Nel centenario silenzioso della nascita di Franco Costabile, un poeta di cui tutti dovremmo conservare nella memoria almeno qualche verso, tornano ad affiorare mille echi e suggestioni sullo stato dell’Arte in questa terra di Calabria magnifica e tossica, dolcissima e amara fino al pianto. Quando infatti si parla, si legge o si scrive di poesia, si cade spesso nel tranello di cercare a tutti i costi il poeta più rappresentativo di uno stile, di una regione, di un contesto geografico o letterario: ne nascono classifiche imbarazzanti e mai veritiere, che non rendono giustizia a nessuno, soprattutto alla poesia, ma fanno almeno affiorare i mille limiti di quella che Croce con un pietoso eufemismo definiva la “Non poesia” dilagante. Per me c’è un solo modo per comprendere se, leggendo o ascoltando dei versi ( non parole in libertà) , ti trovi davvero dinanzi a quella sintesi di suoni e di immagini che ti trafiggono l’anima, ti riportano dalla tua fanciullezza gli aneliti che hanno impregnato la tua esistenza, riproponendoti continuamente quella vita e quella terra sempre cercate e mai trovate davvero.
Ricordo che quando conobbi per la prima volta le liriche di Franco Costabile, anziché avvertire ( come spesso accade in questi casi ) la fretta di completarne la lettura alla meno peggio, provai l’urgenza di rileggerle, di riassaporarle, di cercarne altre ancora, a loro volta da gustare e poi rileggere, chiedendomi sorpreso se fosse proprio vero che la Calabria avesse partorito una mente e un cuore simili. Una mente e un cuore tanto grandi da stupire persino Ungaretti che mai si era sbilanciato a giudicare ed apprezzare altri poeti diversi da sè e che di Franco Costabile fu paterno ed intenso ammiratore, come scrisse in alcuni versi del suo ricordo estremo che divenne in seguito l’epitaffio scolpito sulla tomba del Poeta dopo sua prematura scomparsa:
“Con questo cuore troppo cantastorie”
dicevi ponendo una rosa nel bicchiere
e la rosa s’è spenta a poco a poco
come il tuo cuore, si è spenta per cantare
una storia tragica per sempre.
dicevi ponendo una rosa nel bicchiere
e la rosa s’è spenta a poco a poco
come il tuo cuore, si è spenta per cantare
una storia tragica per sempre.
Franco Costabile nasce a Sambiase (oggi Lamezia Terme) il 27 agosto del 1924, conoscendo fin da piccolo l’amarezza dell’abbandono del padre che lasciò la famiglia per andare a insegnare in Tunisia, rifiutandosi di tornare anche davanti ai reiterati inviti della moglie. Compie gli studi a Nicastro e Vibo e quelli universitari a Messina e poi a Roma. Nel 1950 pubblica a proprie spese il suo primo libro di poesie, Via degli ulivi. Nel 1953 sposa Mariuccia Ormau, sua ex allieva. Da questo matrimonio nascono le figlie, Olivia e Giordana . Sono anni duri per il poeta, che ancora nel 1961 lavora come docente precario nella scuola. In questo stesso anno pubblica La Rosa nel bicchiere, una raccolta di poesie, che aveva visto la luce nel corso degli anni Ciquanta su varie riviste: alla RAI viene fatta una lettura dei suoi versi da parte di Valeria Moriconi. Mariuccia intanto si trasferisce a Milano portando con sé le due figliole: è un secondo distacco, un secondo abbandono familiare a ridosso del quale si rompono definitivamente i rapporti col padre lontano, mentre nel 1964 muore la madre, affetta da un male incurabile. Il 14 aprile 1965, Franco si toglie la vita.
