C’è chi - e siamo in tantissimi – ormai si è assuefatto o addirittura non perde occasione per fare ancora sterile polemica sulle presunte motivazioni della divisione tra i Cristiani. C’è chi invece vive questa divisione antica e sempre nuova come una ferita profonda nella carne e prega e lotta sul serio perché essa si rimargini.
Una di queste lottatrici a oltranza è Mirella Mujà, l’eremita diocesana che dal balzo di Monserrato tra Locri e Gerace sogna e spera con forza che l’unità dei Cristiani non resti un vagheggiamento zuccheroso come tante preghiere fini a se stesse, ma diventi veramente carne nella vita di tutti i cristiani e da pietra di scandalo si trasformi quasi in piattaforma per una nuova era della Fede.
Una di queste lottatrici a oltranza è Mirella Mujà, l’eremita diocesana che dal balzo di Monserrato tra Locri e Gerace sogna e spera con forza che l’unità dei Cristiani non resti un vagheggiamento zuccheroso come tante preghiere fini a se stesse, ma diventi veramente carne nella vita di tutti i cristiani e da pietra di scandalo si trasformi quasi in piattaforma per una nuova era della Fede.
Mirella vive appunto da eremita in un piccolissimo monastero regalatole da Mons. Bregantini quando era vescovo a Locri-Gerace e facendo rivivere la chiesa di Monserrato, prova a far germogliare un ramo nuovo dalla vecchia radice, recuperando quel rito greco, in cui la parte ionica del reggino si è lungamente identificata, prima che il rito latino, a metà del Quattrocento, diventasse la sua unica tradizione religiosa.
Parla di luce, suor Mirella: la luce che la Genesi racconta promanare da Dio e attraversare la creazione (non c’è mai, dice, mancanza di luce, la luce penetra il buio, lo attraversa, anche quando non la vediamo); la luce della Trasfigurazione, che non è esperienza solo di Cristo, ma quello che ciascuno è chiamato a vivere, la luce dell'Unità che ella cerca con nostalgia struggente.
Racconta la sua vita (da Siderno all’impegno in prima linea negli anni della contestazione, fino alla lunga docenza alla Sorbona e poi di nuovo nella sua terra, all’eremo di Gerace), di sua figlia e del suo nipotino, risponde alle domande degli ospiti, chiede notizie sul loro lavoro e le loro attività. Parla con tono dolce e parole precise, ascolta con attenzione accogliente, il corpo raccolto, le mani che si muovono leggere.
Il discorso con lei spazia su molti temi e si concentra su religione e società, sulla mancanza di speranza ormai diffusa non solo in Calabria, del permanere in un Venerdì santo che non si apre alla Resurrezione, in un presente che non sembra più avere né passato né futuro. (Bruno Demasi)
IL MEDITERRANEO E’ LA NOSTRA CASA…
Suor Mirella, eremita |
Da tutte queste sponde vennero i monaci, cominciando dall’Egitto, in fuga davanti agli invasori di allora, e finendo con i greci, in fuga dall’iconoclastia. Allora questa terra fu un rifugio per lunghi secoli.
Quando ero bambina e poi per tutto il tempo che sono stata lontana da qui, più di due terzi della mia vita, il ricordo di questo paesaggio estivo era causa di dolore. Sentivo la separazione da questa terra non solo come un esilio, ma proprio come la privazione di una persona amata. Avevo una percezione quasi fisica degli ulivi, della terra arida, delle erbe secche, dell’aria marina.
Le icone di Mirella |
Ricordo un anno della mia giovinezza, l’unico in cui d’estate non venni qui in vacanza, ma andai in Grecia.
Camminai molto all’interno della Grecia e sulle rive, mi sentivo a casa. Ritrovavo le stesse immagini e gli stessi odori che mi mancavano.
Molti anni dopo, viaggiando in Medio Oriente, ebbi la stessa sensazione di casa. Il Mediterraneo è la nostra casa e noi abbiamo esperienza di paesaggi, colori, immagini comuni.
Se così è per una condizione geografica che ci accomuna, che cosa sarà per la partecipazione alla vita di Dio in Cristo? Come può non formarci alla comunione fra noi? Se coloro che vivono sulle sponde dello stesso mare respirano lo stesso profumo di acque, erbe, terra e sole, come non sarà lo stesso il profumo effuso dalla mensa eucaristica, partecipazione allo stesso e unico corpo? Respiriamo questo profumo effuso, cari fratelli, che ci rende tutti commensali del Regno, trasformati dallo stesso e unico Spirito a somiglianza di colui che è nostro cibo…
Ma noi siamo così abituati alla nostra condizione piagata, da non avvertirla più o, anche se ne prendiamo coscienza, è un cadere nel sentimento di rassegnazione… A volte in buona fede si prega per la comunione affidando tutto all’opera dello Spirito Santo, senza pensare che esso si sceglie strumenti fra gli uomini. Ma quando tali strumenti entrano in contatto con i più, essi suscitano diffidenza, come se fossero preda di un’esaltazione che li porta fuori dalla realtà…
Molti anni dopo, viaggiando in Medio Oriente, ebbi la stessa sensazione di casa. Il Mediterraneo è la nostra casa e noi abbiamo esperienza di paesaggi, colori, immagini comuni.
L'eremo di Monserrato di Gerace |
Se così è per una condizione geografica che ci accomuna, che cosa sarà per la partecipazione alla vita di Dio in Cristo? Come può non formarci alla comunione fra noi? Se coloro che vivono sulle sponde dello stesso mare respirano lo stesso profumo di acque, erbe, terra e sole, come non sarà lo stesso il profumo effuso dalla mensa eucaristica, partecipazione allo stesso e unico corpo? Respiriamo questo profumo effuso, cari fratelli, che ci rende tutti commensali del Regno, trasformati dallo stesso e unico Spirito a somiglianza di colui che è nostro cibo…
Ma noi siamo così abituati alla nostra condizione piagata, da non avvertirla più o, anche se ne prendiamo coscienza, è un cadere nel sentimento di rassegnazione… A volte in buona fede si prega per la comunione affidando tutto all’opera dello Spirito Santo, senza pensare che esso si sceglie strumenti fra gli uomini. Ma quando tali strumenti entrano in contatto con i più, essi suscitano diffidenza, come se fossero preda di un’esaltazione che li porta fuori dalla realtà…