giovedì 29 maggio 2014

RINASCIMENTO SACRO NELLA PIANA DI GIOIA TAURO

UN CAPOLAVORO INDISCUSSO  PER L'INTERA PIANA:
 IL CINQUECENTESCO TRITTICO DEL GAGINI IN GALATRO

di Umberto Di Stilo


      Che la Calabria - regione che certa cultura egemone non perde occasione  per bistrattare - sia stata culla
di civiltà è ormai un fatto, oltre che accertato, quanto mai assodato, ma  è altrettanto acclarato ormai che noi stessi Calabresi tendiamo, forse per innato spirito autodistruttivo, a  dimenticare la nostra identità culturale. Eppure gli esempi, anche colti, di questa grande storia  sono moltissimi e lo documentano, in modo inconfutabile anche nella Piana di Gioia Tauro, le testimonianze artistiche che, in maniera tangibile, possono vantare tutti i nostri paesi. Anche quelli che oggi, tagliati fuori dalle grandi vie di comunicazione, vengono considerati come facenti parte dell'"entroterra".

    Uno di questi è sicuramente Galatro che, situato in fondo ad una valle, ricco di acque ed incastonato nel verde argentato degli olivi ed in quello cupo degli aranci, vanta una interessante e plurisecolare storia di civiltà e di cultura. Ne è testimonianza il cinquecentesco trittico marmoreo che, con la sua imponente struttura, costituisce la parte monumentale dell'altare maggiore della chiesa arcipretale "San Nicola". Quest'opera rappresenta la pi- importante testimonianza artistica dell'intera zona ma documenta, soprattutto, il grado di cultura e di civiltà cui era pervenuta Galatro nel lontano cinquecento quando gli influssi rinascimentali erano presenti nella comunità galatrese sia in campo letterario che in quello
artistico. Tutto ciò oltre che per la viva intelligenza dei cittadini indigeni anche per la massiccia presenza di quei monaci greco-bizantini che, rifugiatisi in queste zone interne della Calabria, per erigere alcuni dei loro più importanti monasteri (Sant'Elia di Copassino, San Salvatore della Chilena, Santa Maria di Palangati, ecc.) scelsero proprio il territorio galatrese. Ai basiliani seguirono, poi, i Cappuccini che sin dal giorno della loro "Riforma", vollero stabilirsi a Galatro andando ad abitare il vecchio convento "Sant'Elia" che, da qualche tempo, era stato abbandonato dai monaci dell'ordine di San Basilio Magno. Grande importanza, nello sviluppo socio-artistico-culturale dei cittadini di Galatro -allora per la stragrande maggioranza impegnati nella lavorazione e nella commercializzazione delle pelli, (le rinomate "cordovane")- ebbero, dunque, i rappresentanti del mondo monastico. Non minore, però, ne ebbero i feudatari che si sono succeduti nella proprietà del paese, i quali, non di rado, hanno operato con la magnanimità che contraddistingue i veri mecenati.
     E' il caso del nostro altare che giunse nella valle del Metramo grazie alla generosità di un feudatario particolarmente sensibile ai problemi connessi alla divulgazione del culto ed a quelli inerenti la diffusione dei principi del Cristianesimo e della Religione cattolica.
     Il trittico di Galatro, nei primi anni di questo secolo, è stato "attribuito" allo scultore Antonello Gagini
(1478-537) e fino al 1783 costituiva l'altare maggiore della chiesa basilicale "Santa Maria della Valle", completamente distrutta dal terremoto del 5 febbraio di quell'anno.
     Tale chiesa, imponente nelle forme architettoniche, ricca di arredi di pregio e di artistiche statue, fu costruita nei primi anni del secolo XVI per espressa volontà di Andrea III della Valle, uomo assai erudito, già canonico di San Pietro, che dal febbraio 1508 a giugno 1523 fu vescovo di Mileto.
     La chiesa galatrese, pertanto, -fatta erigere in "suolo lateranense" - prese il nome dal casato dell'alto prelato (il Della Valle sarà, poi, cardinale) che la volle realizzare nel "suo" feudo giacché Galatro, sin dai primi albori del XV secolo e fino 1721, appartenne per metà al Vescovo di Mileto e per metà ad un principe laico. (Il 21 luglio del 1721 il vescovo Mons. Domenicantonio Bernardini, pur riservando per sè e per i suoi successori il titolo di "Baro Galatri", ha ceduto in "emphiteusim" la sua metà al Principe Don Giovan Domenico Milano-Franco, marchese di San Giorgio e di Polistena che, essendo già proprietario dell'altra metà, divenne unico feudatario del paese fino a quando, nel 1806, con legge napoleonica, non fu soppressa la feudalità).
