sabato 10 agosto 2024

MESSIGNADI : DAL MISTERO DEL NOME A UN ’ ALTRA STORIA ( di Bruno Demasi )

      Esistono località il cui nome attuale apparentemente non trova riscontri documentabili nel passato più o meno lontano del territorio in cui sorgono. Si ricorre allora a ipotesi, congetture, ricostruzioni che in qualche modo possono avere un fondo di verità o almeno di verosimiglianza. Messignadi è una di queste realtà, oggi frazione del comune di Oppido Mamertina, ieri presumibilmente contesto rurale e commerciale a sé stante avente una vita economica e sociale propria, come tanti indizi lascerebbero intendere. Sulle sue origini il dibattito è vivo, anche ad opera dell’intelligente blog fondato da Filippo Tucci “Messignadi nel tempo”, curato dopo la sua prematura scomparsa dalla consorte  e dal figlio, che tanto impulso ha dato e continua a dare al lavorio culturale di vari studiosi e appassionati di storia e di storie locali. Proprio da questo blog e dalla sua appassionata ricerca di notizie e immagini del passato traggo la foto di apertura di questo articolo: una ragazza messignadese che all’indomani del tremendo sisma del 1908 posa sulle macerie del paese quasi a testimoniare con la freschezza del suo viso e l’armonia della sua figura la composta e dignitosa testardaggine di un intero paese sempre pronto a risorgere dalle proprie ceneri e a superare non solo le tempeste del tempo, ma anche i limiti sociali per riemergere ed evolversi con fatica e impegno tenaci. E’ questa una costante sempre viva nell’animus di Messignadi che ne costituisce il vero volano di sviluppo, di conquista culturale e di progresso , in questi ultimi decenni documentato non solo dall’emigrazione che, se non smette di sottrarre braccia e menti al benessere del luogo, continua a dare altrove esempi di creatività imprenditoriale e di talento, ma anche dall’elevatissimo numero di laureati che  sempre più  sta  facendo da lievito  per le nuove generazioni.

    Sicuramente molto lodevoli i tanti tentativi che in questi anni sono stati e sono ancora fatti per risalire a qualche certezza sull’origine dell’abitato di Messignadi e del suo nome, tante le ipotesi enunciate che, per comodità del lettore, cercherò qui preliminarmente di sintetizzare schematizzando quelle più accreditate:

IPOTESI ZERBI / FRASCA’
    Entrambi questi cultori della cronistoria di Oppido e del suo territorio, sia pure a distanza di oltre mezzo secolo l’uno dall’altro, non si sbilanciano e non si discostano sull’origine di Messignadi: per il primo ( Della città , chiesa e diocesi di Oppido Mamertina e dei suoi vescovi, Roma, 1876, pp142-143), che sembra mutuare la notizia da tale Francesco Sacco, il luogo sarebbe stato un feudo della mensa vescovile di Oppido, mentre il secondo ( Oppido Mamertina - Riassunto cronistorico, Cittanova 1930, pp 229-231) ritiene che Messignadi avrebbe avuto un’origine genericamente medioevale e, pur non riconoscendo ad esso un passato storico degno di rilievo, fa un apprezzamento decisamente cortese verso gli abitanti di questo centro rurale affermando che “ tutti dediti all’agricoltura, sono sobri, equilibrati e di gran cuore”.

IPOTESI MARZANO
    Giovan Battista Marzano, affidando la sua indagine esclusivamente ad un’analisi etimologica del nome , propende per la derivazione greca dello stesso da μεσογειος – mesogeios, mediterraneo, a metà strada. Una congettura sbrigativa e falsamente autorevole ( come tutte le possibili derivazioni, stiracchiate o meno, dal greco o dal latino), ma direi anche del tutto ingenua e aleatoria: a rigori tutti i paesi e gli abitati potrebbero essere considerati infatti geograficamente “terre di mezzo”.

IPOTESI ROHLFS
    Secondo il celebre glottologo tedesco Gerhard Rohlfs il nome di Messignadi altro non sarebbe che la volgarizzazione estensiva del nome indicante appartenenza ad un feudo di una presunta famiglia ” Messineo”. Anche tale congettura, ripresa da Emilio Barillaro, è estremamente fragile, peraltro non suffragata dalla presenza in loco di tale cognome non solo in tempi recenti, ma neanche in epoche passate .

