sabato 30 agosto 2025

L’INCREDIBILE CROCIFISSO LIGNEO DELLA CHIESA MATRICE DI TAURIANOVA (di Bruno Demasi)


     Produsse un certo scandalo Natalia Ginzburg quando nel 1988 sull ”Unità”, l’organo ufficiale del partito comunista più forte dell’Occidente scrisse senza mezzi termini: “ Il crocifisso è il segno del dolore umano. La corona di spine, i chiodi, evocano le sue sofferenze. La croce, che pensiamo alta in cima al monte, è il segno della solitudine nella morte. Non conosco altri segni che diano con tanta forza il senso del nostro umano destino. Il crocifisso fa parte della storia del mondo.”  
 
    Erano parole calibrate su una visione della storia e del mondo che ritornava in modo dirompente alla dimensione della Croce, troppo a lungo osteggiata o minimizzata, ma erano anche sensazioni sapientemente descritte da una grande scrittrice che avrebbe dovuto quanto meno ignorare, o far finta di ignorare, la grandezza del Cristo trafitto per almeno due ordini di motivi: era ebraica di nascita e di formazione e aveva abbracciato in maniera viscerale il credo marxiano diventando in breve tempo  attivista politica di primo piano del PCI. 


     Sono parole e sensazioni che ti tornano prepotentemente alla memoria nell’osservare questo incredibile crocifisso ligneo che, entrando nella chiesa matrice di Taurianova, trovi collocato in modo umile e quasi anonimo all’inizio della navata di destra e al quale non si riesce ancora a dare un autore, sebbene don Mino Ciano, parroco della stessa chiesa, propenda a pensare che sia di scuola e di mano altoatesine.

   Non ho competenze di critica d’arte né, almeno per il momento , altre informazioni. In compenso disponiamo tutti di due elementi di valutazione che possono contribuire a tracciare le linee semplici e scarne di una vicenda artistica singolare: il primo concerne la storia minima della sua collocazione all’interno della chiesa; il secondo riguarda la morfologia di questa opera d’arte che la rende unica e irripetibile pur tra tantissimi esempi, anche molto pregevoli e censiti come beni artistici, di manufatti lignei o meno dislocati nella stessa città o altrove.

   Le scarne notizie che è possibile attingere fanno pensare che questo Crocifisso abbia posto la propria dimora in questa chiesa dopo la ricostruzione di essa conseguente al terremoto del 1908 e che sia stato collocato subito nell’area presbiterale e quindi davanti alla parete absidale di destra ( com' è possibile osservare nella foto a fianco), lasciando il posto centrale sull’altare maggiore alla statua della Madonna della Montagna, presente già nella chiesa distrutta da oltre un secolo. Nel 2024, in concomitanza con i lavori di realizzazione del pregevole mosaico che oggi ricopre l’intera parete absidale e che riprende tipologicamente quello preesistente che ne adornava già la cupola, il Crocifisso venne spostato nella sua attuale collocazione, all’inizio della navata di destra della Chiesa. Tale spostamento quanto meno ha consentito e consente a tutti coloro i quali entrano nell’edificio sacro la visione ravvicinata e diretta sicuramente di un capolavoro, non tanto nei suoi stilemi scultorei e plastici, che non sono declinati in fogge particolari ascrivibili a questa o quella corrente artistica, quanto in un insieme incredibilmente armonico che produce una sensazione palpabile di bellezza e di emozione allo sguardo attento del visitatore. 

     Chiunque lo abbia scolpito, sicuramente al di fuori di ogni schematismo di bottega, è riuscito infatti a fornire di vita palpitante ed eloquente questa statua, della quale possiamo rilevare l’equilibrio assoluto delle proporzioni nel rappresentare le membra del Cristo, il lavoro meticoloso nella riproduzione del dettaglio anatomico ( vedansi, ad esempio, la perfezione stupefacente della bocca e dei denti o quella delle estremità inferiori semilogorate dal tocco dei fedeli), la maestria indicibile nella riproduzione espressiva del viso e delle membra. Tutti dettagli – si dirà – presenti in abbondanza in molte altre statue similari, ma rarissime volte coesistenti in modo tanto dinamico nello stesso manufatto, tanto da farlo apparire un unicum. Il che produce un effetto sorprendente: il dolore “umano e divino ” del Cristo esplode con indicibile forza, sottolineata persino dalle lacrime e dalle palpabili gocce di sudore e di sangue che colano dal viso e dalle carni .

    Un crocifisso forse senza autore, sicuramente senza onori, senza orpelli e senza storia che però incarna “ ad alta voce” nella sua povertà una Storia decisamente grandissima ed eterna e parla direttamente al cuore di chi si ferma davanti a lui... 