    Successivamente al terremoto del 1783, quando l'intero paese fu totalmente ricostruito su un nuovo "sito", si pensò di utilizzare il trittico monumentale -miracolosamente scampato al "flagello", nonostante fosse stato totalmente seppellito dalle macerie della chiesa- spostandolo nella nuova parrocchiale San Nicola, ove ancora oggi è visibile in tutta la sua imponente maestosità ed in tutto il suo splendore artistico.
     Le statue che compongono il trittico, da sinistra a destra, raffigurano San Giovanni Battista, Santa Maria della Valle e San Giovanni l'Evangelista.
     Giovane abbastanza forte, ben conformato nei particolari somatici e perfetto nelle proporzioni
anatomiche, appare il Battista. La pelliccia che lo copre dall'addome fin sopra le ginocchia ricorda la prima giovinezza del Santo allorché abbandonò la seducente mondanità per la solenne quiete delle selve e per le convinte predicazioni. Sereno nel volto, il Battista con ambo le mani regge il libro che ha poggiato sul fianco sinistro mentre ha lo sguardo fisso verso un punto lontano. L'artista ha, forse, voluto fermare nel marmo l'espressione che il Battista aveva nel momento in cui è andato incontro al Divin Nazareno.
     Un agnello, appena sbozzato, è sul lato sinistro del basamento.
     Nella nicchia centrale è la Vergine col Bambino a cui, in onore del Vescovo-mecenate fondatore della Chiesa, è stato dato il nome di Santa Maria della Valle.
     La figura della Madonna -col volto piccolo, dolce, dalla fronte ampia e luminosa, con sopracciglia appena accennate, le palpebre chinate, quasi a velare lo sguardo, un lieve sorriso che non schiude le labbra ma che fa intravedere una infinita pace interiore- appare quanto mai delicata.Dal centro della fronte due ciocche simmetriche di ondulati capelli si dipartono, incorniciando il volto, mentre il capo è coperto dal velo che scende sulle spalle e che le fascia, fino a lasciar congiungere i lembi sotto i piedi del Bambino, che sorregge sull'avambraccio sinistro. Il Bambino Celeste, completamente nudo, alza il braccio destro benedicente verso la folla.
     La statua poggia su uno scannello esagonale a facce rettangolari. Tre di queste facce sono istoriate da altrettanti bassorilievi. Nel primo, quello centrale, è rappresentata la nascita di Gesù (con la stalla, Giuseppe e Maria, un pastore sull'estrema destra, le pecore, l'angelo, l'asino, il bue e, naturalmente, adagiato sulla paglia, il Redentore Neonato).
    Sul lato sinistro c'è l'Annunciazione: un angelo si genuflette con un giglio in mano; sul lato destro è, invece, raffigurata la Madonna che, inginocchiata, riceve lo Spirito Santo sotto le allegoriche sembianze di una colomba.
     L'ultima statua, quella di San Giovanni Evangelista, è sicuramente la più importante e la più riuscita dal punto di vista artistico. Robusto e forte, l'Evangelista lascia trasparire il travaglio interiore attraverso alcuni dosati colpi di scalpello che sembrano abbiano scavato il volto.
     Con la testa leggermente chinata e girata verso destra, il Santo fissa il suo pugno chiuso. Perchè?
Riteniamo che in quella mano San Giovanni reggesse una croce e sollevandola in maniera decisa, a quanti si accostavano a lui per sentire la parola evangelica, la mostrasse come la bandiera della nuova Fede. Per questo, a guardar bene, nei suoi tratti somatici sembra leggere l'invito a seguire quella croce che, sul Golgota, è diventata il simbolo di un grande olocausto. (Se la nostra intuizione è fondata, non riusciamo a spiegarci il motivo per il quale, dopo il terremoto del 1783, nessuno abbia più provveduto a rimettere nella mano del Santo Evangelista una croce di legno!).