IPOTESI PENSABENE / TUCCI
    Il Pensabene , riprendendo il solco tracciato dal Marzano, propenderebbe per un’ascendenza latina del toponimo che deriverebbe da  Messinnarium, luogo deputato alla coltivazione e all’ammasso delle messi. Ipotesi decisamente suggestiva, pienamente condivisa da Filippo Tucci, l’instancabile raccoglitore di memorie patrie. Potrebbe essere parzialmente fondata: Messignadi cioè 'centro delle messi', luogo di deposito, smistamento e commercializzazione dei prodotti cerealicoli ( e non solo) di cui, come osserva altrove lo stesso Liberti, il territorio potrebbe avere abbondato prima dell’impianto degli uliveti, anche se la sua inequivocabile vocazione economica era legata alla pastorizia in un contesto territoriale collinare e montano prevalentemente boschivo. Probabilmente però l’equivoco di fondo è che il termine Messinnarium non esiste nell’etimologia latina o potrebbe esistere al massimo nei volgari tardolatini se non medioevali.

IPOTESI LANDO
    Don Giuseppe Lando, benemerito e beneamato sacerdote messignadese, nel 1987 nel suo affettuoso studio su  Messignadi edito ed inedito (1987) sull’origine del nome presenta almeno due ipotesi, sposando visibilmente la prima che è poi quella propognata dal Marzano: Messignadi come “ terra di mezzo” in un contesto di villaggi rurali posti a corona intorno al suo sito originario, parzialmente diverso da quello attuale. La sua seconda ipotesi, indubbiamente più peregrina, vorrebbe la derivazione del nome Messignadi da quello del “ fiume Mesima, che corrisponde all'antico Mèsma (forma più antica di Mèdma” immaginando che, “ in tempi storici un gruppo o più abitanti presso il fiume Mesima, per scampare ai pericoli di orde e di incursioni, abbiano cercato rifugio sull'amena altura (metri 350 e più sul livello del mare), alle falde del Monte Pizzunaru, dando al toponimo la loro provenienza”.

IPOTESI FERRANTE
   Interpellato sulla possibile origine di Messignadi da Padre Lando, Don Nicola Ferrante, storico e bibliotecario della diocesi metropolita di Reggio Calabria, cosi si espresse: “Per ciò che concerne Messignadi esso probabilmente deriva da un tale Joannes Mesinus, - di cui parla un atto greco del 1228, riportato da Francesco Trinchera, Syllabus Graecarum Membranarum, Napoli 1895, p.387- oppure da altro cognome simile, quasi certamente greco”(Rip. da G. Lando, ibidem) . Anche questa ipotesi appare estremamente fragile e convenzionale, con tutto il grande rispetto per padre Ferrante e per il Trinchera, da lui chiamato in causa.

IPOTESI FILIPPELLI
     Le ipotesi più recentemente avanzate sono ascrivibili a Orazio Filippelli, appassionato cultore di storie e memorie locali , estensore o comunque curatore , secondo Mirko Tucci, di una pagina dedicata su Wikipedia , dalla quale è possibile attingere altre riflessioni sul significato del termine “Messignadi”: “Le origini di Messignadi risalgono, con relativa certezza, alla Magna Grecia. Nel tempo il nome ha subito alcune variazioni; tra quelle note: Massinado, Messiniade, Mesoignadi, Mesignade. L'etimologia deriva probabilmente dalla parola greca Μεσσηνίάδoς (della Messenia), per cui si potrebbe ipotizzare che il primo nucleo sia stato fondato dagli antichi messeni, provenienti dalla Messenia, regione del Peloponneso, e inizialmente insediatisi a Zancle (antico nome di Messina) intorno al V secolo a.C. È altresì possibile che il nome Messignadi derivi dall'unione del verbo greco μεσόω con il sostantivo ναιαδi, letteralmente tradotto: che sta in mezzo alle Naiadi, divinità mitologiche, ninfe delle sorgenti. Infatti, Messignadi nell'antichità era circondata da corsi fluviali. Dei periodi greco, romano e bizantino non rimangono che fragili memorie. Tra gli anni 1050 e il 1064 Messignadi viene menzionato in alcuni contratti di compravendite e donazioni stipulati nel territorio di Oppido. Lo storico frate Giovanni Fiore da Cropani (1622-1683) nella sua "Calabria Illustrata" scrive che Mesignade ha avuto origine dalle colonie fuggitive delle città destrutte da' mori”.