                                                                                                               Bruno Demasi

giovedì 14 agosto 2025

25 ANNI DI “CITTADELLA DELL’MMACOLATA” NELLA FESTA DI S. MASSIMILIANO KOLBE E SOLO CON L’AIUTO DI DIO ( di Bruno Demasi)

A CERAMIDA DI BAGNARA CALABRA UNA PALESTRA DI FEDE E DI VITA 
 NEL SOLCO DELLA “MILIZIA DELL’IMMACOLATA”

     Non è solo un’oasi di pace, perché del mondo accoglie tutte le angosce e i mille bisogni per illuminarli , è piuttosto un sentiero di fraternità che travalica il luogo in cui sorge e irrora beneficamente tutte le vie della Calabria e non solo. «Una città in cui vivere e pregare insieme, in cui accogliere i pellegrini, in cui praticare la carità. Un centro di fervida evangelizzazione in cui si respirano l’odore della terra e il profumo del cielo e del Paradiso.Questo luogo nasce dopo un lungo discernimento condotto tempo fa grazie alla guida del mio padre spirituale, monsignor Serafino Sprovieri, all’epoca arcivescovo di Benevento. Fu lui a incoraggiarmi a seguire la mia intensa ispirazione di dare vita a un luogo di preghiera con il cuore rivolto a Maria e a Gesù». 

   Con queste poche e scarne parole padre Santo Donato , iniziatore all’alba di questo terzo millennio dei “Piccoli fratelli e sorelle dell’Immacolata” e della Cittadella omonima descrive una grandissima realta di fede e di azione operosa nella fede, da lui fondata inizialmente a Pellegrina di Bagnara e oggi nella frazione di Ceramida dello stesso comune, nella provincia e nella diocesi di Reggio Calabria, come si ha avuto modo di raccontare su questo stesso blog qualche tempo fa ( clicca qui per aprire il link: RICORDANDO MASSIMILIANO MARIA KOLBE, VIAGGIO NELLA CITTADELLA DELL'IMMACOLATA A CERAMIDA (di Bruno Demasi)

 
     Tanto si potrebbe ancora scrivere su cosa sia e cosa rappresenti la Cittadella dell’Immacolata, nata da una ispirazione segnata dall’esempio di San Massimiliano Maria Kolbe, sacerdote e francescano polacco, martire di Auschwitz, fondatore del convento di Niepokalanów a Teresin in Polonia. Idealmente la Cittadella, che la nostra terra ha la fortuna di accogliere e di custodire, ne è la continuazione e i tanti gruppi laicali che l’hanno eletta a luogo di incontro e di preghiera comune agiscono tutti nel solco di quella “Milizia dell’Immacolata” che segnò la vita intera di San Massimiliano , emblema di una fede che rifugge ogni forma di religiosità paganeggiante e trionfalistica, di cui purtroppo sono ancora  molto impregnate tante nostre contrade e tante nostre realtà parrocchiali, per andare al cuore della parola e dell’esempio di Cristo fatto uomo.

   In tal senso questa realtà religiosa fresca e giovane, che unisce sapientemente tradizione e innovazione, diventa ogni giorno di più emblema di quella nuova evangelizzazione e di quella testimonianza di cui si avverte il bisogno crescente in tempi in cui la scristianizzazione sotto varie maschere impregna di sé ogni realtà umana nei nostri paesi.

    Qui  alla Cittadella il profumo buono della terra scaturisce  dagli undici ettari di distesa verde che si affaccia sullo Stretto, dagli ulivi secolari e dalla vegetazione rigogliosa e curatissima che circonda la cappella centrale, le dimore dei frati e delle suore, i numerosi suggestivi luoghi di preghiera e contemplazione. Qui nemmeno un centesimo viene accettato come finanziamento da parte di organismi politici e amministrativi e tutto è dono della Provvidenza. Qui in  ogni stagione avverti  un tripudio di colori e di fragranze. E’ il profumo del cielo e del paradiso  incarnato  dalle persone che lo abitano in una comunità spirituale mista, organizzazione che insieme all’ispirazione a padre Kolbe determina l’unicità di questa realtà in Italia. Essa è composta infatti già da oltre cinquanta fratelli e sorelle in abito azzurro , consacrati a Maria Immacolata, che ti ricordano con il loro sorriso la pace diffusa nel mondo  da Padre Kolbe fino al sacrificio supremo di sè.

