martedì 30 aprile 2024

FORTUNATO SEMINARA A 40 ANNI DALLA SCOMPARSA (di Bruno Demasi)


     Il I maggio 2024 ricorre il quarantesimo della morte di un grande narratore calabrese troppo presto dimenticato soprattutto dai suoi conterranei: se oggi chiedi chi sia stato Fortunato Seminara a uno studente di una qualsiasi scuola, non dico della Calabria, ma addirittura della Piana di Gioia Tauro, difficilmente potrà risponderti perché fra mille fantasiosi progetti quasi nessun collegio dei docenti ha mai sentito il bisogno dalle nostre parti di inserire nel piano di studi almeno una misera ora settimanale di lettura e analisi delle opere dei nostri grandi. E grande sicuramente è stato Seminara, non già perchè avesse aderito all’inizio della sua produzione letteraria ai canoni del cosiddetto Realismo o ad altri clichè, che sono sempre riduttivi, ma perché unanimemente ritenuto tale dalla critica letteraria del secondo dopoguerra, a partire da Vittorini, da Silone, da Italo Calvino, dallo stesso Corrado Alvaro che ne ammirava e additava la non comune vis descrittiva, la sintassi rigorosamente pulita e misurata, il virtuosismo espressivo : tutti tratti distintivi di una vena narrativa  straordinaria.

      Vide la luce a Maròpati (RC) il 12 agosto 1903 in una famiglia contadina, che, malgrado le ristrettezze dei tempi, riuscì a farlo studiare nel seminario di Mileto, poi a Reggio Calabria, quindi a Pisa e infine all'università di Napoli dove conseguì la laurea in legge. Di fede socialista, trascorse alcuni anni di esilio volontario in Svizzera e in Francia, ma il suo amore per questa terra lo spinse presto a ritornarvi. E proprio dal microcosmo di Maropati, dalla sua casa in campagna ( che pochi anni prima della sua morte sarà proditoriamente incendiata ) cominciò a collaborare ad alcune riviste di notevole spessore. Il suo primo romanzo Le baracche è del 1934, ma per la crudezza dei contenuti subisce la censura fascista e potrà essere pubblicato solo otto anni dopo. Come dice Gaetano Manacorda, “Il romanzo colloca in un mondo calabrese primitivo e barbarico la storia di una ragazza, vittima dell'ambiente e della violenza di un uomo, che l’Autore racconta in uno stile fortemente realistico ma non senza impreveduti apporti di toscanismi letterari” .
 
    Ci sono in nuce in questa prima prova letteraria tutti i valori e i contenuti, le passioni e i valori sociali che ricorreranno poi nei romanzi successivi : Il vento nell'oliveto (1951) e La masseria (1952). Con Donne di Napoli (1953) e Disgrazia in casa Amato (1954) Seminara trasferisce l’ambientazione dei suoi romanzi dal mondo rurale a quello urbano , anche se i personaggi mantengono ancora una psicologia arcaica ed affiorano prepotenti i disvalori della vendetta e degli odi familistici tipici di una borgesia di origine rurale. Sono caratteri che ritorneranno anche nel romanzo La fidanzata impiccata (1957) e nel suo seguito intitolato Il diario di Laura. Nel 1957 viene pubblicata la raccolta di racconti Il mio paese del Sud, composti addirittura prima dei grandi romanzi, che riconducono al più arcaico mondo calabrese tanto amato dall'Autore . Le ultime tre opere pubblicate, L'altro pianeta (1967) ; Quasi una favola (1976); I sogni della provinciale (1980) ci restituiscono uno scrittore disancorato dai valori che avevano animato le sue prime opere, ma sempre immerso nella profonda realtà umana e sociale della sua terra che costituiva e costituisce il suo tratto poetico irrinunciabile.

