mercoledì 31 gennaio 2024

UN BRANCO DI ALUNNI DISTRATTI , BRANCALEONE E CESARE PAVESE ( di Bruno Demasi)

     Quell’anno oltre che Materie Letterarie nella mia seconda insegnavo anche Storia ed Educazione civica e Geografia in una terza classe di appena 16 ragazzi e ragazze che , secondo i programmi del tempo, non avevo avuto come alunni né in prima né in seconda. Erano pigri, sboccati, sonnolenti e le cinque ragazze , in netta minoranza, avevano sempre l’aria di volersene stare in disparte, sedute vicinissime, in fondo all’aula ricavata con dei fogli di faesite da un “salone” della scuola. La lezione di Geografia sembrava progressivamente interessarli solo quando arrivammo a trattare del continente americano, ma non più di tanto. La lezione di Storia, invece, malgrado tutte le attenzioni e gli espedienti usati, li trovava assolutamente distanti: sbadigliavano rumorosamente, quando non litigavano come selvaggi, a parte quei pochi che sembravano interessati ai moti e poi alle battaglie risorgimentali. Fui costretto a risolvere tutto il Risorgimento entro il mese di febbraio, riproponendomi di dedicare almeno gli ultimi tre mesi alla storia contemporanea. Ma anche quando si trattò della I guerra mondiale la situazione continuò a persistere e a nulla valsero le uscite di classe, tra cui quella dedicata a leggere le testimonianze della Guerra sul territorio: la visita al monumento in Piazzetta e la lettura dei nomi dei caduti li lasciò indifferenti. E arrivammo a parlare del Fascismo e di tutte le sue aberrazioni: qualcuno in più rispetto ai soliti aprì un occhio per richiuderlo quasi subito. Mi ricordai di colpo  del mio antico desiderio di andare a Brancaleone sulle tracce dell’esilio di Cesare Pavese e concepii di portarci quasi per sfida proprio questi alunni: una sfida alla loro palude. Per prepararli pensai di proporre alla collega di Italiano di far leggere loro qualche brano o qualche poesia di questo scrittore di cui io  avevo letto e riletto tutto, ma la sua risposta mi gelò:

- Nell’antologia in uso di Pavese non c’è una riga, e io già stento a far imparare a questi pelandroni qualche riga di Manzoni e qualche verso di Leopardi e non so come ci combineremo agli esami. Figurarsi se mi mettessi a perdere tempo con Pavese…

   Lì per lì pensai di rinunciare, ma nei giorni successivi la nostalgia di Pavese e di Brancaleone torno’ impetuosa. Proposi al preside una gita di tutte le terze a Locri per visitare scavi e antiquarium e per approfittarne per fare una capatina nella casa dell’esilio dello scrittore a Brancaleone, ma la reazione dei colleghi fu abnorme: la gita doveva farsi almeno a Rimini altro che a Locri! Decisi di chiedere al comune di Oppido di accompagnare gratuitamente la sola terza classe a Brancaleone in una mattinata e , dopo tante insistenze, il sindaco del tempo accondiscese.

   Dopo tutte le formalità necessarie e i permessi dei genitori, si partì: pioveva a dirotto quella mattina, ma “loro” , gli undici campioni e le cinque campionesse di dormiveglia e di litigi rumorosi, erano più pimpanti che mai, armati di radioline, macchine fotografiche e soprattutto panini. Avevo con me due o tre Oscar Mondadori di Cesare Pavese e dopo  parecchi chilometri di strada, all’improvviso, sovrastando la musichetta di una radiolina, cominciai provocatoriamente a leggere a voce alta:

- "Chi non è geloso anche delle mutandine della sua bella, non è innamorato."

    La frase ad effetto tratta dal “Mestiere di vivere” li destabilizzò di colpo: ammutolirono, poi qualcuno ridacchiò, infine risero tutti a crepapelle dandosi delle grandi spinte che fecero urlare imbestialito l’autista dello scuolabus.

    Sulla gelosia, provocato ad arte da me, il dibattito diventò subito rovente fino a quando una delle cinque damigelle ebbe il coraggio di domandare se Pavese fosse geloso della sua fidanzata. E qui fu possibile introdurre il discorso che premeva di più:

- Pavese – dissi – non è più vivo. Stiamo andando a visitare a Brancaleone la casa in cui visse in esilio durante il Fascismo. Chi di voi vuole leggere queste poche righe sulla sua vita?