Se il numero delle pubblicazioni fosse direttamente proporzionale alla grandezza di uno scrittore, penseresti che Franco Costabile abbia pochissimo da dire alla letteratura italiana e a quella calabrese. Mai invece, come nel suo caso, la povertà di pubblicazioni rivela una grandezza poetica tanto dirompente che non solo i manuali di letteratura dovrebbero aggiornarsi radicalmente a valorizzare , ma il mondo della scuola, quello calabrese più che mai, dovrebbe rinunciare a mille convenzioni inutili per farla conoscere a tutti gli alunni. A me rammarica soltanto di non avere qui e ora lo spazio, il tempo e la vista per riportare uno ad uno tutti i suoi versi, nessuno escluso perché nessuno é posticcio o riempitivo o superfluo!
Franco Costabile, di cui meritoriamente oggi Rubbettino Editore pubblica l’opera poetica proprio col titolo “La rosa nel bicchiere”, parla proprio dal cuore della vera Calabria, evoca perdite che nessuno mai ha rimpianto, usanze e umiliazioni inaccettabili e supinamente accettate, dà voce e parola ai silenzi inauditi della nostra gente, alle ferite sempre sanguinanti e nascoste , ai dolori e alle ironie che distruggono quotidianamente questa terra:
SCALPITA LA MULA
Dorme il gallo
e continua la luna
oltre i canneti.
Una lanterna
già nel vicolo è accesa
scalpita la mula:
è l’alba calabrese
che ruba al contadino
anche il sonno.
LA ROSA NEL BICCHIERE
Un pastore
un organetto
il tuo cammino.
Calabria,
polvere e more.
Uova
di mattinata
il tuo canestro.
Calabria,
galline
sotto il letto.
Scialli neri
il tuo mattino
di emigranti.
Calabria,
pane e cipolla.
Lettera
dell ‘ America
il tuo postino.
Calabria,
dollari nel bustino.
Luce
d’accetta
l’alba
dei tuoi boschi.
Calabria,
abbazia di abeti.
Una rissa
la tua fiera
Calabria,
d’uva rossa
e di coltelli.
Vendetta
il tuo onore.
Calabria,
in penombra,
canne di fucili.
Vino
e quaglie,
la festa
ai tuoi padroni.
Calabria,
allegria
di borboni.
Carrette
alla marina
la tua estate.
Calabria,
capre sulla spiaggia.
Alluvioni
carabinieri,
i tuoi autunni,
Calabria,
bastione
di pazienza.
Un lamento
di lupi,
i tuoi inverni.
Calabria,
famigliola
al braciere.
Francesco di Paola
il tuo sole.
Calabria,
casa sempre
aperta.
Un arancio
il tuo cuore,
succo d’aurora.
Calabria,
rosa nel bicchiere.
I TINI SONO VUOTI NEL PALMENTO
I tini sono vuoti nel palmento
e la lucerna illumina al padrone
la bocca della donna forestiera.
E si lamenta, piange la chitarra
del massaro.
Fra le raspe dell’uva nella strada
la bambina con il viso di mosto
guarda la luna negli occhi del bove.
E si lamenta, piange la chitarra
del massaro.
TARANTELLA D’ESTATE
Tarantella d’ estate
che fai vibrare
i seni alle ragazze
e ribattere il piede
alla vecchiaia
che sa di baffi
e sigaro toscano,
tu finirai stanotte
con le stelle
se qualcuna
condotta per mano
salirà verso i vigneti in fiore
mentre in giro per l’ aia
Si assaggia
il vino d’una botte antica.
GIORNI RIPOSATI
Monti,
orizzonti,
golfi
di sapienza.
Un passero
cinguetta in calabrese.
Boschi dorati, la nonna è all’arcolaio.
Giorni riposati,
il grano è nel solaio.
AUSTRALIA
Era come te
nella vigna
un giorno di marzo
di vento di sole.
Di tanto, o padre,
non t’è rimasto
che qualche cartolina
a un angolo,
sul vetro della cristalliera.
CALABRIA INFAME
Un giorno
anche tu lascerai
queste case,
dirai addio,
Calabria infame.