     La mano sinistra (assai simile a quella del Battista anche nella posizione del pollice e dell'indice) regge un grosso volume che, poggiato sul fianco, simboleggia certamente la sua Apocalisse, i Vangeli e le Epistole. Ricercato è il drappeggio della tunica e del manto.
      Sono stati i funzionari della Sovrintendenza ai monumenti di Napoli che, comparando le statue galatresi a quelle esistenti in molte chiese della Calabria e della Sicilia, hanno "attribuito" le tre sculture che danno corpo al trittico marmoreo della chiesa San Nicola di Galatro al palermitano Antonello Gagini dalla cui bottega messinese a diecine uscirono le statue dirette alle più importanti chiese siciliane e calabresi. Fino ad oggi trattasi di una semplice attribuzione. Non si dispera, però, che le meticolose (e, da parte nostra, mai interrotte) ricerche d'archivio possano sfociare nel rinvenimento dei documenti che consentono di dare alle statue la loro indubbia e definitiva paternità.
    Intanto, quasi a conferma della loro importanza artistica, da alcuni anni, le tre statue sono diventate argomento di attenti studi da parte dei giovani della facoltà di architettura di Reggio Calabria.
    Qualche critico è portato a ritenere che le tre statue evidenziano due diversi stili di lavorazione e di impostazione artistico-scultorea.
     In effetti lo stile dei due "San Giovanni" si differenzia da quello della Madonna. Ciò non impedisce, però,
di pensare che tutte e tre le statue siano state concepite dal Gagini. Solo che, molto probabilmente, -forse, per la sopravvenuta morte dell'artista- la scultura della Vergine potrebbe essere stata ultimata da qualcuno dei figli (Giandomenico, Antonio, Fazio, o Giovan Vincenzo) o da qualcuno dei suoi numerosi discepoli.
     Non c'è dubbio, però, che la statua sia stata ideata da Gagini. Per convincersene basta confrontarla con le numerose altre "Madonna col Bambino" che si trovano nelle varie chiese di Calabria: stesso atteggiamento, uguale impostazione, identica scioltezza di movimenti delle pieghe, medesima espressione del Bambino che guarda alla folla abbozzando un innocente sorriso. E, non ultima, uguale dolcezza espressiva del volto ovale della Divina Madre ed identica impostazione dello scannello di base.
     Come se ciò non bastasse l'intero altare, anche per l'impiego dei marmi, è uguale a quello che, eseguito su commissione del Duca di Monteleone e viceré di Sicilia Ettore Pignatelli, ancora oggi, nella sua maestosa bellezza, può essere ammirato nella chiesa di San Leoluca di Vibo Valentia.    
    Sulla paternità del trittico di Vibo non ci sono dubbi: le statue sono "firmate" e "datate". Un motivo in più per ritenere che anche queste di Galatro -che, ripetiamo, anche nell'impiego dei marmi sono del tutto simili a quelle vibonesi- sono state create dall'estro artistico di Antonello Gagini.
       Un particolare da non sottovalutare: il bassorilievo che, spirato al tema della Natività, è stato realizzato dall'artista palermitano sul lato centrale dello scannello esagonale che fa da base alla "Madonna col Bambino" del trittico che costituisce l'altare monumentale della Cappella delle Anime del Purgatorio del Duomo di Vibo, è completamente simile a quello della statua di Galatro. Tutto ciò è abbastanza significativo ed importante. Soprattutto al fine di stabilire la paternità di questa statua che, come detto, c'è qualcuno che vorrebbe attribuire ad uno scalpello diverso da quello di Antonello Gagini. Anche questo è tutto da provare ed una parola definitiva potrebbe venire da esperti conoscitori della scultura gaginesca oltre che dalla Soprintendenza. In questo senso sarebbe necessario che la "intellighenzia" galatrese si prodigasse per dipanare la matassa e, sulla scia di quanto nei primi anni del secolo è già stato fatto dal sindaco del tempo prof. Francesco Lamari e dal parroco Don Bruno Antonio Marazzita, si avviassero tutte le iniziative ritenute necessarie per cercare di valorizzare un'opera della quale tutti i cittadini di Galatro dovrebbero andare orgogliosi.

