Vede la luce in questi giorni con il titolo “Chiju chi cunta” per i tipi della DBE, dinamica casa editrice meridionale diretta con grande entusiasmo da Remo Barbaro, un bel volume di liriche prevalentemente vernacole di Maria Teresa Iaria che arricchisce significativamente il nostro patrimonio linguistico e letterario calabrese.
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C’è una lirica grondante rimpianto in questa snella, ma ricca raccolta che comprende idealmente quasi tutte le altre: ‘U faddàli ‘i me’ nonna che ha almeno due valenze nascoste: ti rimanda al tempo perduto della semplicità, in cui tutto il superfluo, peraltro inesistente, lasciava spazio ai beni veri, e sintetizza tutte le altre dimensioni liriche che hanno dato e danno a queste composizioni eterogenee unitarietà, quasi fossero tutte racchiuse in quel mistero di calore umano e di affetti che era il faddàle, la risorsa segreta di ogni donna del passato per offrire pace e consolazione ai più piccoli, ma non di rado anche ai grandi:
… Cu iju ‘a nonna ‘i lacrimi sciucava
di’ niputeji ‘ u chiantu cunsulava
di’ niputeji ‘ u chiantu cunsulava
Sembra ancora di vederlo quel faddàle , quel grembiule, che per molte donne aspromontane era l’unica ricchezza e l’unico emblema di una femminilità ancestrale, che tutto sapeva capire e coprire, spiegare e tradurre in gesti e azioni sempre volte al bene di chi stava intorno.
Sono fermamente convinto sia lo stesso spirito con cui Maria Teresa Iaria dà oggi alle stampe questa bella silloge di gesti e di azioni senza tempo tradotte in parole poetiche e in suggestioni che, messe insieme, ridanno vita a quadri paesani e non paesani non aridamente inventati , ma assortiti con la spontaneità di chi vuol far rivivere situazioni perdute senza faticose ricerche di rima o di metro, ma col gioco lieve delle assonanze che restituiscono musicalità e dignità ad ogni contenuto lirico. E’ come se l’Autrice rinunciasse a ogni magniloquenza per suggerire ricordi e situazioni che parlano al cuore di chi legge lasciandogli intatta la libertà di ricordare e di rimpiangere al di fuori di schemi precostituiti:
Ieu restu ccà, mi saziu di restanza
e penzu o’ suli da’ me’ cotraranza…
e penzu o’ suli da’ me’ cotraranza…
Rivivono in questa dimensione i bozzetti dedicati a Oppido nuovo e antico, ai suoi fasti e alle sue ferite profonde, ma anche all’ intero Aspromonte:
Cu ‘nu signu di cruci lu Signuri
Cangiau li petri in pani per amuri…
Cangiau li petri in pani per amuri…
E rivivono ancora in questi versi vernacoli, fluidamente adattati, i grandi misteri della fede cristiana che per secoli hanno alimentato il coraggio antico sulle difficili balze aspromontane: L’Addolurata; ‘A Nunziata; Ecce ancilla Domini; E vinni Maria; Resurrezione; Fujiti fujiti; ‘A Patruna ‘mbavagliata; ‘A Madonna no’ nescìu; Preghiera a’ Nunziata; ‘ A parabula du’ ficu : un rosario di certezze, forse in parte smarrite, e di antiche e nuove emozioni che Teresa Iaria chiama a rivivere col linguaggio dei padri attentamente ricercato e valorizzato perché a sua volta diventi viatico per un presente sempre più privo di risorse e di bellezza.
A volte il verso diventa descrittivo e didascalico nella dimensione della semplicità del racconto quotidiano ( Pasta c’a liva; L’acqua, U cafè; ‘A putijha ‘i ‘na vota, U vizzari;’ A vecchia patenti; U panaru d’i morti; Ospitalità; Auguriji ‘i bon annu, Amurusanza), ma spesso sa tingersi anche di colori accesi quando vuole rendere sentimenti più forti di ribellione o di sdegno ( Teniti ‘o toi; No’ ndi potimu chhiù) e raggiunge echi straordinari di rimpianto nel tratteggio di alcune emblematiche figure mamertine irrimediabilmente perdute ( ‘U medicu; Melu ‘u spazzinu ).
Un verso fluido, solo apparentemente minimale, che sa cimentarsi con orgoglio nella difficile traduzione in vernacolo da Shakespeare ( ‘Nu sonettu pe’ l’amuri), nella restituzione dialettale di grandi temi di cronaca ( ‘A catradali ‘i Notre- Dame; Catradali e foresti di fumu ) , ma anche nell’esercizio della lirica pura o dell’immaginazione ( Segretu amuri”; Quando moru nc’icu tuttu o’ Signuri) senza riununciare mai a trarre delle considerazioni che, come in Nustalgia , sanno subito far lievitare l’emozione e la condivisione di chi legge:
…Puru chi ‘u tempu passa
E tuttu è cchiù luntanu
Chiju penzeru ‘ntassa
E ‘u teni ‘nta ‘na manu…
E tuttu è cchiù luntanu
Chiju penzeru ‘ntassa
E ‘u teni ‘nta ‘na manu…
Tutte liriche da centellinare con calma, cercando di gustare le atmosfere che esse evocano: faresti un errore tu che leggi a visionarle di fretta ed archiviarle aridamente nella tua memoria perché è proprio alla tua memoria vigile del tempo vissuto che esse si rivolgono con umiltà e calore , ricordandoti quando
… ja vita era nda ‘nu metru quatratu,
ora faci parti tuttu d’u passatu..
ora faci parti tuttu d’u passatu..
Bruno Demasi