sabato 28 ottobre 2023

Mèmoires 11: Commercio e arte: “ ‘MARFITANI” E “SERRISI” A OPPIDO NUOVA (di Rocco Liberti)

      Stavolta lo sguardo attentissimo di Rocco Liberti torna sull’intenso lavorìo che si registrava nella nuova Oppido appena sorta dopo il sisma del 1783 e l’abbandono dell’antico abitato medievale. Una città nascente  funestata da mille problemi e da mille malattie, una popolazione decimata non solo dalla violenza del terremoto, ma  anche da nuovi stenti e costituita in grandissima parte da un mondo contadino tenace e intraprendente “cui si ponevano in contraltare - come afferma giustamente l'Autore - i nobili o i cosiddetti civili, i quali scarsamente potevano incidere sul progresso sociale e lavorativo”. Proprio da questo strano binomio sociale che escludeva una vera classe intermedia borghese, sia pure in embrione, ma soprattutto l’elemento mercantile e quello artigianale, che da sempre costituiscono i motori della ripresa economica e sociale, si determina per Oppido l’arrivo di una immigrazione intelligente e attiva che presto, in simbiosi con l’elemento autoctono più capace e aperto, va a costituire il nuovo polmone economico, culturale e artistico della città. Un'immigrazione incoraggiata e aiutata in ogni modo dai responsabili civili e religiosi del tempo che si rivelavano molto illuminati nonostante il degrado in cui si trovavano ad operare.
     Rocco Liberti ancora una volta, innestando i suoi ricordi personali sulle notizie da lui accuratamente reperite e studiate, riesce a comporre  altre  pagine inedite di rara suggestione restituendoci con la freschezza della loro vita operosa volti , personaggi e nomi che rischiavano di cadere per sempre nell’ oblìo della pigra memoria dei nostri paesi. Gliene siamo tutti  davvero grati
(Bruno Demasi).

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   Il vetusto centro di Oppido, per otto secoli baluardo civile ed ecclesiastico nelle terre della Piana di Terranova, esauritosi per effetto del disastroso fenomeno sismico del 5 febbraio 1783, ha trovato sollecito ripristino per intervento del governo borbonico in zona pianeggiante e meno soggetta a rivolgimenti tellurici di somma imponenza, la contrada Tuba. Ma, per le raccogliticce persone, che vi hanno avuto ricetto, non è che l’avvenire si sia offerto nell’immediato rose e fiori. La vita era in continuo divenire e nella città di legno gli stenti e le privazioni la facevano da padroni. Peraltro, non mancavano incendi, malattie e ulteriori calamità. Era più che naturale! Il vescovo Tommasini in una relazione del 1795, nella quale rendeva presenti appena 864 abitanti, così scriveva nel merito: «La sperienza di anni diece di abitazione in Baracche di tavole sopra un suolo naturalmente umido, e sotto un cielo di aria poco salubre fece vedere il discapito notabile della popolazione, e recò la mortalità di tanti ragazzi, che come corpi teneri, e men capaci di resistere alle impressioni della umidità, vi soccombono... L’aria da giugno sino alla caduta delle nevi si sperimenta poco salubre, e cagiona delle epidemiche febri terzanarie con continuate recidive per tutto l’autunno accompagnate da ostruzioni viscerali». In verità, non erano solo i ragazzi a soccombere, anche gli adulti, per cui in breve il nerbo della popolazione si trovava ormai a essere costituito in prevalenza da contadini, cui si ponevano in contraltare i nobili o i cosiddetti civili, i quali scarsamente potevano incidere sul progresso sociale e lavorativo. Sarà stata sicuramente la congiuntura a invogliare sin dall’inizio individui forestieri a trasferirsi nella nuova realtà. In un’entità ancora da costruire di certo c’era bisogno di molte cose. Così può spiegarsi infatti l’accorrere di tempo in tempo di nuclei familiari di diversa estrazione e residenza, in maggioranza artigiani, il ceto che proprio allora era venuto a difettare. A parte isolati episodi, i nuovi arrivi si sono incanalati in quattro qualificate direttrici: Amalfi, le Serre Catanzaresi, il litorale ionico, la Sicilia. 