    Sull'altare -realizzato in marmi policromi, mentre le statue sono in marmo di Carrara- e al centro di un quadrilatero ai cui lati trovansi due snelle colonne, nel corso dei lavori di restauro del 1914, è stato collocato un altorilievo riproducente l'occhio del Creatore posto in un triangolo equilatero dal quale partono raggi di luce per ogni direzione. (Fino a quella data, allo stesso posto, era inserito un settecentesco altorilievo raffigurante un piccolo Cuore di Gesù).
     L'altare termina con in cima lo stemma pontificio situato al centro di una cornice triangolare a cui il vertice è stato tagliato, mentre sui lati esterni della cornice, da cui si diparte l'attico, snelle si alzano due guglie.
     Originale e delicato il tempietto che dà forma alla custodia sul fregio della quale l'artista ha riproposto il verso di Ezechiele: "Solem nube tegam". Un'opera d'arte insomma, questo cinquecentesco altare, che nell'eloquente linguaggio dell'arte e "vincendo di mille secoli il silenzio" ancora oggi testimonia il grado di cultura di un paese che in passato seppe emergere fino a diventare culla di avanzata civiltà.

lunedì 26 maggio 2014

PECCATO PER LA PIANA DI GIOIA TAURO !!!

di Bruno Demasi

       Un vero peccato che anche stavolta la Piana di Gioia Tauro ( e non solo) abbia perso l’occasione di alzare la testa e di dire no democraticamente e civilmente al vecchissimo sistema del clientelismo, del voto pilotato dai soliti noti, agli ingranaggi più contorti e biechi e volgari di un potere fine a se stesso che , malgrado tutto, continua a perpetuarsi in modo facile e tacitamente condiviso da molti.
      La Piana ha votato per le europee ancora una volta in modo stancamente e masochisticamente avulso da ogni coscienza civica, da ogni progetto individuale e collettivo di perseguire il bene dei propri figli e delle generazioni perdute che a frotte stanno abbandonando di corsa questi paesi, regalando nell’ordine:

· ben il 30,46% dei suoi suffragi a quello zombie politico denominato Forza Italia che schierava nel Sud figure politicamente vergini come quelle di Clemente Mastella o di Raffaele Fitto, che probabilmente non hanno mai alzato un dito per questa terra, ma ne hanno alzate migliaia per le loro regioni e per i loro entourages di partito e di convento;

· il 28,81% al Partito Democratico , contribuendo a regalare 225.000 preferenze a quel Gianni Pittella che, tra l’altro, ha avallato a suo tempo l’invasione dei nostri mercati agrumicoli con i prodotti provenienti da altri paesi a costi stracciati e che non si è certo sprecato per salvare migliaia di agrumicoltori dalla fame; migliaia di preferenze ai Maiolo, ai Pirillo, ai Cozzolino, sui cui trascorsi politici e amministrativi non dobbiamo dire nulla più di quanto non sia già risaputo; migliaia di preferenze a quella tale Picierno che ha osato affermare che il riscatto del Sud passa anche attraverso l’elemosina di 80 euro data agli elettori suoi e di Renzi e di Pittella e di Maiolo e di Pirillo e di Cozzolino e non a coloro che vivono di niente;

· addirittura il 13,96 %  dei voti a quel NCD che schierava tra le sue fila quel tale Giuseppe Scopelliti, il cui nome è ormai famoso nel mondo come la nduja di Calabria e che è stato il più votato in questa regione con quelle 44.000 preferenze che sembrano piovute dalla luna e che non gli consentiranno comunque di andare al Parlamento Europeo; voti molto “spontanei” candidamente attribuiti al partito non solo degli Scopelliti, ma anche degli ingenui e novellini Cesa, Gargani, Trematerra, Nesci.

      Il 14,38 % degli elettori della Piana abbiamo votato per il Movimento 5 Stelle, l’unico schieramento che non comprendesse tra le sue fila indagati o imputati o condannati a qualsiasi titolo o persone i cui trascorsi politici e amministrativi potessero minimamente far pensare a qualsiasi forma di collusione o di vicinanza con i poteri occulti e meno occulti che agiscono ormai assolutamente indisturbati nella Piana.
     Qualcuno dirà sicuramente che è da sciocchi pretendere che gli unici onesti, le uniche persone libere siano quelle che hanno votato per il M5S. Non lo penso nemmeno, perché sicuramente anche tra coloro i quali non l’hanno votato ci saranno delle persone oneste e in buona fede...
    E’ tuttavia vero e sconvolgente l’aver voluto confermare lo status quo politico, amministrativo, sociale, culturale, economico sulla Piana di Gioia Tauro da parte almeno di un buon 70% di elettori che si sono ancora una volta prostrati davanti ai partiti che hanno spadroneggiato per decenni affamando questi paesi.   Quegli stessi partiti che come minimo se ne sono infischiati sempre dei nostri problemi. 
     Da oggi in poi sarà pressochè inutile protestare per l’assetto da terzo mondo che continuano ad avere i
nostri paesi, i nostri ospedali, le nostre scuole, le strade. Sarà inutile raccogliere firme contro i veleni che non vengono sepolti nei pentoloni dagli gnomi di montagna, tanto cari alle favole metropolitane, ma transitano indisturbati sotto gli occhi di tutti, e non solo per il porto di Gioia . Sarà inutile e ridicolo persino protestare per lo scandalo dei fondi europei non spesi o mal spesi o riposti nei congelatori in attesa della prossima consultazione elettorale. Come sarà ozioso discutere di occupazione e disoccupazione giovanile: il settanta per cento e passa di noi col proprio voto ha confermato senza ombra di dubbio che non solo accetta, ma ama e vuole e condivide e avalla questo assurdo stato di cose.Il Movimento 5 stelle, forse ha sbagliato toni e forma di propaganda, ma non ha barattato un solo voto e non ha calpestato un solo granello dei diritti civili di questa terra . Un Movimento per il quale continueremo senz’altro a lottare a costo di continuare ad essere definiti buffoni come quel Comico di Genova a cui anche noi dobbiamo dire Grazie!

