; "Aspetti geografici economici e sociali della Calabria nel secolo XVIII"; nel 1969 è stata la volta di "Aspetti della viabilità calabrese nel secolo XVIII". Dal 1976 ha inizio la sua decisa conversione all’impegno storico e per prima vede la luce "La Calabria del settecento nel giudizio dell'Europa"; "Reggio, immagini dalla storia" è del 1980 così come "Lo spirito libertario in due proteste popolari". "Reggio Calabria e gli antichi caffè del corso" arriva nel 1992. Le ultime opere in ordine di tempo trattano di eventi bellici dell’ultimo conflitto e sono due pietre miliari nel campo: si tratta di Dentro la guerra-La costa jonica reggina Condofuri 15 agosto 1943 e, appunto, quella che una volta per tutta dice una parola decisiva sull’episodio dello Zillastro. Il preside Trombetta è anche collaboratore di quotati periodici e riviste di cultura e ha al suo attivo il conseguimento di vari qualificanti Premi. "
Rocco Liberti