    Da Amalfi, a quel che risulta dai documenti ufficiali, si sarebbero condotte a Oppido in modo sostanziale cinque famiglie, davvero poche ma sufficienti a risollevare il commercio in primo luogo per quanto riguardava il genere annonario. Non per niente, la pasta, i famosi macaroni o maccaroni, era importata dal territorio campano. A portarsi inizialmente in paese è stata quella dei Cafiero, cui hanno tenuto dietro i De Lieto, i Carrano, i Pastore e i Savo. Ai Pastore, quando sono intervenuti i Savo, si è affibbiato il nomignolo di marinari vecchi, mentre ai Savo, più che logico, è toccato quello di marinari novi. Quand’ero bambino, a seconda delle commissioni, s’indicava: vai ‘ndo marinaru vecchiu oppure vai ‘ndo marinaru novu. L’amico Totò Savo, buonanima, mi ricordava sempre che quand’era piccolo mia nonna lo apostrofava scherzosamente marinareju

    Il primo dei Cafiero a pervenire a Oppido è stato sin dal 1835 circa Ferdinando, nato ad Amalfi e di professione cafettiere. Marito a Maddalena Paolillo, è morto nel 1858 a 64 anni di età. Da lui si sono originati elementi che hanno allacciato rapporti con Marino, Lentini, Zappia, Violi, Demeo, Longo. L’ultima rappresentante rinvenuta negli atti d’archivio è Cristina +1941, che nel 1891 si era unita ad Alfonso Zappia. C’è stata una nutrita progressione di Ferdinando, ma sono tutti deceduti in tenera età. Il nome del progenitore non ha portato loro fortuna. Rammento delle sorelle Cafiero, notoriamente i Cafèri, che nel loro forno di via A. M. Curcio a fronte del palazzo vescovile producevano un tipo di pane alquanto richiesto, ‘u pani di’ Cafèri

   Da Amalfi è giunta altresì la coppia Fortunato De Lieto e Giacoma Gambardella. Fortunato, pastaiuolo, come i figli Gabriele (n. Atrani) e Giovanni (n. Amalfi), era domiciliato in via Fucine l’odierna via Coppola, dove è morto nel 1882 alla bella età di 94 anni. In seconde nozze era convolato con altra amalfitana, Raffaela Gargano. La figlia Maria Antonia qualificata possidente, sposata a Francesco Anastasio, è morta nel 1899 a 91 a. L’ultimo della famiglia a lasciare questo mondo è stato Gabriele nel 1906. Nelle ricordanze di noi posteri non n’è rimasta traccia. 

  Sempre da Amalfi ecco giungere i fratelli Carrano, Andrea e Teresa, entrambi consorti di elementi della famiglia Calardi abitanti del pari. La famiglia Carrano è tuttora presente a Oppido, anche se in parecchi sono emigrati in Australia e qualcuno anche nel nord-Italia (Torino, Faenza). Il marito di Teresa, Gennaro Calardi (+1882 a. 62) abitava in piazza Umberto e faceva anche lui il pastaiuolo. Andrea Carrano, ammogliato con Antonia Calardi, aveva avviato sulla via Mamerto oggi via Garibaldi casa Zappia un accorsato emporio di generi alimentari, che in successione sarà condotto dai figli Gennaro, Giuseppe, Luigi e Andrea. Quest’ultimo ha partecipato alla prima guerra mondiale ed è stato riconosciuto meritevole di medaglia di bronzo al valore. Nel 1925, per il 25° anniversario del Regno di Vittorio Emanuele III, il Comune lo inviava da assessore in rappresentanza a Roma. Durante le manifestazioni pubbliche a Oppido sfilava con la medaglia appesa al petto. 