martedì 20 maggio 2014

UNA PIOGGIA, PARDON UNA ZAHALA, ELETTORALE DI MILIONI E DI PROMESSE SULLA PIANA

di Bruno Demasi

     In genere alla vigilia di una consultazione elettorale si abbatte anche sulla Piana una pioggia torrenziale di milioni di €, ma anche di promesse, di cui poi, nei mesi successivi, si perdono in gran parte le tracce: promesse e soldi, soldi , soldi. Soldi e promesse per l'agricoltura, per l'artigianato, per l'industria; soldi e promesse per le piccole imprese, per il commercio, per le infrastrutture. Soldi e promesse per le scuole e per la formazione professionale. Soldi e promesse per tutto e per tutti.
     Stavolta però, proporzionalmente con gli esercizi di raschiamento del barile che si stanno facendo un po' dovunque, anche sulla Piana di Gioia Tauro, più che acquazzoni o piogge torrenziali di (annunci di ) soldi e di miracoli vari,

registriamo solo una pioggerella leggera leggera, aerea, impalpabile. Una zahala, come dicono ancora i nostri vecchi con nobile termine ebraico tenacemente radicato nel nostro dialetto.
     Duevirgolatre milioni di euro promessi dall'assessore (ex?) regionale all'agricoltura (oggi candidato alle europee) per l'agrumicoltura: trarrebbero origine dalla prima tranche del Piano operativo Regionale 2000 - 2006, ma lui se ne ricorda adesso!
     Un numero incalcolabile di vantaggi milionari per l'economia della Piana quello invocato e promesso dalla (ex?) vicepresidente della Regione con l'imminente decollo della ZES, che non è non è un ballo ginnico, della serie Zumba & Sound, ma una Zona Economica Speciale, di cui l'ineffabile vicepresidente rivendica accoratamente solo adesso presso il governo centrale la costituzione con una lunga e linguosa lettera indirizzata al capo del governo, che, a sua volta, ha mostrato grande spirito di abnegazione, sacrificio e coraggio, presentandosi qualche settimana fa in una scuola di
Scalea per una ricchissima ora e mezza del suo tempo prezioso.
     Altrettanto incalcolabili per numero e tipologia i posti di lavoro promessi dai capilista che gli attuali partiti di governo (ufficiali o meno) hanno espresso per il Sud, quindi anche per questo lembo d'Italia e di Calabria, nel quale questi signori stanno presentando i loro programmi europei a cui non crede nessuno.
      Questi stessi signori dimenticano di dire che il fiume di denaro erogato dall'Europa per la Calabria, a partire da quattordici anni fa, ha solo sorvolato ad altissima quota queste contrade, cercando punti di atterraggio accuratamente protetti dalla vegetazione del sottobosco o dalla fitta macchia mediterranea. Dimenticano di
dire che non è stato speso un euro sensatamente per la formazione professionale, per la razionalizzazione vera dell'edilizia scolastica, ma soprattutto per la razionalizzazione della rete scolastica, letteralmente sfasciata o ingrippata in maniera tale da impedirle di funzionare.
     Abbiamo infine anche da queste parti la pioggia degli 80 €, che arrivando soltanto nelle tasche di quei pochissimi fortunati che hanno ancora un lavoro, si ridimensionano drasticamente, ma che comunque sono sufficienti per questi nababbi all'acquisto di almeno due chili di nduja al mese. 
      E non è effettivamente poco!

domenica 18 maggio 2014

ANCORA ALLARME TUMORI A GIOIA TAURO (e non solo lì)

"Una raccolta firme per richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica e degli Enti territoriali e nazionali sui troppi casi di tumore nella Piana

