di Bruno Demasi
La chiamavano tutti Amina, anche se il suo vero nome era un altro, quello che ella sognava d vedere scritto sul permesso di soggiorno che aspettava con ansia dalla questura di Reggio Calabria. Quel permesso che non arrivò mai, neanche al termine del suo inserimento nel progetto lavoro a Riace durante il quale aveva dato il meglio di se stessa per dimostrare che una donna africana quando si mette di impegno sa fare meglio di quanto gli altri si aspettino. E dalla sera alla mattina si era ritrovata senza un alloggio, senza una sia pur misera fonte di sostentamento, come quando qualche mese prima era giunta in Italia attraverso l’oltraggio dei barconi, le urla dei procacciatori di soldi e di morte, l’indifferenza della gente.
L’approdo alla baraccopoli di San Ferdinando era stato la tappa obbligata per chi non aveva più niente, in quella terra di nessuno dimenticata da Dio e dallo stato italiano affaccendato a tenere ferma la gente in fuga sulle coste della Libia, nei lager e nelle fosse comuni di cui ormai rigurgitano maleodoranti le rive africane del Mediterraneo.
E nella baraccopoli di San Ferdinando Amina ha incontrato nell’ordine: il freddo delle notti gelide di dicembre e gennaio, la fame, il sonno impossibile, l’odore nauseabondo della carne viva che imputridisce in silenzio, la carne della povera prostituta nigeriana malata di Aids vicina di baracca, cui ella somministrava i farmaci recati in silenzio da don Roberto, a sua volta abbandonato da tutti, dopo averla pulita e aiutata a nutrirsi... E attraverso la carne di quella donna divorata dall’ Aids Amina ogni giorno ritrovava Dio e la sua voglia di catechizzare annunciando l’amore di Cristo senza stancarsi.
Una catechesi che ormai in tanti attendevano ogni sera, pronunciata senza schemi e senza parole ridondanti, spesso fatta solo di gesti: Cristo nelle baracche costruite addosso alle vecchie tende di San Ferdinando non ha bisogno di giri di parole né di richiami a versetti biblici e men che mai di azzimate locuzioni latine ancora tanto usate dai pulpiti di certe chiese…
Una catechesi che non si stancava di sfidare il freddo, la fame, i morsi dolorosi della carne infetta, le bestemmie degli alcoolizzati della tendopoli e nemmeno le urla di disperazione o gli atroci silenzi di chi sa di essere condannato…
Una torcia umana d’amore destinata ad essere dimenticata da tutti. Un altro raccapricciante esempio della barbarie in cui siamo caduti in questo lembo di terra che tra tante parole e promesse inutili ha dimenticato Dio e la Croce, ormai sparita anche dalle facciate delle nuove chiese.