di Bruno Demasi
Mi ha fatto molto riflettere la fresca e intelligente preghiera che al termine di un'omelia, qualche giorno fa, un vecchio sacerdote ha espresso ad alta voce augurandosi che il folclore non soffocasse lo spirito e le funzioni pasquali, non tanto il folclore popolare e antico, quanto quello moderno costituito dalle mille ridondanze pseudoliturgiche inventate ogni anno in maniera sempre più prolifica in certe chiese locali.
In effetti il folclore popolare antico tipico del periodo pasquale, almeno sull'Aspromonte, è stato brutalmente spazzato via vuoi dalla lotta iconoclasta condotta animosamente da tanti settori ecclesiali contro tutto ciò che , secondo loro, non sapeva di "cristianesimo adulto", vuoi anche dalle recenti disposizioni dell'episcopato calabro che, incalzato dai media, ha preteso di disciplinare fin nelle virgole le feste popolari, tanto da renderle in certi casi solo le parodie di se stesse.
E tuttavia, per una strana legge del contrappasso, nel momento stesso in cui si fa piazza pulita di vecchie consuetudini popolari, specialmente quando le stesse puzzano vagamente di illegalità o di ossequio alla mentalità ndranghetistica, viene spontaneo crearne delle altre che non sempre sono migliori di quelle abbandonate.
Nascono così nuove forme di folclore non già nella liturgia ecclesiale, che deve comunque restare fedele a se stessa, quanto nei modi e soprattutto nei tempi di esplicazione. Sicchè liturgie, per loro natura sobrie e asciutte, diventano ridondanti e immaginifiche, lunghissime, estenuanti, fatte più per stancare e asfissiare il popolo di Dio che per avvicinarlo al mistero della Santa Pasqua. E al centro di esse tanto esibizionismo vanesio, tanta esplosione di costumi, di pennacchi e mantelli, tanta fantasmagoria di parole e di omelie improbabili che rischiano di far perdere il cuore del Kerigma dietro ragionamenti contorti e inconcludenti e parossismi verbali da palcoscenico.
Il problema ovviamente non è solo locale: probabilmente tra le varie confessioni cristiane, quella Cattolica Romana si distingue per il catalogo infinito di devozioni, consuetudini, riti lasciati più alla scelta della singola chiesa locale o della singola parrocchia che non a una condivisa visione del fatto di Fede incarnato nella storia locale e quotidiana e in una liturgia veramente unitaria.
Hai mai visto nella chiesa cattolica di rito greco, in quella ortodossa, nelle confessioni protestanti (per non parlare di altre confessioni e di altre religioni) una molteplicità tanto abnorme di atti ed esercizi “devozionali”, di “stili” e liturgie quanti ne esistono invece nelle nostre chiese locali – e persino all’interno dei movimenti ecclesiali riconosciuti dalla Chiesa - dove si continuano a sovrapporre ai riti e alle devozioni tradizionali nuovi riti e nuove devozioni, quasi che la rottamazione e la “purificazione” del “vecchio” dovesse necessariamente andare di pari passo con le sovrapposizioni di devozioni e di riti nuovi o riciclati?
E’ questa la ricerca tanto decantata dell’ unità dei cattolici? E’ questa la semplicità dell’annuncio che chiama o riavvicina a Dio? E’ questa la buona Chiesa di Cristo? Quella che ne celebra quotidianamente la Resurrezione, senza la quale, come afferma Paolo di Tarso, vana sarebbe la nostra fede? O non si tratta di una chiesa non solo orribilmente divisa in sé, ma anche frazionata in mille chiese, in mille azioni liturgiche o devozionali non sempre convergenti e spesso lasciate all’arbitrio e agli umori dei più o dei più potenti?
E’ veramente questa , affaccendata e persa in mille azioni mistagogiche, la Chiesa delle beatitudini, dei semplici e dei puri di cuore che, grazie ad Essa, vorrebbero incontrare Dio nella loro vita senza la mediazione di orpelli ,ori, fiumi di parole o d' inchiostro o, peggio, prodigi?
Ed è questa la Chiesa di Cristo che anche per le sue “semplici” azioni quotidiane ha bisogno di direttori, di istruzioni meticolose , di dosaggi e posologie, la cui responsabilità di applicazione in ultima analisi viene lasciata - com'è giusto - ai singoli parroci, i quali però lamentano di essere soli soltanto quando devono assumersi le loro responsabilità, ma quasi mai promuovono o accettano gli ausili che potrebbero dare loro quei consigli pastorali parrocchiali da loro stessi accuratamente evitati?
Quanta atroce distanza tra le nostre misere beghe quotidiane e la Chiesa dei martiri che ancora in queste ore continuano a versare il loro sangue per mano di chi in odio alla Fede riempie di cadaveri i monti calvari del Kenia, della Siria, della Libia e di tutto il mondo ( e che è simboleggiata nell' icona di apertura che illustra questo post)!
Quanta distanza paurosa tra le nostre piccole beghe quotidiane e la Chiesa dei sacerdoti e degli umili e dei coraggiosi , vittime della mafia e di ogni quotidiano oltraggio alla Verità, alla Giustizia e al Bene comune!