       Sempre più numerosi sono i casi di cancro nella nostra terra, una vera e propria piaga sociale che colpisce persone di tutte le fasce di età. Un fenomeno sotto gli occhi di tutti davanti al quale non si può rimanere inermi. Ecco perché la Pro – Loco Ambientale di Gioia Tauro, insieme alla Protezione Civile Aquile Calabria, La Piana di Gioia Tauro ci mette la faccia, il Comitato Quartiere Fiume e la Guardia Ambientale Costiera Ausiliaria(in collaborazione anche con tutti i Paesi della Piana di Gioia Tauro) si sono unite per dire basta ai tumori che stanno ammazzando tantissimi cittadini del Comprensorio. Queste Associazioni collegate hanno promosso una raccolta firme per cercare di raggiungere alcuni obiettivi importanti come la creazione di un centro operativo nel quale sia presente personale medico infermieristico e volontario per assistere gli ammalati di cancro. Ancora le varie associazioni unite chiedono che si contribuisca a lenire le sofferenze fisiche, psichiche e spirituali degli ammalati di cancro; che si permetta loro di vivere una vita dignitosa e senza sofferenze fino all'ultimo istante, possibilmente nel proprio ambiente e nella propria famiglia, o comunque in strutture appositamente create e predisposte per questo tipo di finalità; che si aiutino le famiglie ad assistere fino alla fine i propri cari e che si propagandi e sviluppi la cultura delle cure palliative con ogni mezzo idoneo.
Inoltre scopo della raccolta firme è la richiesta alle Autorità Competenti, come Regione e Governo, di un monitoraggio di tutta la nostra zona affinché questa possa essere messa in sicurezza per tutelare la salute dei cittadini. In più cercare una struttura attrezzata dove ci siano presenti medici oncologici per effettuare le terapie sul posto, anche le chemio per quei pazienti che non possono essere trasportati altrove.
       Altre richieste importanti delle Associazioni promotrici dell'iniziativa sono: che vengano effettuati dei controlli sugli impianti già esistenti sul territorio affinché funzionino a norma di legge e tutti possano essere a conoscenza dei vari lavori effettuati al loro interno ed infine che vengano controllate e fatte smantellare le zone dove esistono ancora eternit ed amianto.
        Il gazebo per la raccolta firme sarà presente tutti i sabati e le domeniche del mese in Piazza dell' Incontro, anche se per questa domenica, di pomeriggio, i promotori hanno deciso di spostarsi sul Lungomare. Centinaia sono già i cittadini che hanno deciso di aderire all'iniziativa. Sono persone che hanno già perso dei loro cari a causa di questa tremenda malattia e che quindi decidono di continuare a lottare in memoria loro e perché non ci siano più morti, ma ci sono anche tanti cittadini che hanno voluto aderire perché si rendono conto dell'importanza di questo progetto, perché non bisogna mai dimentica che nessuno è immune da certe patologie e che è importante il contributo di tutti per poter vincere questa dura battaglia."(Approdo news, 18 maggio 2014)

martedì 13 maggio 2014

LA VIA DEI MULINI, metafora del pane perduto o rubato


  Ai margini della Piana di Gioia Tauro, sulle pendici collinari di Nicotera si snodava e si snoda ancora la maestosa "Via dei Mulini", ieri una summa eloquente dell'operosità di un mondo che del grano e del pane e della fatica quotidiana aveva fatto la propria religione, oggi soltanto sintesi dei mille mulini abbandonati nel territorio della Piana e metafora di quel pane inseguito o perduto o rubato che è il lavoro sempre più assente, sempre più impossibile da queste parti. Una via emblematica di cui vediamo in questa prima immagine lo struggente inizio dall'alto del paese e che ci piace ricordare proprio nel vivo di questa campagna elettorale gelida e feroce quasi come l'allegoria di un luogo della memoria dove abbiamo sotterrato la nostra voglia di tornare a vivere a testa alta....(B. D.)
di Michele Scozzarra
    Avevo visitato la Mostra su "La Via dei Mulini", allestita dagli architetti Giuseppina Lapa e Chiara Naso nel Castello dei Ruffo di Nicotera, con una certa inquietudine. Che cosa avranno fatto, mi chiedevo, le due Autrici in questa loro pregevole tesi di laurea realizzata e discussa presso la Facoltà di Architettura dell'Università di Reggio Calabria? Un viaggio nella memoria? Un documento da consegnare agli archivi? Un'elegia del mondo contadino? L'elogio funebre di una forma di vita, e di lavoro, ormai scomparse? Girando tra i vari pannelli, e trascurando di considerare l'aspetto direttamente tecnico del lavoro, cercavo di raffigurarmi cosa la gente avrebbe potuto ricordare di quelle immagini, quale testimonianza avrebbe colto da essi, come le avrebbe interpretate, quale senso avrebbe dato al racconto di quella vita e di quelle modalità di lavoro, che le immagini dei mulini rappresentavano?
     Tante domande, a dire il vero, sono rimaste senza risposta, anche se la prima cosa che è risultata immediatamente chiara, è stata la difficoltà a