   Il primo Andrea purtroppo ha fatto una triste fine essendo inopinatamente deceduto nel 1919 all’età di 64 anni. In quell’anno in Italia la fame la faceva da padrona e l’assalto a forni e negozi di generi alimentari era all’ordine del giorno. In Oppido, dopo le razzie operate nella piazza principale nel grande emporio dei Furci, detti i Parmisani in quanto oriundi da Palmi, la folla tumultuante si era avviata proprio lungo la via Mamerto, dove c’era il negozio dei Carrano. Il capo famiglia, temendo a ragione che quella massa inconsulta si approcciasse a ripetere l’azione, ha afferrato il fucile e si è messo a sparare non si sa bene se in aria o verso terra, la cosa più probabile. Dal fuggi fuggi generale è emerso che purtroppo una donna anziana era stata ferita a un piede. La poveretta è stata subito portata all’ospedale locale, ma dopo alcuni giorni purtroppo è inopinatamente deceduta. Il Carrano, ch’era stato arrestato, ha trascorso qualche mese in prigione, ma alla fine è stato liberato. Sarà stato il dispiacere per l’atto, la vergogna di essere stato relegato in carcere, fatto si è che a distanza di pochissimi giorni dal ritorno a casa veniva anche lui a morte. I Carrano hanno concluso relazioni matrimoniali con Barbaro, Polistena, Grillo, Calarco. 

    Il primo dei Pastore a essere presente in Oppido intorno al 1878 è stato Salvatore, che ha condotto in prime nozze Gaetana Coppola, indi M. Angela Gambardella. Di mestiere anche lui pastaiuolo e negoziante, è morto nel 1911 all’età di 79 anni. Di tre figli maschi è rimasto a Oppido soltanto Pasquale, nato ad Amalfi, che nel 1890, all’età di 27, ha preso in moglie M. Concetta Palaja. Purtroppo, alcuni anni dopo è venuto a morte. Intanto, nella vicina Santa Cristina si erano sistemati altri due fratelli. La madre ha preteso allora che Andrea nel 1895 rientrasse a Oppido e sposasse la vedova del fratello, come infatti è avvenuto. Tale condurrà un negozio di generi vari fin quasi alla fine, che è arrivata nel 1953. Dal matrimonio sono sortite alcune femmine che hanno annodato legami coniugali con esponenti delle casate Musicò e Muscari. L’unico figlio maschio è stato Salvatore nato nel 1896, avvocato e alto dirigente fascista. Ha assunto anche responsabilità di vice pretore. Un Pastore di Santa Cristina, Pasquale nel 1926 allaccerà vincoli nuziali a Oppido con una Savo, Raffaella, quindi un incrocio tra amalfitani. Il figlio di Salvatore, Andrea, svolge funzioni di giudice altrove. A Oppido c’è la sorella Concetta. 

   Dei Savo a comparire sulle prime a Oppido è stato Antonio, che ha sposato Antonia Gargano, amalfitana del pari ed è mancato nel 1953 a 61 anni. Dal matrimonio sono nate delle figlie femmine e due maschi, Andrea, medico, (n. 1913) che presto si è trasferito a Crotone e Antonio (n. 1924). Andrea, che abita fuori Oppido, è figlio di Antonio. Un’altra figlia si è unita a un Pezzimenti e si trova pur dessa fuori. Le figlie del primo Antonio si sono sposate con Caligiuri, Menghi e Frisina. Qualcuna è rimasta nubile. 