Quanta distanza da quella semplicità di cuore che , almeno a parole, tutti vorremmo avere e attraverso i cui occhi è possibile senz’altro vedere Dio.
In effetti il folclore popolare antico tipico del periodo pasquale, almeno sull'Aspromonte, è stato brutalmente spazzato via vuoi dalla lotta iconoclasta condotta animosamente da tanti settori ecclesiali contro tutto ciò che , secondo loro, non sapeva di "cristianesimo adulto", vuoi anche dalle recenti disposizioni dell'episcopato calabro che, incalzato dai media, ha preteso di disciplinare fin nelle virgole le feste popolari, tanto da renderle in certi casi solo le parodie di se stesse.
E tuttavia, per una strana legge del contrappasso, nel momento stesso in cui si fa piazza pulita di vecchie consuetudini popolari, specialmente quando le stesse puzzano vagamente di illegalità o di ossequio alla mentalità ndranghetistica, viene spontaneo crearne delle altre che non sempre sono migliori di quelle abbandonate.
Nascono così nuove forme di folclore non già nella liturgia ecclesiale, che deve comunque restare fedele a se stessa, quanto nei modi e soprattutto nei tempi di esplicazione. Sicchè liturgie, per loro natura sobrie e asciutte, diventano ridondanti e immaginifiche, lunghissime, estenuanti, fatte più per stancare e asfissiare il popolo di Dio che per avvicinarlo al mistero della Santa Pasqua. E al centro di esse tanto esibizionismo vanesio, tanta esplosione di costumi, di pennacchi e mantelli, tanta fantasmagoria di parole e di omelie improbabili che rischiano di far perdere il cuore del Kerigma dietro ragionamenti contorti e inconcludenti e parossismi verbali da palcoscenico.
Il problema ovviamente non è solo locale: probabilmente tra le varie confessioni cristiane, quella Cattolica Romana si distingue per il catalogo infinito di devozioni, consuetudini, riti lasciati più alla scelta della singola chiesa locale o della singola parrocchia che non a una condivisa visione del fatto di Fede incarnato nella storia locale e quotidiana e in una liturgia veramente unitaria.
Hai mai visto nella chiesa cattolica di rito greco, in quella ortodossa, nelle confessioni protestanti (per non parlare di altre confessioni e di altre religioni) una molteplicità tanto abnorme di atti ed esercizi “devozionali”, di “stili” e liturgie quanti ne esistono invece nelle nostre chiese locali – e persino all’interno dei movimenti ecclesiali riconosciuti dalla Chiesa - dove si continuano a sovrapporre ai riti e alle devozioni tradizionali nuovi riti e nuove devozioni, quasi che la rottamazione e la “purificazione” del “vecchio” dovesse necessariamente andare di pari passo con le sovrapposizioni di devozioni e di riti nuovi o riciclati?
E’ questa la ricerca tanto decantata dell’ unità dei cattolici? E’ questa la semplicità dell’annuncio che chiama o riavvicina a Dio? E’ questa la buona Chiesa di Cristo? Quella che ne celebra quotidianamente la Resurrezione, senza la quale, come afferma Paolo di Tarso, vana sarebbe la nostra fede? O non si tratta di una chiesa non solo orribilmente divisa in sé, ma anche frazionata in mille chiese, in mille azioni liturgiche o devozionali non sempre convergenti e spesso lasciate all’arbitrio e agli umori dei più o dei più potenti?
E’ veramente questa , affaccendata e persa in mille azioni mistagogiche, la Chiesa delle beatitudini, dei semplici e dei puri di cuore che, grazie ad Essa, vorrebbero incontrare Dio nella loro vita senza la mediazione di orpelli ,ori, fiumi di parole o d' inchiostro o, peggio, prodigi?
Ed è questa la Chiesa di Cristo che anche per le sue “semplici” azioni quotidiane ha bisogno di direttori, di istruzioni meticolose , di dosaggi e posologie, la cui responsabilità di applicazione in ultima analisi viene lasciata - com'è giusto - ai singoli parroci, i quali però lamentano di essere soli soltanto quando devono assumersi le loro responsabilità, ma quasi mai promuovono o accettano gli ausili che potrebbero dare loro quei consigli pastorali parrocchiali da loro stessi accuratamente evitati?
Quanta atroce distanza tra le nostre misere beghe quotidiane e la Chiesa dei martiri che ancora in queste ore continuano a versare il loro sangue per mano di chi in odio alla Fede riempie di cadaveri i monti calvari del Kenia, della Siria, della Libia e di tutto il mondo ( e che è simboleggiata nell' icona di apertura che illustra questo post)!
Quanta distanza paurosa tra le nostre piccole beghe quotidiane e la Chiesa dei sacerdoti e degli umili e dei coraggiosi , vittime della mafia e di ogni quotidiano oltraggio alla Verità, alla Giustizia e al Bene comune!
Quanta distanza da quella semplicità di cuore che , almeno a parole, tutti vorremmo avere e attraverso i cui occhi è possibile senz’altro vedere Dio.
Buona Pasqua a tutti...nessuno escluso!