definire il lavoro con una formula, per cui mi è risultato più facile capire cosa il lavoro contenuto nella tesi e rappresentato nella mostra non era: non era un tentativo di recupero sentimentale delle radici della propria terra e della sua tradizione; non era un documentario, tanto meno una denuncia sociale per qualcosa che non meritava di perpetrare nel suo stato di abbandono.
       Per questo, appena letto il libro, nel quale le autrici hanno raccolto tutta la loro fatica, ho tirato un respiro di sollievo: tante mie domande hanno avuto una risposta chiara e positiva: "La via dei Mulini", edito dall'Associazione culturale Proposte di Nicotera, non è un viaggio nella memoria, non è una reminiscenza tra sogno e fantasia, un girovagare a ritroso nel labirinto dei ricordi... E', invece, un atto di conoscenza generato da un atto d'amore: una conoscenza che riesce a portare l'occhio, la mente ed il cuore alla scoperta di un mondo che, anche se scomparso, riesce ancora a trasmettere una sua straordinaria bellezza. Non si tratta di nostalgia, forse è più giusto dire che si tratta di "poesia", nel senso più autentico del termine, che è quello del far emergere la verità e la bellezza dalle parole e dalle immagini che il lavoro presenta.
    Il libro non cerca di far capire com'era bella (o brutta!) la vita dei mugnai nicoteresi (anche se, simpaticamente, si scopre che "con l'introduzione del mulino ad acqua nasce la figura del Mugnaio, personaggio dal fascino ambiguo, molto spesso odiato e punito, giocando sull'infedeltà della moglie..."), ma semplicemente fa vedere com'era l'ambiente, rivela un mondo scomparso e con esso tutta la cultura che c'era dietro. Un lungo percorso che va ben al di là della realtà dei Mulini di Nicotera.
    Significativo è il rilievo dato al mondo di valori, di usanze che l'abbandono di queste realtà lavorative ha fatto scomparire.
     E qui viene l'osso più duro da masticare, perché la parola "mugnaio" oggi sta ad indicare un qualcosa che non c'è più, e non potrà mai più tornare ad esserci, anche perché i mugnai che vediamo oggi (e li vediamo solo in televisione), sono alle prese con le macchine, i prodotti sintetici, i programmi di produzione e magari lavorano il grano manovrando un computer.
 

   E proprio qui si innesta, a mio modesto avviso, il valore del lavoro degli Architetti Giuseppina Lapa e Chiara Naso: avere avuto il coraggio di proporre la questione della cultura dei mulini, provocando ad un confronto critico l'attuale civiltà, che non è stata in grado salvaguardare questi grandi monumenti della nostra cultura rurale nei suoi molteplici aspetti.
    Contro il presentimento (che poi solo presentimento non è!) di questo abbandono incombente, e all'esigenza istintiva di una rinascita culturale, è finalizzato questo lavoro che si concretizza in un progetto che prevede due alternative concrete e realizzabili: un percorso "di cultura" nella città ed un percorso nella natura. Ma lasciamo che le stesse Autrici si esprimano a riguardo: "Scopo principale del nostro progetto è di ridare vita ai nostri mulini, per troppo tempo considerati ingiustamente beni culturali minori ed abbandonati all'inarrestabile opera del tempo, risvegliandoli dal sonno di decenni tra le braccia della stupenda natura circostante. Ridare vita ai mulini... ripopolando luoghi che un tempo furono culla di una epoca fervente di lavoro instancabile. Ridare voce a quei ruderi perché non diventino rovine, ridare colore alla loro storia per troppo tempo vista come un ricordo in bianco e nero che sbiadisce con il tempo, fino a scomparire nella memoria".
     Per questo è bene mettere in rilievo, come tutta la realtà documentata nel libro è dimensione e testimonianza, non appena della cultura contadina, ma della cultura in quanto tale, intesa come lavoro dell'uomo perché si riappropri della sua verità e dignità.
       Non so quanti nel libro hanno colto la limpida immagine che ha generato,
alimentato e guidato la genialità creativa della nostra gente. Quest'immagine di un popolo geniale e laborioso è tra le espressioni più alte del libro, forse qui è racchiusa anche la forza della sua proposta, che si leva come un grido per destare l'interesse verso questo stato di degrado in cui sono stati sepolti per tanti anni i resti e le testimonianze di questa civiltà, che è nata proprio intorno ai vecchi mulini.
       E queste grida sono indirizzate verso tutta la popolazione, verso i politici, verso gli studiosi e quanti hanno a cuore il loro recupero, affinché questo enorme patrimonio artistico-culturale, a molti ancora sconosciuto, non debba andare perduto.
        Il libro ci mette davanti delle immagini che non possono non suscitare sbalordimento... in tanti può darsi anche che prevale l'incredulità, davanti a quello che si presenta davanti: sembra quasi impossibile credere che ci possano essere opere così importanti, senza nessuna protezione e salvaguardia.
       Le Autrici del libro, egregiamente, hanno rappresentato la realtà di questi mulini proprio come fossero persone vive: e, sotto questo aspetto, il libro si presenta non solo come una documentazione di natura artistica, ma è anche un contributo alla ricerca della complessità e vastità dell'umanità che ha popolato quei luoghi e, per dirla con le loro stesse parole: "In una epoca dove tutti possiamo dire la nostra, lasciamo parlare anche i ruderi, e facciamoli rivivere per ritrovare il dialogo con un passato cui siamo legati da fattori storici, economici, politici ed affettivi... Molto è andato perso di una vita semplice operosa: manca il rumore piacevole dell'acqua che scorre e da la
forza alle ruote, manca il canto delle instancabili macine e l'affaccendarsi dei mugnai, i sacchi di grano sui muli e giù per la collina. Oggi, tutt'intorno rimane la stessa natura verde e rigogliosa, ed il forte fascino per una tradizione persa nei secoli ma ancora viva nei racconti e nei ricordi degli anziani, tra i muri caduti dei vecchi mulini". Per questo ritengo che, facendo memoria del passato, La via dei Mulini, risponde a delle domande del presente e apre una strada al futuro: in quanto anche se analizza il problema, soprattutto da un punto di vista tecnico-operativo, si rivela opera di alta poesia, se del poeta è cogliere in un unico atto il ieri, l'oggi ed il domani; infatti il libro rispecchia la vita, in uno dei suoi aspetti più faticosi, ma più nobili, e poetare è saper riportare l'immagine della vita in tutta la sua verità e bellezza".

