di Bruno Demasi
Condivido volentieri la bellissima pagina di Maria Fabricatore sulle potenzialità e sulle ataviche questioni irrisolte che sembrano ormai dimenticate da tutti e da tutto.
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E’ come oltrepassare una linea di confine. Dall’autostrada
all’improvviso si vede il mare, che abbaglia la vista, come un
apparizione. Superata da poco la provincia di Cosenza, imbocchiamo il
catanzarese nelle zone di Pizzo e di Lamezia. Sulle colline, come spine
ficcate nei fianchi, contornano il paesaggio le pale eoliche, sono
centinaia, focalizzano l’attenzione e continueranno a comparire sulle
colline senza un ordine, o una logica. Ci eravamo illusi che l’eolico e
l’energia verde potessero aiutare la nostra economia e anche l’ambiente.
Ma a guardare questi orizzonti massacrati che non danno respiro alla
vista e che soffocano il territorio ritorneresti al carbone e al
petrolio in un attimo. Già perché poi funzionano le pale
donchisciottiane? ci chiediamo. Ci rispondono le varie inchieste che da
qualche anno riempiono pagine e file dei pubblici ministeri. Nei mesi
scorsi si sono chiuse le indagini della Procura di Catanzaro. Tra gli
indagati esponenti politici regionali, imprenditori. “Eolo”, iniziata
nel 2006 nella procura di Paola dispone le intercettazioni, e si
concentra su una presunta tangente per la realizzazione del parco eolico
“Pitagora” a Isola Capo Rizzuto, inchiesta passata poi appunto alla
Procura di Catanzaro.
E il problema pare che sia più diffuso e comprenda
non solo la Calabria ma anche la Campania e la Basilicata. Le pale
vampirizzano il terreno che non potrà più essere coltivato. Secondo
studi recenti distruggono l’assetto degli uccelli migratori, che una
volta massacrati, guarda caso, cambiano rotta e così facendo distruggono
un intero ecosistema. Continuiamo con il mare a fianco, e ci risiamo,
di nuovo la natura ha il sopravvento e ci immergiamo nei colori
dell’inverno: argento e azzurro, che si confondono con le luci del
pomeriggio. Una natura incontaminata carica di verde ci prende il fiato.
Sulla Salerno/Reggio Calabria si viaggia bene, non ci sono lavori in
corso, la carreggiata è larga, contiene bene il traffico. Ci chiediamo
come mai, e ci sorprendiamo visto che abbiamo lasciato chilometri e
chilometri di lavori in corso. Per non parlare della più lunghe e
ininterrotte indagini sulle collusioni tra cosche di ndrangheta e della
camorra e con più alte infiltrazioni della storia dell’Italia
contemporanea, che da decenni si contendono i metri di questa che rimane
l’unica vera strada che collega l’Itala del sud con il nord, che
doveva
essere la spinta all’economia e sulla quale si sprecano discorsi,
parentesi, inchiostro e parole inutili di politici e amministratori. Ma
quello che attraversiamo è il tratto con più presenza mafiosa e
ndranghetista della penisola, sarà un caso?. Dall’autostrada deviamo
verso Gioia Tauro. Ci coglie una strana ansia. E’ come se ci
preparassimo per andare in guerra. Stiamo per entrare in una delle zone
più ricche d’Italia. Olio, arance, agricoltura fiorente. E il porto più
grande del Mediterraneo, uno dei primi venti del pianeta.
E’ come se la piana di Gioia Tauro avesse avuto
dagli dei il meglio. Una terra ricca. Forte. Fiorente. Anche il colore
rosso bruno della terra ce ne suggerisce la fertilità di una capacità
produttiva
superiore alle leggi di natura. Gli alberi di ulivo alti più
di venti metri, con oli di qualità eccellente. Gli alberi di arance e di
clementine carichi, e il colore verde intenso dell’erba che rigogliosa
cresce dentro gli agrumeti, soddisfa completamente la nostra vista. E ci
appare in lotta con se stessa, tra un territorio dove la ndrangheta la
fa da padrona, e un territorio che potrebbe offrire una ricchezza
economica a tutta la penisola. Anche detta Piana di Rosarno. Ci coglie
come un lampo il ricordo degli uomini piegati alla raccolta sulle
cassette pagate a due euro, in tutto venti o venticinque euro al giorno,
ci confermano le inchieste di oggi. Ragazzi e uomini spinti dalla fame
che dall’Africa arrivano a Rosarno chiamati alla raccolta, servono
braccia durante l’inverno e qui ne arrivano, dal profondo sud
dell’Africa, dal nord Africa e anche da est, dalla Romania. “Vedete lì
in fondo alla strada sono pieni di nord africani”ci racconta un signore
dall’aria mite “ma sono anni che stanno qui, sono tunisini, hanno messo
su famiglia e ora stanno dappertutto”. Gli africani di Rosarno vivono
nelle tendopoli, allestite per la raccolta. Ma non risolve il problema,
le condizioni di vivibilità precarie si sommano ad una mancanza di
controllo del territorio, e le responsabilità si compongono e
ricompongono come le bambole russe. Siamo colti da un senso di vuoto e
di sgomento quando ci appaiono le prime case di Gioia Tauro. Per strada
non c’è nessuno. I fabbricati e case già vecchi e mai finiti si
susseguono uno dietro l’altro. Cerchiamo di districarci nei vicoli di
questo paese di mare così noto alle cronache. Cerchiamo il porto, non ci
sono insegne e come in un labirinto ci ricaccia indietro, riusciamo a
vedere le sue torri in lontananza.
Ma è un porto lontano alla piana, dalla gente, che
produce solo per sé, come una porta chiusa su stessa, altro che la porta
dell’Europa. Per non parlare dei milioni di euro guadagnati con la droga, i quintali di cocaina, eroina sequestrati che smettiamo di
contare dalle varie inchieste, faremmo prima a contare i primati di
sequestri nel mondo. I cartelli della ndrangheta calabrese non ha
rivali. La ndrangheta, ha un fatturato superiore alla multinazionale
americana della Apple, queste le notizie di oggi. Intanto vediamo
fabbricati in pietra enormi e intatti, che fanno da contrappunto, come
uno spaccato del secolo scorso fiorente, ma perduto per sempre. E cumuli
di immondizia a ridosso del porto e del lungomare che alla vista dei
bastioni enormi che arrivano dal mare profondo, ci sembrano il male
minore. Il porto non riusciamo a vederlo nella sua interezza e dalla
strada neanche a concepirlo nella sua grandezza, vediamo solo due
cancelli sbarrati. Nessuno può avvicinarsi. Ci appare in lontananza,
abbandonato, come un enorme trofeo tenuto in piedi dalla cupidigia
insaziabile degli uomini.