Solo
ma leale
servizievole,
ti cercherai
un’amicizia,
vorrai sentirti
un po’ civile,
uguale a ogni altro uomo;
ma quante volte
sentirai risuonarti
bassitalia,
quante volte
vorrai tu restare solo
e ripeterti
meglio la vita
ad allevare porci.
Dorme il gallo
e continua la luna
oltre i canneti.
Una lanterna
già nel vicolo è accesa
scalpita la mula:
è l’alba calabrese
che ruba al contadino
anche il sonno.
LA ROSA NEL BICCHIERE
Un pastore
un organetto
il tuo cammino.
Calabria,
polvere e more.
Uova
di mattinata
il tuo canestro.
Calabria,
galline
sotto il letto.
Scialli neri
il tuo mattino
di emigranti.
Calabria,
pane e cipolla.
Lettera
dell ‘ America
il tuo postino.
Calabria,
dollari nel bustino.
Luce
d’accetta
l’alba
dei tuoi boschi.
Calabria,
abbazia di abeti.
Una rissa
la tua fiera
Calabria,
d’uva rossa
e di coltelli.
Vendetta
il tuo onore.
Calabria,
in penombra,
canne di fucili.
Vino
e quaglie,
la festa
ai tuoi padroni.
Calabria,
allegria
di borboni.
Carrette
alla marina
la tua estate.
Calabria,
capre sulla spiaggia.
Alluvioni
carabinieri,
i tuoi autunni,
Calabria,
bastione
di pazienza.
Un lamento
di lupi,
i tuoi inverni.
Calabria,
famigliola
al braciere.
Francesco di Paola
il tuo sole.
Calabria,
casa sempre
aperta.
Un arancio
il tuo cuore,
succo d’aurora.
Calabria,
rosa nel bicchiere.
I TINI SONO VUOTI NEL PALMENTO
I tini sono vuoti nel palmento
e la lucerna illumina al padrone
la bocca della donna forestiera.
E si lamenta, piange la chitarra
del massaro.
Fra le raspe dell’uva nella strada
la bambina con il viso di mosto
guarda la luna negli occhi del bove.
E si lamenta, piange la chitarra
del massaro.
TARANTELLA D’ESTATE
Tarantella d’ estate
che fai vibrare
i seni alle ragazze
e ribattere il piede
alla vecchiaia
che sa di baffi
e sigaro toscano,
tu finirai stanotte
con le stelle
se qualcuna
condotta per mano
salirà verso i vigneti in fiore
mentre in giro per l’ aia
Si assaggia
il vino d’una botte antica.
GIORNI RIPOSATI
Monti,
orizzonti,
golfi
di sapienza.
Un passero
cinguetta in calabrese.
Boschi dorati, la nonna è all’arcolaio.
Giorni riposati,
il grano è nel solaio.
AUSTRALIA
Era come te
nella vigna
un giorno di marzo
di vento di sole.
Di tanto, o padre,
non t’è rimasto
che qualche cartolina
a un angolo,
sul vetro della cristalliera.
CALABRIA INFAME
Un giorno
anche tu lascerai
queste case,
dirai addio,
Calabria infame.
Solo
ma leale
servizievole,
ti cercherai
un’amicizia,
vorrai sentirti
un po’ civile,
uguale a ogni altro uomo;
ma quante volte
sentirai risuonarti
bassitalia,
quante volte
vorrai tu restare solo
e ripeterti
meglio la vita
ad allevare porci.