domenica 4 maggio 2014

PERCHE’ QUESTE ELEZIONI EUROPEE SONO ASSAI IMPORTANTI PER LA PIANA


Di Bruno Demasi



    Si dirà che le elezioni europee sono importanti per tutti – e non ci piove – ma lo sono a maggior ragione per la Piana di Gioia Tauro e per la Calabria nel suo insieme, per almeno cinque  motivi  fondamentali, per almeno cinque ragioni di immediata urgenza:


  •  Una nuova disciplina (si, proprio disciplina) per l’impiego dei fondi europei, e in particolare dei fondi FSE che agisca nel perseguire obiettivi concreti e non farfalle dispendiose e comparaggi di varia natura per l’integrazione  VERA degli ultimi, dei disabili, degli immigrati, degli anziani e degli ammalati e  - perché no?- delle famiglie;
  • Una nuova disciplina da Strasburgo  (  che nel caso dei politici DEVE diventare autodisciplina) per ridurre ogni fenomeno (  compresi i tristi epifenomeni oggi in corso   tesi a  tarpare  ali e  bocca alla stampa libera calabrese ) di voto di scambio al di sopra e al di là del turpe compromesso che ha visto nei giorni scorsi il parlamento italiano abdicare alla propria libertà riducendo addirittura le sanzioni e le pene per il triste e tristo commercio di voti;
  • Una nuova rigorosissima disciplina per la gestione del Porto di Gioia Tauro, che è per mille ragioni porto di frontiera, ma anche per la creazione di una realistica Zona Economica Speciale;
  • Una prima (non ce ne sono mai state finora) disciplina per coadiuvare, anzi supportare pienamente gli sforzi della gente di buona volontà di questa Piana per liberarsi dai veleni, anche chimici,  che la opprimono da sempre e continuano a opprimerla sotto gli occhi di tutti…
  • Una nuova disciplina, concretamente utile e valida, nell’erogazione degli aiuti comunitari ai VERI produttori di beni agroalimentari, che travalichi ogni carrozzone regionale o associativo e dia ai coltivatori, agli imprenditori che sono rimasti qui  certezze, chiarezza, rapidità di intervento  e solidarietà tangibile.

   Potranno mai  i politici di mestiere che pretendono di rappresentarci a Stasburgo e a Bruxelles battersi sul serio per tutto cio? Potranno i nuovi eletti scaturiti dai giochi delle segreterie romane mettersi contro gli interessi dei loro partiti e delle lobbies che li esprimono?