IPOTESI LIBERTI

   Rocco Liberti , sulla base dei suoi numerosi e approfonditi studi condotti sugli abitati viciniori a Messignadi, e in particolare nel lavoro  Il Natale di Messignadi in Quaderni Mamertini,( n. 68, aprile 2006, pp.31-35), nonché in varie pubblicazioni precedenti e successive ad esso propende per l’ origine medioevale dell’abitato ( probabilmente XI secolo) ipotizzando una sua possibile emanazione da San Martino come era avvenuto, e come egli stesso ha in buona parte documentato, per l’abitato di Terranova. Lo stesso autore , circa la trasformazioni subite dal nome di questo abitato aggiunge con dovizia di particolari: “se in un vetusto documento del 1188 si trova Mesinido, il Barrio e l'Ughelli hanno riportato Mesinado. Il Marafioti, invece, ch'era di Polistena e, quindi, doveva ben conoscere i luoghi circonvicini, si pronunzia per Mesignade. Gli atti vaticani recano Mesignadi (1544), Misignadi (1614), Messignani (1645) ma nelle relationes ad Limina dei Vescovi è d'uopo leggere Messinnadio (1603), Messignadio (1607), Misignado (1666), ancora Messignadio (1666) e, finalmente Messignadi (1675). Si trovano poi Misignadi, in un atto di vendita del feudo oppidese rogato nel 1611 e Missignadi (1589) e Mesignadi (1614) nei relevi, documenti relativi alle successioni feudali. Nei rogiti dei notai si avverte un nitido Messignadi sin dal 1626. Nel sinodo del Diano Parisio del 1670 c'è Misegnadi e Mesignadi, mentre sulla campana grande della chiesa parrocchiale datata 1588 si rinviene Misignadi…”

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  Sono tutte ipotesi che gettano indubbiamente squarci di luce più o meno apprezzabili su un mistero di difficile soluzione perché non suffragato né da testimonianze archeologiche, sia pur minime, né, come si è potuto vedere, da riferimenti documentari anche indiretti. La gran parte di esse dunque è fondata prevalentemente solo sulla  ricerca etimologica che cerca di svelare origine e significato di un nome ancora avvolto nel mistero e che, a mio sommesso parere, non ha alcuna attinenza con derivazioni antiche greche o latine propriamente dette. L’unica suggestiva interpretazione su un’origine di epoca latina molto tarda, comunque postimperiale, potrebbe essere, come si è osservato, l’interpretazione  Pensabene / Tucci che si fonda sull’idea di un territorio messignadese interessato da forti e ricorrenti migrazioni dagli abitati viciniori per ragioni di sicurezza o forse anche produttive e commerciali. Un territorio in cui nei secoli si sarebbe venuto a creare una sorta di emporio sparso e allargato a cui facevano capo i commerci da e per i centri circonvicini e probabilmente anche verso alcuni centri della costa ionica che avevano facile accesso a questo territorio attraverso gli agevoli passi di cui erano disseminati gli antichissimi tratturi montani e collinari.

    Un fatto quindi  è certo: nella carenza di altre informazioni documentarie e/o archeologiche la ricerca etimologica sull’origine del nome e dell’abitato di Messignadi non solo è obbligatoria, ma è addirittura fondamentale, a condizione che non sia peregrina o addirittura fiabesca e che si fondi su dati di fatto certi e, almeno linguisticamente, incontrovertibili.

     L’unico termine preciso delle lingue antiche che delinea graficamente e semanticamente il nome di cui stiamo trattando è il termine ebraico מבולגן che nella nostra dizione italiana suona con impressionante esattezza “messigna” o “messign” , un aggettivo che, grazie anche al suo suffisso, indica appartenenza a una situazione o a un luogo caratterizzati da elementi edificativi sparsi, non organizzati in un ordine minimo, e che ci rimanda a un contesto abitativo nato e cresciuto in maniera del tutto casuale. E se il nome è inequivocabilmente di origine ebraica, si potrebbe anche affermare con relativa sicurezza che l’identità di questo paese con ogni probabilità si è formata in un contesto socioculturale intriso di ebraismo. Non è peregrino e neanche pretenzioso attribuire questa origine al nome di Messignadi perché abbiamo precedenti illustri: la presenza o l’influenza ebraica sono documentabili in maniera eloquente dalle sopravvivenze etnoantropologiche e da una acuta e seria indagine onomastica e linguistica, come fece Franco Mosino per documentare la presenza ebraica a Bagnara (Franco Mosino: Ricerca sugli Ebrei a Bagnara Calabra in età moderna…il metodo storico-linguistico… in Calabria Sconosciuta n. 93/2002). Molti forse sosterranno che non basta questo metodo e che servono prove archeologiche e documentarie, ma, come osserva Vincenzo Villella,” la prova archeologica serve per confermare non per negare una presenza…” (V. Villella: “Ebrei di Calabria, 2024, pag.318). D’altronde, come afferma Sonia Vivacqua (“Calabria” in L’Ebraismo dell’Italia Meridionale peninsulare dalle origini al 1541 Congedo, Galatina, 1996, p.300) “…per alcune località l’unica attestazione della presenza ebraica è costituita proprio dal toponimo”

