di Bruno Demasi
Se il latifondo, come affermava il grande vescovo Peruzzo, cui qualche tempo fa ho dedicato un post in questo piccolo diario, era una vera e voracissima "struttura di peccato", come dovrebbe essere definita la diffusa mentalità anticristiana che ancora vige dalle nostre parti, secondo cui, in mancanza di interventi statali e istituzionali, la ndrangheta rimarrebbe l'unica, o una delle pochissime, organizzazioni parallele in grado di creare lavoro e distribuire ricchezza?
Occorre uscire da questo inganno, ricredersi, e al più presto!
Ci aiutano due eventi di oggi che fanno tornare imperiosamente alla ribalta questo tema rovente: lo scioglimento del comune di Taurianova " per infiltrazioni mafiose" (la terza edizione...!) e il bel servizio che sul Sole 24 Ore ha curato Roberto Galullo, cui affido la traccia per le mie riflessioni e per quelle dei quattro amici che seguono questo diario.
"Forse quei pochi che ancora credono che la mafia
crea lavoro e distribuisce ricchezza non crederanno al fatto che, ogni anno, la
‘ndrangheta deprime il Pil della Calabria del 3,5 per cento. In soldoni, una
mancata crescita economica di 1,2 miliardi.Per chi fosse affamato di paragoni,
basti dire che il Por Calabria per il periodo 2007/2013 è poco più del doppio.
..
In sintesi, ciò che ancora emerge è che le
attività criminali dell'usura e del racket colpirebbero oltre 40
mila
commercianti e operatori economici. Inequivocabile il sentiment degli
imprenditori contattati da Demoskopika, l'Istituto al quale è stata affidata la
ricerca statistica (campione di 400 imprese intervistato tra gennaio e febbraio
2013 con il metodo di rilevazione Cati): il 38,5% non si sente assolutamente al
sicuro, il 18,5% indica estorsioni ed usura tra i principali reati subiti, 1 su
3 è convinto che senza ‘ndrine il fatturato potrebbe crescere tra il 5% ed
oltre il 20%.
Infine, il 74,9% ribadisce la volontà di non
arrendersi. Quest'ultimo è un segnale di grande speranza che dà ossigeno a
tutti gli imprenditori e operatori economici. Il capo della Procura di Reggio
Calabria, Federico Cafiero De Raho, ancora pochi giorni fa ha ricordato che la
denuncia – non isolata ma collettiva, che magari può passare attraverso le
associazioni di categoria a partire da Confindustria – è l'unica via per
battere la violenza delle cosche. E – come testimoniano anche le storie
raccontate in "Ora Legale" ogni giovedì su www.ilsole24ore.com – gli
imprenditori che in Calabria si fanno coraggio non sono più casi isolati.
La percezione.
La ‘ndrangheta viene percepita da tutti come una componente
"normale", una forza talmente radicata e diffusa in alcune zone, da
creare una sorta di assuefazione che condiziona le percezioni degli stessi
imprenditori. Al contempo rappresenta un ostacolo allo sviluppo sociale ed
economico del territorio ma sul versante sociale genera il consenso di pochi e
l'acquiescenza di molti.
«Queste trasformazioni – raccontano i due autori - finiscono per avvicinare alla criminalità organizzata strati sempre più ampi di popolazione che, pur non appartenendo a famiglie mafiose e non volendo condividere nulla degli affari dei boss, sono in qualche modo condizionati da una presenza che trae la sua forza dalla capacità di esercitare un capillare controllo del territorio».
«Queste trasformazioni – raccontano i due autori - finiscono per avvicinare alla criminalità organizzata strati sempre più ampi di popolazione che, pur non appartenendo a famiglie mafiose e non volendo condividere nulla degli affari dei boss, sono in qualche modo condizionati da una presenza che trae la sua forza dalla capacità di esercitare un capillare controllo del territorio».
Quasi quattro intervistati su dieci (il 38,5%) non si sentono al sicuro a causa
dell'elevata diffusione delle attività criminali. Se a questi aggiungiamo il
35,1% di quanti sentendosi abbastanza sicuri fanno comunque rilevare che le
attività criminali sono evidenti anche se piuttosto rare, si arriva al totale
del 73,6% imprenditori che non si sente al sicuro. Usura ed estorsioni..Per il
70% degli intervistati le aziende calabresi sono vittime di vessazioni,
imposizioni o di reati di vario tipo. Furti (23,6%), estorsioni ed usura
(18,5%), danneggiamenti (7,7%) sono i reati di cui si sente maggiormente
parlare, ma non manca chi, fra gli intervistati, denuncia forme alternative di
controllo della criminalità sul sistema delle imprese quali imposizioni di
manodopera, forniture e merci, attentati dinamitardi. Secondo le stime
dell'istituto Demoskopika, in Calabria racket e usura colpirebbero oltre 40
mila commercianti e operatori economici.
Effetti perversi.
Un imprenditore su tre (il 33,4%) dichiara che il fatturato aziendale sarebbe
più alto se potesse svolgere la propria attività in un contesto territoriale
più sicuro e libero dai tentacoli della criminalità organizzata. Il 13,6% del
campione stima che la crescita potrebbe essere addirittura del «20% e oltre»
rispetto ai valori congiunturali, il 9,3% ritiene che ci potrebbe essere un
incremento almeno del 10%, mentre il 10,5% calcola che potrebbe aumentare del
5%. Maggiori, infine, le percentuali, il 43,7%, di quanti fanno sapere che la
criminalità non costituisce una reale e grave causa ostativa alla crescita del
proprio giro di affari a cui si aggiunge il 22,9% di chi preferisce non
rispondere o di non sapere o di non voler fornire alcuna stima o valutazione.
Le azioni di contrasto.
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Non arrendersi mai.
La ‘ndrangheta in Calabria (e non solo) si respira ma l'analisi apre uno
squarcio di speranza perché la quasi totalità degli imprenditori e dei
commercianti calabresi intervistati (74,9%) non sembra intimidita, mostra
fermezza e ribadisce la volontà di non arrendersi e di continuare a lavorare
nella propria terra, non considerando, dunque, nemmeno lontanamente l'idea di
trasferire o chiudere la propria attività. Ad ogni modo, deve far comunque
riflettere che un 13,3% del campione degli imprenditori intervistati ha deciso
di trasferirsi o di chiudere definitivamente la propria attività (3,2%) o che
sta considerando l'ipotesi di lasciare la Calabria e iniziare altrove
l'attività o farla cessare (10,1%)".