Costabile è anche il poeta dal verso mai casuale e arrangiato, ma sempre misurato, pulito, evocatore, che ti fa immergere profondamente nei luoghi, nei suoni, nei momenti di una storia antica e sempre attuale: i luoghi della poesia e della Calabria in cui si rincorrono voci e urla secolari di madri accorate che ancora popolano una terra riarsa e avida di pioggia e di pianto. E’ un verso incisivo, breve, dirompente scarnificante come le semplici allegorie spesso evocate che ti ricordano Pavese e le sue colline e i suoi contadini , facendoti quasi capire , come afferma Luigi Tassoni, che “per consonanze storiche, Franco Costabile appartiene a una generazione complessa qual è quella di Pasolini, di Zanzotto, di Cattafi, di Scotellaro, di Sanguineti, di Erba, e a questa mappa di diversità aggiunge le sue differenze. L’elemento che più d’ogni altro lo collegherebbe ai suoi naturali compagni di strada consiste nella forza di un linguaggio che rivendica il proprio essere tagliente, la capacità di pensare alla vita che sta sotto alla vita.”
Direi che la vita, “ che sta sotto alla vita” e che rigenera sempre questa terra, in queste liriche è raffigurata in mille metafore, ma soprattutto dai numerosi ritorni del poeta all’immagine degli ulivi, alla loro sacralità immortale che impregna le balze della Calabria e si contorce nel legno secolare attraverso valori sempre smarriti e sempre ritrovati:
PER ALTRI SENTIERI
Per altri sentieri
torneremo alla piana
celeste di ulivi.
Saremo
dove si leva
l’infanzia dei profumi;
dove l’acqua
non si fa nera
ma vacilla di luna;
dove i passi
avranno memorie di solchi
e le dita di melograni;
dove ti piace dormire
e ti piace amare….
Sono questi gli orti,
i confini per ricordarci.
DAI CAMPANILI
Dai campanili
dipinti di silenzi casalinghi
voce in paese non discende ormai.
Rimane nel cielo di lilla
che si vuota di rondini ogni sera.
Ma basta al cuore
il fumo dei comignoli,
il passo di chi torna
dalla via degli ulivi.
TERRA REALE
Ulivi,
ducati
d’argento.
Ulivi,
costati
di donne.
Sempre
c’è ulivi,
terra reale.
CE N’È DI PAESANI
Ce n’è
di reste d’agli
nelle case,
di cartuccere
e di madonne appese.
Ce n’è di donne
scalze senza pane
a raccogliere frasche
a vendemmiare.
Ce n’è di gente
che zappa e non parla
perché pensa
a un’annata migliore.
Qui tutto
è come prima,
tranne i morti.
Ce n’è
di caporioni
sotto il sole,
di fichidindia
e pistole lucenti,
Ce n’è di ulivi
bruciati nella notte
fucilate
a finestre e balconi…
Bruno Demasi
Per altri sentieri
torneremo alla piana
celeste di ulivi.
Saremo
dove si leva
l’infanzia dei profumi;
dove l’acqua
non si fa nera
ma vacilla di luna;
dove i passi
avranno memorie di solchi
e le dita di melograni;
dove ti piace dormire
e ti piace amare….
Sono questi gli orti,
i confini per ricordarci.
DAI CAMPANILI
Dai campanili
dipinti di silenzi casalinghi
voce in paese non discende ormai.
Rimane nel cielo di lilla
che si vuota di rondini ogni sera.
Ma basta al cuore
il fumo dei comignoli,
il passo di chi torna
dalla via degli ulivi.
TERRA REALE
Ulivi,
ducati
d’argento.
Ulivi,
costati
di donne.
Sempre
c’è ulivi,
terra reale.
CE N’È DI PAESANI
Ce n’è
di reste d’agli
nelle case,
di cartuccere
e di madonne appese.
Ce n’è di donne
scalze senza pane
a raccogliere frasche
a vendemmiare.
Ce n’è di gente
che zappa e non parla
perché pensa
a un’annata migliore.
Qui tutto
è come prima,
tranne i morti.
Ce n’è
di caporioni
sotto il sole,
di fichidindia
e pistole lucenti,
Ce n’è di ulivi
bruciati nella notte
fucilate
a finestre e balconi…
Bruno Demasi