     Restringendo il raggio d’azione, si possono dunque delineare alcuni corollari di analisi funzionali a questa nuova e finora inedita ipotesi di lavoro:
 
  La prima riflessione possibile è che l’abitato “ sparso e disordinato ” di cui stiamo trattando, non organizzato in forma urbana ed originatosi probabilmente come emporio agricolo-commerciale equidistante da vari importanti centri interni del territorio della tourma delle Saline, verosimilmente esiste fin dalla prima colonizzazione bizantina e l’abbondante presenza di toponimi di derivazione greca (“Barvini”, “Calivia”, “Cumbuzzuni, “Figurella”, “Fodia”, “ Folìa, “Petti”, “Raci” , “Sciana”, “Viddiu” ) potrebbe esserne una testimonianza. L’intera zona in ogni caso nell’XI secolo potrebbe essere stata popolata o ripopolata ad opera di profughi provenienti da centri vicioniori, plausibilmente da San Martino. Mi permetto di sottolineare in proposito un elemento indicativo che potrebbe avvalorare questa ipotesi: il titolo dato alla Madonna patrona della chiesa di San. Martino “Santa Maria della Colomba” è il medesimo attribuito al distrutto convento domenicano in contrada Filèsi proprio a Messignadi ( Convento di Santa Maria della Palomba), edificato quasi sicuramente su una preesistente cappella rurale recante il medesimo titolo.


     La seconda riflessione comporta però un interrogativo spontaneo che sorge allorquando si prende almeno atto che il nome Messignadi è etimologicamente ebraico. Ci si chiede a ragione se e in quale misura gli ebrei ebbero questa forte attinenza con questo agglomerato rurale e commerciale tanto da imporgli pubblicamente il nome che essi adoperavano per indicarlo e col quale poi è passato alla storia. Le risposte possono essere varie e vanno seguite con attenzione. Trattandosi di un sito a vocazione rurale, pastorale e commerciale ( direi anche finanziaria) sostanzialmente libero, sebbene non esente da gabelle e imposizioni tributarie esose, già nell’epoca del suo ripopolamento, può aver goduto della presenza forte e qualificante dell’elemento ebraico, che nei secoli XII – XV vi si potrebbe essere stabilizzato progressivamente concentrandosi infine in una zona bel delimitata della larghissima area rurale disponibile, e cioè la località ancora oggi chiamata dai vecchi “Timpa” (ribattezzata nel 1998, per impulso della locale scuola media di I grado, “Piazza dell’Amicizia”), quella località che costituiva l’accesso a Messignadi per chi vi arrivasse da Oppidum o comunque dal versante sudoccidentale.

   Non è aleatorio pensare che in questo lungo periodo possa essere nata e stabilizzata la denominazione precisa מקום מבולגן = “ messigna” (+ suffisso ) indicante l’appartenenza della “Timpa” a quel grande “posto sparso” in cui da tempo immemore avvenivano liberamente transazioni commerciali di ogni genere. Un contesto in cui si trafficavano beni originariamente rurali o legati alla pastorizia , di cui beneficiava buona parte della Tourma delle Saline, in condizioni tributarie se non inesistenti, mitigate, agevolate o forse addirittura aggirate dalla mancanza di controlli da parte dei governi delle varie città limitrofe o dallo stesso governo centrale bizantino localizzato a vari chilometri di distanza, esattamente a Oppidum, capitale all’epoca della tourma delle Saline, come accertato dal Gouillou (La theotokos de Hagia Agathe, Città del Vaticano, 1972).

