lunedì 24 dicembre 2018

PERCHE’ DIO SI FA UOMO PERSINO IN CALABRIA?


di Michele Scozzarra e Bruno Demasi

      Non vogliamo affatto piangerci addosso o peccare ancora una volta di autolesionismo alla calabrese anche se di motivi ce ne sarebbero tantissimi specialmente in questo scorcio conclusivo di anno nel quale ai danni atavici e a quelli , ben più vistosi, dell’attualità si associa la proverbiale rassegnazione di noi meridionali ampiamente assuefatti a tutto. Vogliamo soltanto interrogarci come Calabresi della strada, come cattolici di serie zeta se accanto alle due dimensioni del “Divino” che finora abbiamo percorso – quella di un Dio onnipresente nei problemi , cui scaraventare addosso tutte le nostre enormi responsabilità, le malattie e i disastri del quotidiano, e quella di un Dio impassibile che rimane al di sopra o al di fuori di tutto e di tutti – esista una terza dimensione di fede vera sulla quale interrogarci con il milieu irrinunciabile della Chiesa: 

                                                              E il Verbo si fece carne
                                                   e venne ad abitare in mezzo a noi;
                                                          e noi vedemmo la sua gloria,
                                                     gloria come di unigenito dal Padre,
                                                           pieno di grazia e di verità.
                                                     Giovanni gli rende testimonianza
                                                  e grida: «Ecco l'uomo di cui io dissi:
                                                         Colui che viene dopo di me
                                                              mi è passato avanti,
                                                          perché era prima di me».
                                                              Dalla sua pienezza
                                                        noi tutti abbiamo ricevuto
                                                               e grazia su grazia.
                                            Perché la legge fu data per mezzo di Mosè,
                                   la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
                                                        Dio nessuno l'ha mai visto:
                                                        proprio il Figlio unigenito,
                                                          che è nel seno del Padre,
                                                   lui lo ha rivelato. (Giovanni I, 14-18) 

    E’ una Parola che rivela tutto l'interesse che Dio mostra per l'uomo. Dio non corrisponde al profilo di un essere distaccato o assente nei riguardi dei problemi umani delineato dai filosofi antichi, ma ha sentimenti d'amore e comunque di partecipazione alle vicende umane. È un Dio che desidera stare con gli uomini, persino con gli uomini e le donne di Calabria provati – è vero - da mille problemi , ma sempre più dimentichi di Lui e di Lui disposti sempre più a fare a meno non davanti agli altri, ma nella propria vita più intima e nascosta
     La Bibbia è interamente percorsa da questo fremito di passione fin dal libro della Genesi in cui si riferisce che «Dio passeggiava nel giardino alla brezza del giorno», un’mmagine che, come accadeva a Bonhoeffer ci affascina perché il Dio dell'Antico Testamento si presenta come una persona che condivide sentimenti umani: si accalora, si arrabbia, accarezza, prende per mano. In Gesù Cristo questo Dio si manifesta in tutta la gamma dei sentimenti e delle emozioni umane: la meraviglia, il pianto, l'affetto, il dolore, la compassione. I sentimenti descritti svelano il «genuino» di Dio, il «cuore» di uno che condivide l'avventura dell'umanità, con una presenza che partecipa senza deresponsabilizzare l'uomo, che lo ama anche quando egli non risponde ai suoi appelli. 