   Nel buio di Auschwitz, tra grida soffocate e fili spinati, brillò un gesto di pura luce. Maximiliano Kolbe, frate francescano polacco, durante l’occupazione nazista, rischiò tutto: diede rifugio a ebrei e partigiani, ben sapendo a cosa andava incontro. Aveva origini tedesche, che avrebbero potuto proteggerlo, ma rifiutò ogni privilegio. Era polacco, e da polacco voleva morire. Fu arrestato e deportato ad Auschwitz, dove tra fame, paura e disperazione, continuò a essere un pastore. Condivideva il poco cibo che aveva, pregava con i prigionieri, li consolava. Lo picchiavano per aver aiutato i più deboli. Non si lamentava mai. Non si arrese mai.Un giorno, dopo una fuga dal campo, i nazisti scelsero dieci uomini a caso per farli morire di fame. Uno di loro, padre di famiglia, scoppiò in lacrime. Kolbe fece un passo avanti e disse: «Voglio morire al posto suo».L’ufficiale accettò lo scambio. Fu rinchiuso in una cella senza cibo né acqua. Pregò ogni giorno con gli altri condannati. Uno dopo l’altro morirono… lui fu l’ultimo a resistere. Quando, dopo qualche giorno, i soldati aprirono la cella,  era ancora in piedi. In silenzio. A pregare.Fu ucciso con un’iniezione di acido fenico il 14 agosto del 1941. Morì in pace e senza odio. Il suo corpo insieme a quello dei compagni fu cremato il giorno dopo, proprio in quella festa dell’Assunta che egli tanto amava.

   Oggi, padre Kolbe è un simbolo eterno di amore e sacrificio.Nel luogo dove l’uomo dimenticò l’umanità… lui ricordò al mondo cosa vuol dire essere umano.

domenica 3 agosto 2025

Viaggiatori nella Calabria dell’Ottocento: PHILIP JAMES ELMHIRST (di Rocco Liberti )

     Con quest’agile rivisitazione della permanenza coatta in Calabria, e specificamente nell’attuale provincia reggina, del militare e viaggiatore inglese Philip James Elmhirst Rocco Liberti dà qui avvio a una piccola serie inedita di resoconti di viaggio in Calabria ad opera di alcuni osservatori stranieri. Si trattava nella gran parte dei casi di viaggiatori tanto più interessati alla vita di questo estremo lembo della Penisola nel secolo XIX quanto più influenzati da una sovrabbondante letteratura pseudoromantica che già favoleggiava di una terra strana dominata spesso dal brigantaggio e da contraddizioni culturali talmente abnormi da venire additate sia in altre parti d’Italia sia, appunto,  all’Estero come fenomeni sociali degni di analisi e studio. A maggior ragione dunque questa e le altre preziose pagine del Liberti che seguiranno potranno dare viva testimonianza di un costume geoantropologico straniero che non ha mancato, per la propria parte, di condizionare pesantemente l’immagine di questa terra. (Bruno Demasi) 

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   Tra settembre 1809 e aprile 1810 si è trovato suo malgrado in Calabria un militare inglese, Philip James Elmhirst, ch’era stato catturato e messo in prigione. Pur essendo trattenuto per un certo tempo nei paraggi di Palmi e cioè tra Casalnuovo e Laureana, il suo status di detenuto non gli ha offerto l’agio di muoversi a piacimento. Comunque, ha avuto l’opportunità di visitare qualche centro abitato e di andare a caccia con colleghi francesi. Alla fine, scagliandosi sia contro i briganti che avverso i militari dell’esercito nemico per gli efferati atti spesso compiuti, è stato costretto a riconoscere che gli ultimi «sono dalla parte del popolo, e hanno contribuito alla sua relativa emancipazione».

     Ufficiale della real marina britannica, nato a Londra nel 1781 e ivi morto nel 1865 (secondo qualche autore nel 1866), nel 1805 è rimasto coinvolto nella famosa battaglia di Trafalgar. Incrociando nell’Adriatico tra Zante, Cefalonia e Santa Maura, a un bel momento la sua nave ha fatto naufragio a Punta Stilo. Ha subito cercato a mezzo di una scialuppa di filarsela in Sicilia, ma, per mancanza di acqua potabile, si è visto forzato ad avvicinarsi alla costa. Qui è stato arrestato e posto in quarantena a Bianco. Era il 23 settembre 1809. Il 17 ottobre veniva avviato a piedi alla volta di Gerace, dove gli si è fornita occasione di effettuare un giro in città e fare le sue considerazioni di carattere storico.

    Il 20 dello stesso mese partenza per Monteleone attraverso una plaga che gli ha permesso di esprimere valutazioni di ordine naturalistico. Indi, arrivo a Casalnuovo. Qui ha indugiato appena una giornata, infatti appresso ripartiva per Laureana, dove ha potuto ritagliarsi un quadro della situazione urbana e ambientale: «Città poco importante, situata all’estremità della pianura … Le case sono linde anche se non ben costruite; e sono basse per motivi di sicurezza contro i terremoti. Gli abitanti sono pacifici, laboriosi, allegri e rispettosi gli uni degli altri: con i forestieri sono di una cordialità e di una ospitalità straordinarie».

