Ai margini della Piana di Gioia Tauro, sulle pendici collinari di Nicotera si snodava e si snoda ancora la maestosa "Via dei Mulini", ieri una summa eloquente dell'operosità di un mondo che del grano e del pane e della fatica quotidiana aveva fatto la propria religione, oggi soltanto sintesi dei mille mulini abbandonati nel territorio della Piana e metafora di quel pane inseguito o perduto o rubato che è il lavoro sempre più assente, sempre più impossibile da queste parti. Una via emblematica di cui vediamo in questa prima immagine lo struggente inizio dall'alto del paese e che ci piace ricordare proprio nel vivo di questa campagna elettorale gelida e feroce quasi come l'allegoria di un luogo della memoria dove abbiamo sotterrato la nostra voglia di tornare a vivere a testa alta....(B. D.)
di Michele Scozzarra
Tante domande, a dire il vero, sono rimaste senza risposta, anche se la prima cosa che è risultata immediatamente chiara, è stata la difficoltà a
definire il lavoro con una formula, per cui mi è risultato più facile capire cosa il lavoro contenuto nella tesi e rappresentato nella mostra non era: non era un tentativo di recupero sentimentale delle radici della propria terra e della sua tradizione; non era un documentario, tanto meno una denuncia sociale per qualcosa che non meritava di perpetrare nel suo stato di abbandono.
Per questo, appena letto il libro, nel quale le autrici hanno raccolto tutta la loro fatica, ho tirato un respiro di sollievo: tante mie domande hanno avuto una risposta chiara e positiva: "La via dei Mulini", edito dall'Associazione culturale Proposte di Nicotera, non è un viaggio nella memoria, non è una reminiscenza tra sogno e fantasia, un girovagare a ritroso nel labirinto dei ricordi... E', invece, un atto di conoscenza generato da un atto d'amore: una conoscenza che riesce a portare l'occhio, la mente ed il cuore alla scoperta di un mondo che, anche se scomparso, riesce ancora a trasmettere una sua straordinaria bellezza. Non si tratta di nostalgia, forse è più giusto dire che si tratta di "poesia", nel senso più autentico del termine, che è quello del far emergere la verità e la bellezza dalle parole e dalle immagini che il lavoro presenta.
Il libro non cerca di far capire com'era bella (o brutta!) la vita dei mugnai nicoteresi (anche se, simpaticamente, si scopre che "con l'introduzione del mulino ad acqua nasce la figura del Mugnaio, personaggio dal fascino ambiguo, molto spesso odiato e punito, giocando sull'infedeltà della moglie..."), ma semplicemente fa vedere com'era l'ambiente, rivela un mondo scomparso e con esso tutta la cultura che c'era dietro. Un lungo percorso che va ben al di là della realtà dei Mulini di Nicotera.
Significativo è il rilievo dato al mondo di valori, di usanze che l'abbandono di queste realtà lavorative ha fatto scomparire.
E qui viene l'osso più duro da masticare, perché la parola "mugnaio" oggi sta ad indicare un qualcosa che non c'è più, e non potrà mai più tornare ad esserci, anche perché i mugnai che vediamo oggi (e li vediamo solo in televisione), sono alle prese con le macchine, i prodotti sintetici, i programmi di produzione e magari lavorano il grano manovrando un computer.
E proprio qui si innesta, a mio modesto avviso, il valore del lavoro degli Architetti Giuseppina Lapa e Chiara Naso: avere avuto il coraggio di proporre la questione della cultura dei mulini, provocando ad un confronto critico l'attuale civiltà, che non è stata in grado salvaguardare questi grandi monumenti della nostra cultura rurale nei suoi molteplici aspetti.
Contro il presentimento (che poi solo presentimento non è!) di questo abbandono incombente, e all'esigenza istintiva di una rinascita culturale, è finalizzato questo lavoro che si concretizza in un progetto che prevede due alternative concrete e realizzabili: un percorso "di cultura" nella città ed un percorso nella natura. Ma lasciamo che le stesse Autrici si esprimano a riguardo: "Scopo principale del nostro progetto è di ridare vita ai nostri mulini, per troppo tempo considerati ingiustamente beni culturali minori ed abbandonati all'inarrestabile opera del tempo, risvegliandoli dal sonno di decenni tra le braccia della stupenda natura circostante. Ridare vita ai mulini... ripopolando luoghi che un tempo furono culla di una epoca fervente di lavoro instancabile. Ridare voce a quei ruderi perché non diventino rovine, ridare colore alla loro storia per troppo tempo vista come un ricordo in bianco e nero che sbiadisce con il tempo, fino a scomparire nella memoria".
Per questo è bene mettere in rilievo, come tutta la realtà documentata nel libro è dimensione e testimonianza, non appena della cultura contadina, ma della cultura in quanto tale, intesa come lavoro dell'uomo perché si riappropri della sua verità e dignità.
Non so quanti nel libro hanno colto la limpida immagine che ha generato, alimentato e guidato la genialità creativa della nostra gente. Quest'immagine di un popolo geniale e laborioso è tra le espressioni più alte del libro, forse qui è racchiusa anche la forza della sua proposta, che si leva come un grido per destare l'interesse verso questo stato di degrado in cui sono stati sepolti per tanti anni i resti e le testimonianze di questa civiltà, che è nata proprio intorno ai vecchi mulini.
E queste grida sono indirizzate verso tutta la popolazione, verso i politici, verso gli studiosi e quanti hanno a cuore il loro recupero, affinché questo enorme patrimonio artistico-culturale, a molti ancora sconosciuto, non debba andare perduto.
Il libro ci mette davanti delle immagini che non possono non suscitare sbalordimento... in tanti può darsi anche che prevale l'incredulità, davanti a quello che si presenta davanti: sembra quasi impossibile credere che ci possano essere opere così importanti, senza nessuna protezione e salvaguardia.
Le Autrici del libro, egregiamente, hanno rappresentato la realtà di questi mulini proprio come fossero persone vive: e, sotto questo aspetto, il libro si presenta non solo come una documentazione di natura artistica, ma è anche un contributo alla ricerca della complessità e vastità dell'umanità che ha popolato quei luoghi e, per dirla con le loro stesse parole: "In una epoca dove tutti possiamo dire la nostra, lasciamo parlare anche i ruderi, e facciamoli rivivere per ritrovare il dialogo con un passato cui siamo legati da fattori storici, economici, politici ed affettivi... Molto è andato perso di una vita semplice operosa: manca il rumore piacevole dell'acqua che scorre e da la forza alle ruote, manca il canto delle instancabili macine e l'affaccendarsi dei mugnai, i sacchi di grano sui muli e giù per la collina. Oggi, tutt'intorno rimane la stessa natura verde e rigogliosa, ed il forte fascino per una tradizione persa nei secoli ma ancora viva nei racconti e nei ricordi degli anziani, tra i muri caduti dei vecchi mulini". Per questo ritengo che, facendo memoria del passato, La via dei Mulini, risponde a delle domande del presente e apre una strada al futuro: in quanto anche se analizza il problema, soprattutto da un punto di vista tecnico-operativo, si rivela opera di alta poesia, se del poeta è cogliere in un unico atto il ieri, l'oggi ed il domani; infatti il libro rispecchia la vita, in uno dei suoi aspetti più faticosi, ma più nobili, e poetare è saper riportare l'immagine della vita in tutta la sua verità e bellezza".