di Bruno Demasi
E’ il titolo del film di Mimmo Calopresti ambientato nell’Aspro- monte degli anni ’50 già a lungo proiettato nelle sale cinematografiche prima del Covid e ora fatto conoscere al grande pubblico televisivo. Già capolavoro, anche se per nostra fortuna non possiede le stimmate dal meridionalismo di cassetta che da qualche tempo impazza non solo sui social, ma nel giornalismo, nella saggistica e nella narrativa di alcuni autori ancora indecisi se condannare la ndrangheta o giustificarla o, addirittura osannarla come baluardo di non meglio qualificati nemici colonialisti.
Mimmo Calopresti riparte da Zanotti Bianco e dal paesaggio lunare che, al posto dell’Eden Borbonico vantato da tanti meridionalisti di ritorno e mai esistito, egli trova “scendendo” in Calabria dopo la terribile alluvione del ’51 : condizioni di vita subumane, mancanza di case, strade, medici, scuole, pane; sovrabbondanza di fame e pidocchi.
Ispirato dalla “Via dell’Aspromonte” di Pietro Criaco, la montagna lucente che il Poeta ( il personaggio che dà cuore e anima all’intero racconto, interpretato magistralmente da Marcello Fonte) definisce come “la terra di quelli che ancora rispettano i padri, la terra dei poeti e della civiltà…”, è un reportage da un inferno di silenzi e di paure. Essenzialmente un film che Calopresti definisce racconto insieme neorealistico ed epico “il realismo di un mondo povero, anzi poverissimo e l’epicità della battaglia per riscattare la propria condizione di canaglia puzzolente”.
Senza tanti giri di parole e ricostruzioni storiche strampalate, vi appare nella sua nudità una terra marginale appartenente a uno Stato lontanissimo e inconsistente, a una chiesa troppo arroccata nelle sue torri eburnee e nei suoi problemi intestini per curarsi degli ultimi, la stessa terra in cui le donne muoiono di parto (allora come forse anche oggi) per mancanza di strade e di ospedali.
Una terra da cui fuggire, ma che ti incita a restare a combattere insieme alla maestra che ad Africo arriva dal Nord, rimboccandoti insieme agli altri le maniche per costruire la strada pur sapendo che si sarà aspramente combattuti in maniera diamentralmente opposta, ma equivalente, dal prefetto che non tollera l’autodeterminazione degli Africoti e dal capo ndrina che non ama le strade aperte perché vi possono transitare sopra i carabinieri e rompere le scatole a tutti.
La terra in cui non mancano il piombo, i morti, gli arresti e la poesia che Mimmo Calopresti mette in bocca all’aedo senza tempo, la cui voce affiora spesso nel film: “I sogni sono quelle cose che ti fanno pensare che sei libero, e che ti fanno essere quello che sei”.
La terra in cui non mancano il piombo, i morti, gli arresti e la poesia che Mimmo Calopresti mette in bocca all’aedo senza tempo, la cui voce affiora spesso nel film: “I sogni sono quelle cose che ti fanno pensare che sei libero, e che ti fanno essere quello che sei”.
Un film sicuramente da capire, ricco di metafore e realismo che qualcuno potrebbe definire antico, ma non vecchio; bello, ma non edificante; senza dubbio impegnato, ma purificato da stucchevoli ideologismi di ritorno.
Un film da vedere e da far vedere e comprendere soprattutto ai piccoli dei nostri paesi di un Aspromonte non più lucente, ma ormai irrimediabilmente opaco e sporcato dalla politica di due dopoguerra corrotti, avidi e micidiali.