   Nessuno alzò la mano e fui costretto a rivolgermi a colui che, qualche momento prima, era stato il più acceso e sfegatato fautore della gelosia maschile, intimandogli:

- Prima volevi parlare praticamente solo tu, ora leggi! Sono solo poche righe:

E lesse! 

“Tutto ha inizio nelle Langhe, a Santo Stefano Belbo, dove Cesare Pavese nasce nel 1908, tra quelle colline che ricorrono con tanta frequenza nelle sue opere. Nonostante il suo indugiare sulle proprie origini contadine, è a Torino che trascorre l'infanzia e compie gli studi. Sempre a Torino inaugura una fertile collaborazione con la casa editrice Einaudi, scopre la letteratura americana e contribuisce a diffonderla in Italia. Ed è lì, infine, che la sera del 27 agosto 1950, in una camera dell'Hotel Roma, viene ritrovato il suo corpo senza vita, insieme a un ultimo biglietto: «Perdono a tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi». Si compie così il capitolo finale di un'esistenza faticosa, insidiata da un senso costante di inadeguatezza e segnata da una profonda solitudine … e dal rapporto travagliato e ambiguo con il mondo politico, il confino a Brancaleone Calabro sotto il regime fascista, l'amore non corrisposto per Tina e le cocenti delusioni sentimentali... Un artista tormentato e complesso…sopraffatto dal dolore della vita…”

    Temevo che avrebbero sbadigliato e non sbadigliarono; che avrebbero riso, e non risero… In compenso affiorarono subito molte domande, prima timide, via via sempre più curiose e aperte:

- Ma davvero si è ucciso?
- E perché fu mandato al confino?
- Che aveva fatto?
- E perché i fascisti confinavano gli scrittori?
- E perché fu mandato a Brancaleone?
- Dove si trova Brancaleone?
- E a Brancaleone vedremo ancora qualcosa?

    Erano le stesse domande che mi ero posto io alcuni anni prima quando avrei voluto scrivere proprio su Pavese la mia tesi di laurea, ma erano soprattutto  campanelli di attenzione che facevano musica alle mie orecchie:…forse stavano uscendo almeno per un momento dal loro letargo.

Ne approfittai per continuare a leggere a voce alta, stavolta io:

- “ Il 13 Maggio 1935 circa duecento intellettuali antifascisti vengono fermati dalla polizia fascista. Tra questi c’è anche Cesare Pavese e tutta la redazione della rivista La Cultura. La polizia fa irruzione nell’appartamento di Pavese e trova alcune lettere di Altiero Spinelli. Tanto basta per essere accusato di essere un antifascista e di avere collegamenti con il movimento Giustizia e libertà e, per questo, arrestato e condannato a tre anni di confino a Brancaleone, in Calabria…probabilmente Pavese sacrifica la sua incolumità per proteggere Tina Pizzardo, la donna di cui era profondamente innamorato, a cui appartenevano le lettere scambiate con Altiero Spinelli e che lui custodiva a casa sua proprio per salvaguardare lei, accettando di farsi arrestare pur senza alcuna colpa”.

Ascoltavano tutti con interesse e occhi interrogativi. Continuai: 

- ”Pavese arriva a Brancaleone il 4 Agosto 1935, in un caldo pomeriggio estivo, e la prima cosa che scorge, appena sceso dal treno, sono gli occhi curiosi dei paesani che, riuniti al bar Roma a condividere la calura e il tempo lento dell’estate a Sud, lo osservano mentre in manette raggiunge la caserma dei carabinieri, accompagnato dal maresciallo. Cesare ha 27 anni e il primo impatto con quei luoghi fuori dal mondo gli provoca un senso di spaesamento, che descriverà anche ne Il carcere, il romanzo ispirato proprio all’esperienza del confino, in cui scrive:Per qualche giorno Stefano studiò le siepi di fichidindia e lo scolorito orizzonte marino …”

    Ecco... proprio quell’orizzonte del mar Ionio  che ci appariva già assolato e caldo dai finestrini dello scuolabus insieme alla targa che annunciava l’ingresso nel comune di Brancaleone. Passai subito il libro a Giovanna, che continuò a leggere a voce alta proprio le parole dello scrittore:

- Qui ho trovato una grande accoglienza. Brave persone, abituate a peggio, cercano in tutti i modi di tenermi buono e caro. Che qui siano sporchi è una leggenda. Sono cotti dal sole. Le donne si pettinano in strada, ma viceversa tutti fanno il bagno…La gente di questi paesi è di un tatto e di una cortesia che hanno una sola spiegazione: qui una volta la civiltà era greca. Persino le donne che, a vedermi disteso in un campo come un morto, dicono «Este u’ confinatu», lo fanno con una tale cadenza ellenica che io mi immagino di essere Ibico e sono bell’e contento. .. Fa piacere leggere la poesia greca in terre dove, a parte le infiltrazioni medioevali, tutto ricorda il tempo che le ragazze si piantavano l’anfora in testa e tornavano a casa a passo di cratére. E dato che il passato greco si presenta attualmente come rovina sterile – una colonna spezzata, un frammento di poesia, un appellativo senza significato – niente è più greco di queste regioni abbandonate. I colori della campagna sono greci. Rocce gialle o rosse, verdechiaro di fichindiano e agavi, rosa di leandri e geranî, a fasci dappertutto, nei campi e lungo la ferrata, e colline spelacchiate brunoliva…”

    Scendemmo tutti dallo scuolabus: si respirava una curiosità forte quasi volessimo tutti, me compreso, cercare di vedere sbucare dall’angolo della strada la figura scarna e sofferente di Cesare Pavese che ogni ragazzo durante il viaggio aveva voluto vedere nelle foto stampate su uno dei libri che avevo portato.

    Stentammo un po’ a trovare il custode della casa-museo, ma alla fine con la collaborazione dei ragazzi e della gente incuriosita che si avvicinava ci riuscimmo. Ed entrammo. Eravamo tutti trepidanti, parlavamo persino a bassa voce indicandoci ora questo ora quell’oggetto, qualche foto, qualche libro, qualche pagina autografa, una penna… mentre stavolta Vincenzo dava voce allo scrittore leggendo:

- "…passo le giornate (gli anni) in quello stato d’attesa che a casa provavo certi pomeriggi dalle due e mezzo alle tre. Sempre, come il primo giorno, mi sveglia al mattino la puntura della solitudine… scrivo anche poesie...":

… LO STEDDAZZU

L’uomo solo si leva che il mare è ancor buio
e le stelle vacillano. Un tepore di fiato
sale su dalla riva, dov’è il letto del mare,
e addolcisce il respiro. Quest’è l’ora in cui nulla
può accadere. Perfino la pipa tra i denti
pende spenta. Notturno è il sommesso sciacquìo.
L’uomo solo ha già acceso un gran fuoco di rami
e lo guarda arrossare il terreno. Anche il mare
tra non molto sarà come il fuoco, avvampante…”


- Cos’è lo steddazzu, professore?

- E’ il pianeta Venere, la cui luce brilla per ultima di primo mattino dopo il tramonto di tutte le vere stelle. Che ne dite se una di queste mattine sul  presto cercheremo di vederlo insieme prima di andare in classe?

- Si,si,si,si,si…ma la poesia finiva qui?

- No, continua…

Non c’è cosa più amara che l’alba di un giorno
in cui nulla accadrà. Non c’è cosa più amara
che l’inutilità. Pende stanca nel cielo
una stella verdognola, sorpresa dall’alba.
Vede il mare ancor buio e la macchia di fuoco
a cui l’uomo, per fare qualcosa, si scalda;
vede, e cade dal sonno tra le fosche montagne
dov’è un letto di neve. La lentezza dell’ora
è spietata, per chi non aspetta più nulla.

Val la pena che il sole si levi dal mare
e la lunga giornata cominci? Domani
tornerà l’alba tiepida con la diafana luce
e sarà come ieri e mai nulla accadrà.
L’uomo solo vorrebbe soltanto dormire.
Quando l’ultima stella si spegne nel cielo,
l’uomo adagio prepara la pipa e l’accende.


  
   “La Calabria per caso…la Calabria per sempre”
, come scrisse qualcuno a proposito di Pavese. Quella Calabria amara e struggente che questi ragazzi stavano riscoprendo proprio attraverso gli occhi di questo povero poeta per metà piemontese e per metà “ nostro”…

   E so, so anche , che più di uno di quei sedici alunni dormienti che spalancarono gli occhi davanti alla bellezza del mar Ionio e della povera casa dell’esilio, ora adulti e padri e madri di famiglia, in qualche assolata domenica estiva, hanno portato i loro figli a Brancaleone per far loro vedere la casa in cui visse il suo triste confino, la sua passione per la libertà e il suo gelosissimo amore per questa terra Cesare Pavese.
Bruno Demasi