Ho conosciuto Armel Fakeye per un caso: era giunto dal suo convento francescano di Roma fino a Siderno agli inizi di ottobre dell’anno scorso per accompagnare (soprattutto con la sua preghiera) un altro frate cappuccino come lui, e originario dal Benin come lui, che era stato invitato a tenere un brevissimo ciclo di conferenze carismatiche e di evangelizzazione insieme ad un altro relatore proveniente dalla Città del Vaticano. Quest’ultimo però si era ammalato e gli organizzatori pensarono di sostituirlo proprio con Armel, che in quei tre giorni, anche se colto alla sprovvista, diede vita nel grande salone del convegno a qualcosa di straordinario che stupì tutti. Era un predicatore eccezionale ed umilissimo, un artista della fede concreta, viva ed efficace , ma anche della parola minuscola e maiuscola: la parola cioè come strumento di comunicazione e di emozione, la Parola, come Scrittura, come espressione biblica, della quale si palesava davvero appassionato cultore e maestro. Un uomo dai carismi eccezionali ed eccezionalmente sincero, capace di trasportarti in un universo di suoni , di colori, di immagini che hanno segnato indelebilmente la sua vita di ragazzo cresciuto nella semplicità con una sola ricchezza rigogliosa insieme alla vegetazione del Benin: il sogno mai realizzato del riscatto della sua splendida terra.
Dopo alcuni mesi capitai di nuovo a Siderno, dove appresi che Armel avrebbe contribuito ad animare un nuovo momento di evangelizzazione insieme ad altre figure giunte da varie regioni d’Italia. Stavolta era seguito personalmente da un piccolo gruppo di suoi amici italiani provenienti dal Veneto, dall’Emilia e dal Friuli che lo conoscevano da qualche anno ed avevano pensato bene di organizzare a loro spese un piccolo pullman con il quale lo avevano prelevato a Roma e accompagnato in Calabria. Neanche stavolta le aspettative andarono deluse: i suoi insegnamenti e le sue preghiere scossero ancora una volta tutti per la loro semplicità, ma soprattutto per i frutti palpabili che ne manifestavano la profonda e concreta efficacia.
Un aspetto inedito della sua predicazione mi colpì attraverso le confidenze che nelle pause di lavoro raccolsi dalle donne e dagli uomini che lo avevano accompagnato fin lì: Armel aveva tantissimi carismi da spendere, ma era anche un poeta! Un africano prima convertito alla fede in Cristo, poi consacrato frate cappuccino, quindi ordinato sacerdote, infine strappato alla sua terra per completare i suoi studi a Roma, sempre in giro nelle poche ore libere a predicare e incarnare la parola di Dio, sempre pronto nei pochi minuti liberi a scrivere su poveri fogli raccattati dove capita i suoi versi di accorato rimpianto per la donna conosciuta e amata prima di partire, l’immagine della sua terra violata dalla sete di dominio degli sfruttatori e costretta poi a veder fuggire quasi tutti i suoi figli…
Ho parlato con Armel, soprattutto per capire cosa avesse trascinato insieme a lui fino alle propaggini dell’Aspromonte quella gente che lo accompagnava. Ho discusso con Armel soprattutto di fede, ma la sua semplicità disarmante ha fatto subito venir meno in me ogni impeto dubbioso di discussione. Ho chiesto almeno una delle sue poesie ad Armel per capire quale sovrumana e tenera nostalgia lo legasse ancora alla propria terra lontana e gliene facesse sentire gli echi di sofferenza proprio nella nostra Calabria, ed egli me l’ha data:
DONNA SCONOSCIUTA
Una volta, avresti sorvolato
Colline e montagne di tutte le storie
Per incidere la storia delle tue avventure
Un tempo, avresti prestato la tua voce
Al cantante dei tuoi sogni
Per cantare l’inno delle tue imprese
Ma il mondo visto da te
Esprimeva mille pensieri
La natura scrutata
Dipingeva mille facce
E l’amore vissuto
Designava solo uno
Il volto della Donna Sconosciuta
La Donna dei miei desideri
La Donna dei miei sogni
La Donna delle mie speranze
La Donna delle mie emozioni
La Donna della mia giovinezza
Tutta bella, tutta radiosa
Tutta candida, tutta splendida
Tutta sublime, tutta adorabile
Tutta aggraziata, tutta nobile
Tutta pura, tutta luminosa
Una volta, avresti sorvolato
Colline e montagne di tutte le storie
Per incidere la storia delle tue avventure
Un tempo, avresti prestato la tua voce
Al cantante dei tuoi sogni
Per cantare l’inno delle tue imprese
Ma il mondo visto da te
Esprimeva mille pensieri
La natura scrutata
Dipingeva mille facce
E l’amore vissuto
Designava solo uno
Il volto della Donna Sconosciuta
La Donna dei miei desideri
La Donna dei miei sogni
La Donna delle mie speranze
La Donna delle mie emozioni
La Donna della mia giovinezza
Tutta bella, tutta radiosa
Tutta candida, tutta splendida
Tutta sublime, tutta adorabile
Tutta aggraziata, tutta nobile
Tutta pura, tutta luminosa
Donna Africa che incarna nei versi di Armel tutti i sogni di una fanciullezza e di una giovinezza che non conoscono sete di dominio, ma vengono presto soffocate dai dominatori senza scrupoli. La breve stagione di una vita che non concepisce altro se non la purezza e la bellezza di un viso, la libertà di un continente, il progetto di un futuro sognato a lungo e mai realizzato.
