di Maria Lombardo
Una storia che sembra ambientata nell'Africa tribale delle grandi esplorazioni, ma che ha come sfondo la provincia calabrese di appena un secolo fa
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Panorama di Mendicino |
Caterina arriva in carrozza scende nella piazza del paese e si fa indicare la casa di Minicheddra, la magara del paese: giungeva qui infatti per studiare queste donne e per chiarire al suo mondo come le vedeva. La letterattura del tempo le dipingeva come donne libere, capaci di girovagare di notte, di far paura anche ai principi e ai re. In realtà le streghe erano il frutto di ignoranza, paura e superstizione. Come diceva Voltaire: "Le streghe hanno smesso di esistere quando noi abbiamo smesso di bruciarle".
La Beri osserva molto il paese e la gente e nota che su botteghe e case campeggiano ferri di cavallo, forbici arrugginite e maschere antropomorfe. Ovviamente queste erano usanze calabresi molto diffuse: bastava solo che lo capisse la giovane torinese.
Appena Minichedda la vede in una sala gremita di gente, dice sbadigliando: “E’ adocchiata”, cioè è oggetto di malocchio, con uno sguardo di complicità verso la folla. Il fatto di sbadigliare era il sintomo del malocchio su Caterina. L' anziana esclama per tranquillizzare la studiosa:” ora ti sdocchio”, e comincia con uno strano rituale con dei borbottii e delle formule, per liberare la Beri.
La giovane assiste al rito rapita, convinta che avrebbe ricavato un buon trattato di studio. Il rito ha successo, e la nostra Caterina forse suggestionata, si sente meglio e, affascinata maggiormente dall'anziana donna, inizia a proporre alla gente domande per poterla conoscere meglio.
Le raccontano che conosce i segreti delle erbe medicinali, e prepara pozioni e filtri. Ha una soluzione per tutti i problemi. Le indicano anche che conosce i segreti dell'erba di San Giovanni che si credeva avesse il potere di allontanare i demoni, ma anche di evocarli. Motivo per il quale nei villaggi rurali le donne pratiche di magia venivano trattate con timore e con rispetto, chiamate con l'appellativo di zia o comare. Però come tutte le magare aveva il potere di ammaliare le persone con formule e filtri, eccitare l’odio o l'amore, produrre malattie, gettare il malocchio su uomini e animali. La sua vicinanza alle forze della notte, al potere misterioso della luna, le rendeva capaci di trasformare gli uomini in lupi e questi disgraziati passavano le notti di luna piena urlando e camminando carponi per le strade intorno ai villaggi. Del resto alcune famiglie di Mendicino erano famose in tutta la provincia perché conoscevano i segreti delle erbe ad uso terapeutico.
Caterina dona dei soldi a Minicheddra, quasi a volerla ringraziare per il gesto subito ( o per paura) e, dopo aver assistito ad una spettacolare tarantella, dal titolo “Quannu nascisti tu Rosa bastanti” ,cantata e danzata da affascinanti donne mendicinesi, se ne va a malincuore dal piccolo paese cosentino, concludendo il suo racconto con la frase:
“Non tutti i giorni si può andare a Mendicino”.
“Non tutti i giorni si può andare a Mendicino”.