   L’immigrazione degli Amalfitani indubitabilmente promanava da Gioia Tauro, il paese cui hanno mirato financo dal 700 gli intraprendenti commercianti campani. A tutt’oggi vivono nel grosso centro numerose famiglie che insistono a esprimersi nel loro dialetto e con la cadenza usuale. A Oppido infatti nel primo novecento si sono installati i Corvino, Salvatore con la moglie Regina Scaglioso, già a Gioia, che hanno dato genesi a un esercizio di alimentari, che vantava una clientela di conto. Erano conosciuti appunto come i gioitàni o gioisàni. Quando vi s’indirizzava qualcuno gli si diceva: vai nd’o gioisànu: in pochi conoscevano o pronunziavano l’esatto cognome. I figli in frangente non molto lontano si sono trasferiti in altra regione. Una addirittura all’estero (Sudafrica). Don Salvatore, accanito sostenitore del partito dell’Uomo Qualunque, si recava sistematicamente in edicola ad acquistare il giornale emanato dallo stesso e ostentava la testata con l’omino sotto la pressa. A Oppido è stato l’ultimo adepto mentre mastro Beniamino è passato al Partito Nazionale Monarchico, per il quale si è dato appassionatamente un gran da fare anche da consigliere comunale. Dopo la seconda guerra mondiale sempre da Gioia vi è pervenuto con la famiglia il gelatiere Antonio Giocolano, ma non so dire se si trattasse di amalfitano. Con tale cognome ce ne sono in Campania, ma è più diffuso in territorio di Gela. Conservo particolare memoria di Michele, col quale eravamo perennemente in concorrenza per l’acquisto dei così chiamati giornaletti, i fumetti.
    Tra i nuclei che si sono mossi dal Serrese ne spiccano alcuni che hanno espresso artisti di grande impegno come gli Albano, i Barca e i Barillari. 
 
   I primi a partire dal Serrese sembrerebbero i componenti della famiglia Albano. Vitaliano, travagliatore, figlio di Francesco e Rosa Sandò, muore a Oppido nel 1813. Vincenzo, nato a Serra, barillaro, all’incirca nel 1824 si trasferisce nel prescelto domicilio, dove nel 1835 sposa Teresa Condò (†1880). Il fratello Gennaro, medesima attività, reca all'altare nel 1824 Francesca Chirchiglia. Dalla prima coppia si originano Marianna (1867 sp. Giuseppe Stillitano), Serafina (1873 sp. Graziano Morizzi), Maria Angela (1877 sp. Sebastiano Barca) e Salvatore, rinomato scultore, nato nel 1839 e morto a Firenze nel 1893. Questo ramo si estingue. Dalla seconda si hanno Antonio Maria (n. 1833, sp. Giovanna Pisano, †1900, statuario; da lui deriva Eugenio, artista del marmo (1866-1907) e Stefano. Da Stefano promana la discendenza in corso. Appartiene a questa altro Stefano, scultore, trapassato in giovane età nel 2003, autore della Via Crucis in legno della chiesa del Calvario di Oppido. L’occupazione condotta in buona parte dagli Albano ha fatto sì ch’essi sono rammentati come i barijàri cioè i barillari. A tal motivo talvolta capita di far confusione tra Albano e Barillaro. Una volta eravamo in piazzetta con un Albano. Questi a un dato punto si è sentito chiamare signor Barillaro. Siamo sbottati in una risata e al malcapitato abbiamo dovuto dare la necessaria spiegazione.

   Anche i Barca imparentati con gli Albano provengo- no da Serra San Bruno. Si principia con Sebastiano, cuci- niere, marito di Mariangiola Albano, tessitrice. N’è figlio lo scultore Concesso, che, nato nel 1877, ha concluso la sua vita a Bagno a Ripoli nel 1968. Sono suoi alquanti monumenti ai caduti eretti nei paesi della Piana di Gioia, compreso Oppido, ma in tante altre località. Concesso ha avuto una figlia maritata Gambini, che ha vissuto a Firenze. Nel 1967 ha inviato foto di opere dell’Albano in occasione di un apposito convegno-mostra. Poco prima si era trovata in visita in seguito all’intitolazione su mia iniziativa di due piazze cittadine al padre e al parente. 