Una volta, avresti scambiato
A scapito della tua verginità
La virtù dell’ospitalità
Un tempo, avresti sacrificato
Il velo dell’innocenza
Per cancellare la vergogna dell’ignoranza
All’alba del sole della tua libertà
Sull’antico letto dell’umanità
Tutto quello che avevi era il velo del ridicolo e del disprezzo
Per coprire l’ultima scintilla della tua dignità
Che il cielo si era degnato di concederti
Nelle profondità della foresta dell’Universo
In un angoletto c’era uno spiraglio
Quella di Lucerne accese
Si intravedeva una silhouette, quella di una donna
La donna sconosciuta
Senza i suoi gioielli
I cui piedi e le cui mani
Trascinavano le vestigie di dolore e di sfruttamento
A scapito della tua verginità
La virtù dell’ospitalità
Un tempo, avresti sacrificato
Il velo dell’innocenza
Per cancellare la vergogna dell’ignoranza
All’alba del sole della tua libertà
Sull’antico letto dell’umanità
Tutto quello che avevi era il velo del ridicolo e del disprezzo
Per coprire l’ultima scintilla della tua dignità
Che il cielo si era degnato di concederti
Nelle profondità della foresta dell’Universo
In un angoletto c’era uno spiraglio
Quella di Lucerne accese
Si intravedeva una silhouette, quella di una donna
La donna sconosciuta
Senza i suoi gioielli
I cui piedi e le cui mani
Trascinavano le vestigie di dolore e di sfruttamento
Una donna, una terra antica vergini entrambe di ogni furbizia, ricche di ogni possibile innocenza, che non concepiscono vergogna in quella che i paesi “civili” chiamano ignoranza e non povertà e nemmeno sfruttamento.
Una donna, una terra che, dopo aver subito ben altre vergogne e sovrumane violenze, trascina ancora con dignità e coraggio ferite e ricordi dolorosi di violenza senza fine, di fuga dai villaggi, di esodo attraverso i deserti.
Seduto sulla riva del fiume della speranza
Meditando, al bordo del tempo
Errando con lacrime agli occhi
Cercavo disperatamente tale Donna
Una volta, vestita in tessuti d’oro
Il cui corpo era il riflesso
Di una terra ricchissima
Andavo in giro alla ricerca
Di questa perla sepolta
Sotto le macerie della colonizzazione
Cercavo
Quel giglio che sbocciava di nuovo
Nei campi con colori colorati
Meditando, al bordo del tempo
Errando con lacrime agli occhi
Cercavo disperatamente tale Donna
Una volta, vestita in tessuti d’oro
Il cui corpo era il riflesso
Di una terra ricchissima
Andavo in giro alla ricerca
Di questa perla sepolta
Sotto le macerie della colonizzazione
Cercavo
Quel giglio che sbocciava di nuovo
Nei campi con colori colorati
Una terra ricchissima depredata da una colonizzazione impietosa che ancora divora, che ancora distrugge che tenta persino di soffocare i fiori che , malgrado tutto, hanno il coraggio di sbocciare ancora sotto le macerie.
Non vedo l’ora di riscoprirti
Tu sei l’illustre poesia
Della quale il mio cuore si ricorderà incessantemente
Tu sei l’ultima melodia
Che per tutta l’eternità
Vorrà canticchiare la mia anima
Donna Sconosciuta
Lontana da me
La tua casa m’è molto vicina
La tua storia, la tua vita, le tue lacrime
Sono storia mia, vita mia e la mia preghiera
Donna Sconosciuta, sarà sempre la mia Africa
E un giorno l’Infinito ti conoscerà.
Tu sei l’illustre poesia
Della quale il mio cuore si ricorderà incessantemente
Tu sei l’ultima melodia
Che per tutta l’eternità
Vorrà canticchiare la mia anima
Donna Sconosciuta
Lontana da me
La tua casa m’è molto vicina
La tua storia, la tua vita, le tue lacrime
Sono storia mia, vita mia e la mia preghiera
Donna Sconosciuta, sarà sempre la mia Africa
E un giorno l’Infinito ti conoscerà.
E' l’Africa abbandonata e violata, la donna sconosciuta amata e benedetta, la terra senza storia dalle mille storie, ma è anche la Calabria che ha avuto per tanti secoli lo stesso destino dell’Africa: dal depauperamento delle sue risorse all'esodo delle sue braccia migliori. E’ la terra dei padri e di nessuno che diventa in questi poveri e grandissimi versi preghiera che si fa carne. Quella preghiera fruttuosa e speciale in cui è maestro Padre Armel.
Grazie!
Grazie!
Bruno Demasi