  Evidentemente, l’accoglienza ricevuta nella magione di Carlo Palmisano dev’essere riuscita convivialmente ottima sotto tutti i punti di vista. Ma di seguito d’altro canto ennesima nota non propriamente benevola: «In città vivono parecchi frati mendicanti ed altri fanatici, che preferiscono vivere del lavoro degli altri piuttosto che del proprio».

    Per Laureana, dove ha preso alloggio nell’abitazione di un avvocato, ha soltanto: «paese situato in una piacevole posizione ai piedi della montagna». Ma non ha dimenticato di accennare all’assalto dei briganti che aveva dovuto subire alquanti giorni prima.

   Nuovo commiato il 22 e il giorno successivo eccolo a Monteleone via Mileto. La lunga sosta ivi gli permette di divagare alquanto in relazione alla crudeltà di francesi e fuorilegge, indole degli abitanti, prodotti, usi e costumi, come pure sulla condizione delle case e sulle festività natalizie. Il tutto si è trascinato fino all’anno susseguente, ma il 10 febbraio 1810 è arrivata alfine l’ora della libertà. Partito di mattina, in serata è pervenuto in quel di Rosarno «una città importante, situata in un’amena posizione lungo la costa, una campagna fertile e ricca d’alberi» e celebrata per «l’eccellente vino» che vi si produceva. Transitando per la Piana ha potuto rivolgere uno sguardo alle distruzioni operate dai terremoti e a trarne delle stime. Il 16 ha toccato Seminara, al cui proposito ancora ha ricordato i sismi e i banditi dai quali il territorio era afflitto. L’11 marzo è giunto finalmente a Villa. Libero a Messina il 21, si è poi imbarcato per Malta, ma solo il 13 aprile ha toccato terra a Cefalonia. Il 15 era ormai in salvo sulla sua nave.

   Nel 1812 si è trovato in Spagna, quindi ha partecipato all’attacco a New Orleans. Per una ferita ricevuta in quel di Trafalgar, oltre la pensione, ha ricevuto in premio a Otonabee mille acri di terreno, ma in seguito è rientrato in patria[1].

    Le peripezie di Elmhirst sono state affidate a una pubblicazione in lingua inglese edita a Londra nel 1819 da Baldwin, Cradock, and Joy col titolo “Occurrences during a Six Months Residence in the Province of Calabria Ulteriore, in the Kingdom of Naples, in the Years 1809, 1810; containing a Description of the Country, Remarks on the Manners and Customs of the Inhabitants, and Observations on the Conduct of the Frenck toward them, with Instances of their Oppression, &c. By Lieutenant P. J. Elmirst, R: N. 8vo, Baldwin and Co 1819[2]. Nel 1998 n’è stata curata un’edizione italiana da M. Martino per l’Editrice Prometeo di Castrovillari con titolo “Occurrences in Calabria nel 1909-1810”. Infine, nel 2010 il lavoro, con traduzione di Giorgio Massacra, è entrato a far parte della pregiata collana diretta da Vittorio Cappelli per l’Editore Rubbettino con intestazione “Nella Terra dei “selvaggi d’Europa”.

     Sulla coeva rivista inglese “The British critic” pubblicata proprio nel 1817 all’opera in questione sono dedicate ben nove pagine. Se ne commenta col riporto di parecchi tratti. Tale si offre come “un piccolo volume modesto, sensato, scritto senza alcuna pretesa di nulla al di là di una semplice narrazione degli avvenimenti”. Elmirst in buona sostanza “ha raccontato la sua storia in maniera semplice, succinta e con pochi dettagli, e questo è il miglior elogio a cui dovrebbe mirare uno scrittore di viaggi, il valore intrinseco della sua storia è un’altra questione”. Il merito, quindi, va attribuito a quel che racconta più che a come racconta[3]

Rocco Liberti

[1] A Naval Biographical Dictionary: comprising the life and services of every living officer in her Majesty’s navy etc., by William R. O’Byrne, Esq., London, John Murray, 1849, p. 336; History of the Count of Peterborough, Ontario, Toronto, C. Blakett Robinson, 5 Jordan Street, 1884, p. 679.
[2] The British critic, new series; vol XI, London 1819, p. p. 67.
[3] Ivi, pp. 26, 75. I riporti non segnalati in nota sono tratti dal volume stampato dalla Rubbettino.