 
   Che esistesse un contesto mercantile e culturale fortemente ebraico all’interno del quale poteva ruotare e fare la propria parte l’emporio di Messignadi è ampiamente documentabile: in una lettera a suo tempo pubblicata da Roberto Bonfil (in Sefer zikkaron le-ha-Rav Yiṣḥaq Nissim, IV, Yad ha-Rav Nissim, Gerusalemme, 1985, pp. 185-204), in cui si discute della kašeruth o legittimità per il consumo ebraico di un vino prodotto da ebrei in una vigna di gentili nella zona di Tropea, al termine della missiva, si chiede se sia meglio fondare un beth ha-midraš, ossia una scuola superiore di studi ebraici, o una sinagoga «a Tropea oppure a Oppido» (Oppido Mamertina). ( Abraham David, Recensione a Cesare Colafemmina, in The Jews in Calabria, Brill, Leiden - Boston 2012; pp. 712) Una notizia importantissima che indica con chiarezza quanto doveva essere importante e grande la comunità ebraiaca che esisteva sul territorio oppidese e su quello circostante. A confermare questa notizia ne giunge poi un’altra: un frammento epigrafico in lingua ebraica, rinvenuto nel 1948 tra le pietre di un muro a secco della vecchia Oppido , attesta appunto la costruzione, o il restauro, di una sinagoga. Il frammento è datato 5156 (= 1395-96 ), un periodo in cui le comunità ebraiche erano in Calabria in ripresa dopo la crisi provocata dagli Angioini alla fine del secolo precedente (Cfr.C. Colafemmina , Gli ebrei nella Calabria meridionale, pp. 170-172.)

    D’altra parte, che il grande territorio all’interno del quale poteva operare l’emporio messignadese fosse intriso di cultura ebraica è testimoniato da alcuni indizi di cui non si può tacere: a brevissima distanza da Messignadi, oltre la fiumara, oggi denominata Mazzi, insisteva ed insiste tutt’ora l’abitato di Tresilico, una delle cui contrade reca ancora il nome di “Judeca”; in territorio di Oppido ( che fino al terremoto del 1783 distava dall’attuale sito di Messignadi, all’incirca appena otto chilometri) è documentata l’esistenza di un “Passo del giudeo”(Liberti: Gli Ebrei nella piana di Terranova - “Alba della Piana”, 2007). Inoltre la presenza ebraica anche in Messignadi rientra ampiamente in un legame profondo esistente tra il Sud e l’ebraismo. G. Lacerenza afferma in proposito che “Scintille ebraiche in Calabria sono più consapevoli di quanto non si creda”(G.Lacerenza: Atti Convegno Int. c/o L’Orientale Napoli, 22/23 novembre 2010). E Cesare Colafemmina non esita ad affermare che “il Meridione d’Italia è stato una delle aiuole più vivaci dell’ebraismo della diaspora”( The Jews in Calabria, op cit. pag. 16).

    La “Timpa”, tra i tanti toponimi messignadesi, molti dei quali di origine neogreca, rimane un luogo ancora oggi particolarmente presente nella tradizione messignadese e la sua denominazione non deriva semplicemente dalla caratteristica orografica del terreno fortemente in declivio verso il “Raci”. Viene spontaneo ricordare che durante il periodo di presenza ebraica in Calabria, mentre nei centri maggiori i quartieri dedicati venivano denominati “Judeche” e si trovavano conglobati entro la cinta muraria urbana, nei centri minori gli stessi quartieri si trovavano fuori o ai margini della città. Gli stessi nei contesti linguisticamente interessati dalla cultura araba, venivano chiamati mellah, melie, melle, mede ( ne abbiamo un'infinità in tantissimi centri dell'attuale Piana di Gioia Tauro) ; nei contesti esenti da volgarizzazioni linguistiche arabe venivano invece chiamate “timpe” e non indicavano, come si diceva, soltanto le caratteristiche orografiche del terreno in declivio su cui sorgevano. Erano invece precisi luoghi deputati ad alcune importanti attività, quali la concia delle pelli, la tintura dei tessuti, la compravendita degli animali di allevamento e lo svolgimento di una gamma impressionante di attività nelle quali le maestranze ebraiche eccellevano: fabbricazione di calzari, di otri, pettini, botti , barili; azioni di sensali, sarti, ferraioli, trafficanti in panni, vino, olio, sapone, latticini, cera, miele.. La “timpa” di Messignadi avrebbe  anche degli illustri ascendenti in tal senso: La " Timpa"  di Benestare; “Il luogo in cui gli ebrei si insediarono a Conflenti Soprano è detto ancora oggi Timpa..."  (V. Villella, op. cit. p. 306). A Nicastro invece esisteva ( ed esiste ancora) il “Timpone” ebraico dove l’abbondanza di acque consentiva lo svolgimento delle attività artigianali di cui s’è detto, sostanzialmente monopolizzate dagli ebrei dimoranti nello stesso luogo.