   L’antesignano esponente della famiglia Zaffino a provenire dal Serrese è stato Salvatore, “travagliatore” ossia “fallegname” e marito di Vincenza de Lapa, che il 20 dicembre 1832 è stato rinvenuto morto unitamente al figlio Vincenzo marito di Teresa Pesce in contrada Petrulli. I due erano andati in montagna a lavorare il legname e pare che siano morti assiderati dal gran freddo. Il Registro del Comune a proposito segnala per ognuno “soffogato dalla neve nelle montagne”. Ha avuto lunga generazione in Oppido il figlio Raffaele (1806-1885), parimenti falegname che si è unito a Carmela Brunetta. Gli Zaffino hanno intrecciato parentele con membri dei Pezzimenti, Buda, Evangelista di Caulonia, Marino, Morabito, Lando, Nicoletta e Barillari
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  Raffaele è nato a Oppido nel 1806 ed è morto l’8-3-1885. Aveva sposato contro la volontà dei suoi il 10-2-1883 una contadina con la quale prima erasi unito more uxorio, Carmela Brunetta. Non era tanto consueta all’epoca che un mastro convolasse a nozze con una campagnola. La Brunetta era la stessa che, levatrice empirica, nel 1853 ha avuto affidato dal Decurionato oppidese l’incarico di Pia Ricevitrice dei fanciulli esposti. Appresso, forse anche perché aiutava le partorienti illegittime, accusata di dichiarare il falso, è stata privata dell’incarico e denunziata all’Autorità Giudiziaria. La denunzia, invero, era stata voluta da Pappalardo Maria Antonia, napoletana, levatrice diplomata assunta dal Comune. A onor del vero in appresso la Brunetta, nonostante l’età, è riuscita a diplomarsi regolarmente a Messina. 

   La famiglia Zaffino abitava a Oppido nella “strada li ferrari”, cioè la strada dei ferraiuoli, oggi via F. M. Coppola, esattamente nella casa tra il Monte dei Paschi di Siena e Giuseppe Zappia, dove un tempio Ciccio Ruffa lavorava lo stoccafisso. È stata venduta da mia nonna Giuseppa Zaffino nel 1944. Io la ricordo tutta sfondata e priva di tetto e della scala, proprio come era rimasta dopo il terremoto del 1908 e con i conseguenti danni apportati dai monelli di turno che spesso vi bivaccavano. Il prof. Antonio Musicò mi rammentava spesso di quando ragazzo assieme a tanti coetanei come Peppe ‘a Ruffa vi andava a giocare forzando la porta d’ingresso e come all’apparire di mio nonno Michele Cannatà scappassero tutti a perdifiato. 

   Anche i Barillari erano di Serra. Si può ricordare Salomone, a lungo portiere dell’Ospedale e ch’è stato per un gran periodo in America. Una sua sorella era moglie di Giuseppe Zaffino. Come si vede spesso incroci maritali intercorrevano tra ceppi di uguale provenienza. Rugiero, nato a Serra, artista del ferro, morrà a Oppido nel 1880 a 44 anni di età. Un Michele Barillaro, di uguale estrazione, ma abitante a Varapodio, anche lui artista, nel 1871 ha contrattato con il presule Curcio per 370 ducati a proposito dell’allestimento di un gruppo ligneo con S. Giovanni Battista che battezza Gesù e di una ringhiera in ferro per un fonte battesimale in cattedrale, di sicuro quello esistente. Probabilmente la famiglia era denominata sia Barillari che Barillaro. Comunque a Oppido proliferava la prima forma.
 
  Dal Serrese sono pervenuti anche i membri della famiglia Palaja, che, variamente, si sono condotti da ferrajo o da fallegname. Non per niente provenivano dalla culla calabrese dell’arte. Un primo Bruno nato a Serra è morto a Oppido nel 1841 a 42 a., altro vi era nato nel 1831 da Bruno e Cecilia Vorluni. L’ultimo membro, sacerdote, pure lui a nome Bruno, estinto nel 1957 a 87 a., è stato abate della chiesa di San Nicola Superiore. Ha amato fare poesia e occuparsi di storia patria. Ha lasciato interessanti opuscoli. Non andava proprio d’accordo con l’Ordinario diocesano Canino. Questi nel 1945 lo ha costretto ad abbandonare la processione di San Rocco, che aveva raggiunto a cammino iniziato dopo che i fedeli si erano impadroniti di forza della statua e si erano già messi in moto. Tutto era stato originato dal particolare che il vescovo aveva avversato sin dal principio la proiezione di un film in piazza. Mi sovvengo benissimo del trambusto allora creatosi. Il fratello del sacerdote, Gregorio, ha virato inverso Reggio e vi ha operato quale segretario generale alla Provincia. Ha pubblicato dei lavori di carattere storico e amministrativo. Nella Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia del 1933 è indicato quale “esperto in materie amministrative”[1]. Un figlio, Antonino, nato nel 1930 a Reggio, è stato giudice, ma ha agito fuori Oppido, a Torino. 