   Si è scritto molto di Fortunato Seminara e , ci si augura, molto ancora si possa e debba ancora scrivere, ma le parole migliori su di lui furono quelle usate da Italo Calvino sul quotidiano La Repubblica due giorni dopo la sua morte: "…In Seminara l’amalgama proprio del neorealismo tra stilizzazione novecentesca e tematica sociale delle classi povere si collegava più direttamente che in altri alla tradizione del verismo paesano meridionale. Ciò che lo scrittore calabrese portava di suo era un ritmo inferiore amaro e come tormentato da un oscuro rovello. Ciò si vide soprattutto (più che nella Masseria, uscito nel dopoguerra da Garzanti con ambizioni di romanzo sociale di vasto impianto) nel Vento nell’uliveto che, rifacendosi alla sua esperienza diretta, dava la migliore misura d’un lirismo contenuto nelle situazioni e nette cose. Recensendo questo romanzo, Forti­ni aveva ricordato il Tolstoj del Mattino d’un proprietario di campagna… Vittorini presentava Il vento nell’uliveto in esplicita polemica con quello che il neorealismo era diventato, sottolineando in Seminara 'un senso dell’universale che il tono sommesso e impensierito raffor­za invece di attenuare'. Sempre nei Gettoni uscì an­che, nel 1954, Disgrazia in casa Amato, che è una cupa storia d’odi paesani: un padre di fami­glia per una misteriosa vendetta viene sfregiato al volto con un colpo di coltello; si chiude in casa e si mette a letto, come paralizza­to dalla vergogna e dallo sconfor­to; moventi e colpevoli restano nell’ombra; solo un ‘atmosfera fa­miliare assediata da una tortura morale domina il racconto…
     ...Seminara era un uomo tarchiato e taciturno, un volto corrucciato che ricordava un po’ il suo conterraneo Corrado Alvaro, ma con capelli crespi e occhi pungenti. Ci eravamo conosciuti agli inizi degli Anni Cinquanta e lo consideravo un coetaneo, sia pur un poco più anziano, perché il suo atteggiamento non era diverso da quello di tutti noi che avevamo esordito nel dopoguerra, con la stessa soggezione verso gli scrittori delle generazioni precedenti che potevano emettere sentenze inappellabili su quello che scrivevamo. Solo avvertivo in lui una concentrazione più ostinata, un silenzioso orgoglio. Un giorno lo sentii dire: 'Devo mettermi all’ opera, perché ho un programma di cose da scrivere tra i cinquanta e i sessant’anni'. Trasalii. Mai avevo pensato che avesse tanti anni più di me. Quelli che per me erano allora gli 'anziani', i 'maestri', erano quasi tutti molto più giovani di lui. Seminara aveva dietro di sé anni oscuri di vita di paese, di attese del postino con la risposta dell’editore che non arrivava mai. I miei rapporti con Seminara erano soprattutto epistolari, legati all’invio di manoscritti di cui alcuni non arrivavano alla pubblicazione, fatto che non mancava di provocare rancori e lunghi intervalli di silenzio. Invano cercavo di scoraggiare una delle sue ambizioni, che era il romanzo di epica sociale sul tipo delle Terre del Sacramento di Jovine, con personaggi oratori e profetici, che certo non corrispondeva alla sua vera vena. Con soddisfazione avevo potuto invece scrivere qualche mese fa al vecchio amico malato che avevo letto con piacere il suo ultimo romanzo…La vitalità del protagonista, un mulattiere che riesce dal nulla a metter su una raffineria d’olio per finire inghiottito dagli intrallazzi politici e burocratici del capoluogo, e l’attualità del tema: un 'Mastro Don Gesualdo' dell’epoca del boom economico e delle speranze deluse dell’industrializzazione in Calabria, fanno l’interesse del libro. Nell’opera di Seminara si potrà dunque seguire un mezzo secolo di storia del profondo Sud e soprattutto gli accenti d’una voce grave e pausata, dal profondo di un’anima ricca di nobiltà e di ritegno".

    Calvino in questo pezzo, come anche  Mario La Cava in tante pagine sparse, hanno detto  davvero tutto su Seminara  perché  hanno colto  l’essenza vera e intima della sua arte che non è incasellabile in nessuna corrente letteraria, ma va trovata  in una calabresità ancestrale e “colta” , illuminata da una sete infinita di riscatto sociale e culturale che pochissimi sono riusciti ad esprimere come lui.