domenica 16 febbraio 2025

LETTERA APERTA A CHI VUOL " FAR POESIA" ( di Ciccio Epifanio)

    Leggendo questa rivelatoria e liberatoria  “lettera” dialettale di Ciccio Epifanio, viene in mente il polverone letterario suscitato nel 1923 da Benedetto Croce quando pubblicò il provocatorio volumetto dal titolo “Poesia e non poesia”. In esso il grande filosofo meridionale tracciava lo spartiacque con cui classificare, secondo il metro dell’arte o della negazione dell’arte, la letteratura del secolo XIX, senza immaginare che esattamente dopo cento anni, ai nostri giorni appunto, bastasse cliccare una parola su uno degli innumerevoli siti che sfruttano le cosiddette intelligenze artificiali per ottenere ahimè nel giro di pochi secondi una “poesia” confezionata  sullo stesso tema  secondo le tue richieste e le tue preferenze : verso sciolto, rima, endecasillabo, ottonario, sonetto, ode, terzina e molto altro ancora... 

    E’ dunque  Ciccio Epifanio che con questa sua riflessione in versi ci sottolinea che lo studio di Croce rimane validissimo ancora oggi, anzi oggi più che mai, e non solo per il proliferare abnorme di “poeti” a tutti i livelli e a tutte le latitudini, ma anche perché si è di nuovo smarrita la vera cognizione della “poesia”, intesa sempre più come composizione letteraria stucchevole di parole messe insieme, sempre meno come esperienza stupita dell’universo nella sua variegata fenomenologia quotidiana. Poesia, vuole ribadirci l’autore di questa originale ballata dialettale, è tutto ciò che di più spontaneo, inatteso e stupefacente caratterizza la vita  e poeta è semplicemente colui che sa cogliere il moto segreto che tutto ciò che ci sorprende suscita dentro di noi e poi tradurlo in parole che lasciano un segno nell'anima.

    Innumerevoli critici letterari dopo Croce cercarono di percorrere il solco da lui tracciato per qualificare il significato e la portata di ciò che è poesia, molti ripetendone il pensiero, altri cercando di superarlo a seconda delle scuole cui appartenevano: se ci si addentra nella letteratura che in un secolo è fiorita sull’argomento, nelle sterminate pagine pubblicate a proposito o a sproposito su un tema tanto delicato , si rischia di rimanere invischiati nell’ovvio, nelle infinite classificazioni, negli aridi cataloghi che indicano poco o nulla, perché la poesia, quella vera, sfugge a ogni astratta valutazione, a ogni canone preconfezionato. 

   Non per nulla, secondo Ciccio Epifanio, la poesia è “arti e magaria”, è il moto dell’anima suscitato dai colori e dai suoni e dalla grandezza della natura, dalla voce di un lattante, da tutto ciò che di imprevedibile apre il cuore indurito dell’uomo e lo fa palpitare. Poesia è anche ammirazione per l’arte sublime che trovi in una terzina dantesca o nel pianto di chi sa tradurre in parole la tua sofferenza per la quale tu non trovi parole. Ma non è facile tradurre questo universo di sentimernti, di emozioni e di immagini nel linguaggio poetico: sono indispensabili arte, misura e pulizia nel lessico e nel verso, nel suono e nel ritmo, ma è necessario anche rispetto assoluto per il potere evocativo e pedagogico delle parole. E questa composizione ne è un chiarissimo esempio! (Bruno Demasi).


Ncè cu spiccica paroli
e cu spiccica capiji
ncè cu ‘a rima no’ nci coli
e cu ‘mbeci guarda ‘e stiji.
Ma pe fari poisia
nci voli arti e magaria.

Ora, pe’ veniri o’ puntu,
senza tanta gapparìa,
vi lu dicu e vi lu cuntu
chi vordiri poisia:
accussi,’ a Diu e no’ peju,
vi rifriscu u ceraveju.

Se ‘na matinata ‘i maju,
quandu zzumpanu li hjuri,
vui guardanduli a lu taju
sthracangiati di culuri,
se vi pigghja ‘a fantasia
chija certu è poisia.

Se ‘na notti i menz’agustu
quandu volanu li stiji
vi sentiti cchjù du giustu
arrizzari li capiji,
no nci voli profezia
mu si sapi ch’è poisia.

Se lu cori vostru ntinna,
quandu ncè ‘ nu criaturi
chi da’ mamma cerca ‘a minna
e diciti: “chistu è amuri!”
Non diciti ‘na bugia,
ma la pura poisia.

Se a lu voscu ammenza e’ fogghji,
quandu u tempu zagalija
chiju sonu chi si sciogghji
vi rifrisca e vi ricrija,
ora vui, sentiti a mmia,
chiju sonu è poisia.

Se lejendu o’ Fiorentinu
vui dill’arti soi divina
vi sentiti u cori chinu
quandu sciogghji la terzina,
se vi ‘mmaga l’armunia
è lu cantu d’a poisia.

Se di frunti a l’univerzu
vi sentiti ‘na ppenicchja
e di chiju celu perzu
volarrissivu na nticchja,
se vi juma ‘a fantasia
ncè ‘nu mari di poisia.

Perciò ddunca la poisia
esti comu chija cosa
undi u cori si ricrija
e la menti si riposa:
nuju oru o mercanzia
po’ pattari la poisia. 

 


P.S. 

Mu cunchjudu ‘stu cumandu
manca sulu n’atru accentu:
pe’ scriviri poetandu
nci vò gnagna e sentimentu.
Se no ncè, tu senti a mmia,
dassa stari la poisia!

Ciccio Epifanio