    Anche i Pisani sono giunti a Oppido da Serra. S’individua per primo un Luigi, sarto, che nel 1863, vedovo di a. 33, risultava consorte di Filippa Lentini. Derivava da Raffaele, cafettiere. Il figlio Luigi, anche lui sarto, è scomparso nel 1901 a 76 a. I Luigi e i Raffaele si susseguono. Un primo è nato nel 1906, il secondo nel 1908. È vivente una figlia di Luigi, Francesca nata nel 1922. Ha quindi la bellezza di 101 anni. Da Francesco si ha l’ultimo Pisani, che ha esercitato in qualità di medico fuori Oppido. Era nato nel 1928. Altra branca ha offerto Giuseppe Maria, marito di Epifanio Giovannina, morto nel 1941 a 51 anni. Conduceva l’attività di falegname. Un filone si è trasferito a Varapodio. 

   Dal Serrese scaturisce peraltro tutta una serie di schiatte ch’è venuta a popolare un nuovo paesino nella vicina montagna di Sant’Onofrio, cui si è dato nome di Piminoro, termine creato da p. Masdea oriundo di Pizzo che vorrebbe indicare un monte abitato da pastori. Al sito, forse già mèta di lavoranti nei settori dell’agricoltura e della pastorizia ha dato dignità di comunità mons. Tommasini, che, dal 1795 a Oppido, ha dovuto guidare la diocesi con un capoluogo in fieri. Ne sono state origine soprattutto le condizioni igieniche in cui erano costretti a stare coloro che vi si erano rifugiati dopo il terribile sisma di dodici anni prima, come riferito in anteprima. Così il Grillo delinea la condizione del novello agglomerato nel 1848: Piminoro … fondato dall’immortale monsignor Tommasini, era altra volta il luogo della villeggiatura del seminario e del vescovo, il quale vi avea un vasto e comodo episcopio e seminario ora quasi intieramente per disuso distrutto [2]. Tre anni dopo un pellegrino di eccezione che vi è transitato con tutta una comitiva per poi proseguire fino al santuario di Polsi raccontava: Noi mettevamo il piede in un antico villaggio che nomasi Piminoro ... ed è grata cosa vedere le nascenti sue case di legname, ed i tetti coverti anche con barre di legno[3]. Quali i motivi della costruzione del paesino nella località detta? Molto chiari. La montagna di Sant’Onofrio era di proprietà della diocesi. 

    Il primo serrese appare nei registri parrocchiali Domenico Antonio di Masi (a. 24) vulgo li Prunari spentosi a Oppido il 3 ottobre 1800. A nascervi nel 1805 è Francesco Campisi. Il primo nato in colle pimenoriano si avverte nel 1809. Come si accerta più chiaramente la provenienza è indicata in nato in Fabrizia o nato in Prunari, o sia Fabrizia. Tanti i ceppi rilevati: Mammone, Tassone, Campisi, Barillaro, Murdaca, Marino, Monteleone, Martino, Timpano, Daniele, Gallace, Costa, Demasi, Maiolo, Rullo, Maruzza[4]. Dei Mammone è noto Rocco, nel 1938 caduto in Spagna e a cui è stata intitolata la piazza principale del paesino. Il dottore Bruno Barillaro è da lungo tempo  sindaco del Comune..
Rocco Liberti
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[1] N. 103, p. 1816.
[2] G. M. Grillo, Memoria sulla chiesa vescovile di Oppido in Calabria Ultra Prima, Estr. dall’Enciclopedia dell’Ecclesiastico, Napoli 1848.
[3] G. Russo, Polistenesi a Polsi Storia e immagini di una devozione popolare, Edizione del Santuario di Polsi 2001, pp. 19-20.
[4] Prunari e Prunare era il territorio del Serrese dal quale i Piminoresi provenivano.