    Questa plausibile presenza ebraica , peraltro testimoniata anche da molti cognomi di sicura ascendenza ebraica ancora oggi presenti in Messignadi, potrebbe essere stata un fatto reale ed in crescita costante almeno dal XII al VX secolo, periodo maggiore della sua densità. L’ ultimo quarto del Quattrocento vide infatti un significativo aumento della popolazione ebraica calabrese, ulteriormente incrementato verso la fine del secolo dall’arrivo dei rifugiati dalla Spagna nel 1492 e, nell’anno successivo, dalla Sicilia. Poco dopo la situazione degli ebrei iniziò a deteriorarsi finché, nel novembre 1510, Ferdinando d’Aragona emanò il decreto di espulsione anche dal Viceregno per gli ebrei e i neofiti, espulsione poi completata da Carlo V nel 1541. ( Abraham David, ibidem) ;

  
  Cade proprio in questo frangente, nello sbandamento determinato dal decreto espulsivo firmato da  Ferdinando d’Aragona e la necerssità che il maggior numero possibile di questi ebrei, altrimenti costretti a lasciare tutto e a scappare, depauperando di colpo l’economia locale, si convertisse alla fede cattolica, la fondazione del convento domenicano nel 1513 in contrada Filesi a Messignadi. Non è neanche un caso che tale fondazione sia avvenuta quasi certamente su una preesistente piccola struttura religiosa rurale di origine basiliana e sotto l’episcopato di Mons. Bandinello Sauli, vescovo delle diocesi unite di Oppido e Gerace e futuro cardinale fortemente zelante la conversione della popolazione ebraica residente nel Sud al cattolicesimo. La motivazione ufficiale della fondazione di tali conventi, come osservano sia Frascà che lo Zerbi, era quella di soddisfare uno scopo prettamente filantropico: dare un tetto temporaneo ai pellegrini ” in peregrinorum domum et hospitium”, ma il sito del convento in via di fondazione era assolutamente distante dalle rotte seguite dai pellegrini nei loro spostamenti. D’altronde la fondazione di un convento tanto importante sottintendeva almeno altre due ragioni molto più realistiche e abilmente taciute: la necessità di evangelizzazione di un coacervo numeroso di persone che ormai vivevano nel luogo dove esercitavano le loro attività e i loro traffici e la volontà in alto loco di ricorrere alla predicazione per la conversione alla fede cattolica di un numero di mercanti e artigiani ebrei che sicuramente era elevato. Non dimentichiamo che proprio negli stessi anni della fondazione del convento , più precisamente nel primo quarto del XVI secolo, la propaganda antiebraica con accuse di ogni genere raggiunse il suo culmine, tanto da indurre la Santa Sede a promuovere ogni azione di catechesi possibile rivolta agli ebrei, specialmente da parte degli ordini mendicanti, e, in ispecie, dai Domenicani.

    Quanto e come ciascuno di tali possibili scopi sia stato soddisfatto dalla presenza dei Domenicani in Messignadi può essere oggetto di ulteriori indagini, ma già fin d’ora possiamo presumere che essi siano stati onorati dai frati predicatori con grande cura, com’era loro costume. Il convento divenne presto un faro, non solo per i modi e i tempi della possibile conversione al cattolicesimo dell’elemento ebraico presente nel territorio, che ci sfuggono, quanto per l’elevazione sociale e culturale di un territorio fino a quel momento abbandonato a se stesso e che, grazie alla benefica influenza dei frati, andava assumendo lentamente una propria identità. Messignadi iniziava a superare faticosamente quel carattere di disordine e di casualità abitativa, civile e sociale che per molti secoli lo aveva oppresso , in contraddizione con la sua grande e intelligente operosità, ma che, secondo la parlata ebraica, gli aveva anche dato un nome misterioso, rimasto immutato nonostante il terribile sconvolgimento tellurico del 1783 che lo aveva votato all’annientamento insieme a quello del “ suo” convento.

                                                                                                                        Bruno Demasi