    Proprio qui , in Calabria e ora, se da un lato siamo accolti dal “genuino cuore di Dio”, non possiamo non evidenziare come appaiono incapaci di intaccare il cinismo dell'uomo tanti auguri e sermoni natalizi che rimbalzano ovunque in questo periodo. Il ricordo di quel Bambino in fasce in una mangiatoia sembra permanere, anche fra molti che portano il Suo nome, solo come un astratto «simbolo» dei valori universali di pace e fratellanza. Sembra impossibile perfino immaginare che quella presenza, misteriosa eppure così umana, possa rendersi incontrabile dagli uomini di oggi provocando il medesimo impatto umano di allora: lo stesso stupore dei pastori, lo stesso muoversi e mettersi in cammino, la stessa intelligente adorazione dei re magi. Realmente però, non come in una fiaba troppo bella per essere vera.
   Ma un cristianesimo in cui la scarsa e scadente filantropia dei nostri tempi prende il posto della Carità, il consenso anche politico, magari estorto con mille inganni, sostituisce la speranza e la cultura spodesta la fede, non può ragionevolmente vincere il sospetto che alberga ormai nel cuore del Calabrese moderno, così come evidenziava Nietzsche: «Il vostro amore per il prossimo è il vostro cattivo amore per voi stessi. Voi fuggite verso il prossimo fuggendo voi stessi e di ciò vorreste fare una virtù: ma io leggo dentro il vostro 'disinteresse'».
   D’altronde è sotto gli occhi di tutti come, dopo migliaia di anni di storia, i problemi umani che il cristianesimo si trova ad affrontare oggi in Calabria sono gli stessi con cui dovette fare i conti ai suoi inizi: lo stesso paganesimo scettico e gaudente dei più abbienti e la fame e la sete degli ultimi sempre più numerosi , il disfacimento della politica, gli scandali ricorrenti .
    Forse occorrerebbe immedesimarsi nella sensibilità, nella fede dei primi evangelizzatori di queste terre che con assoluta semplicità rendevano ragione della speranza che era in loro. 


   Certo la storia della salvezza è qualcosa di talmente grande che sarebbe riduttivo e sciocco focalizzarla soltanto su una regione come la nostra, ma la domanda che ci interroga e ci apre anche alla speranza ritorna sempre insistente: «Perché Dio si interessa ancora della Calabria e dei Calabresi ormai assuefatti a tutto, ormai capaci di scuotersi di dosso persino una scomunica contro il crimine organizzato? Perché ancora una volta vuole farsi uomo in un deserto spesso abbandonato dallo Stato e da tutti?» Una domanda quasi sottesa in quella che Maria rivolge all'angelo: “Come avverrà questo?”. Al di là del rapporto affettivo con Giuseppe, ella sembra frastornata dall'annuncio di un Dio che ci ama in maniera così folle. Questa nuova immagine di un Dio-Padre sconvolge ogni posizione fondata su un Dio esigente da adorare, ma anche da temere. Il Dio che si abbassa fino a lei, che si riteneva l'ultima delle creature, è un evento nuovo e salvifico che fa esplodere anche da queste parti la domanda del “Perché Dio si interessa all’uomo di Calabria?”.

Tentiamo tre ipotesi minime:

I IPOTESI 

    Riguarda il nostro umano, troppo umano, pensare. Dio si interesserebbe dell'uomo perché ha paura che lui sbagli e allora vuole dare direttive precise e sicure, perché non devii e non finisca nell'errore. In questa visione la fede sarebbe un insieme di regole e di leggi date da Dio una volta per sempre, perché l'uomo, nell'obbedienza a Lui, possa sviluppare se stesso e i suoi doni. Dio sarebbe paragonabile a un padre e a una madre che cospargono il cammino del figlio di divieti, in modo da evitargli inciampi e sofferenze. Certamente anche questo è un segno d'amore, ma forse di un amore che non fa realmente crescere la gente di Calabria, perché dovrebbe essa stessa darsi da fare per cogliere e scoprire, con l'esperienza e nel dialogo, ciò che la fa veramente sviluppare. Quello delle regole e delle leggi non è il Dio appassionato dell'uomo, quello che lo ama realmente. 


    Ma il “dio delle regole e delle leggi” è quello da cui nessuno si attende nulla, e non ha niente in comune con il Dio cristiano che si è manifestato a noi oltre due millenni addietro, e ancora è presente nella storia del mondo come in quella dei singoli uomini. Se la nascita di Cristo è una notizia che interessa la gente meno della sconfitta della squadra del cuore la colpa non è del denaro, del potere o della lussuria (come scriveva Eliot). Queste sono conseguenze non cause. Il fatto è che questa nascita non pare avere realtà nel presente, non raggiunge più l’uomo di oggi con lo stesso impatto umano con cui, 2018 anni fa, raggiunse, stupì e mise in cammino poveri pastori e ricchi magi. Anche e soprattutto da queste parti la riduzione di Cristo a favola o a gnosi menzognera avviene infatti tutte le volte che la comunicazione e l’annuncio si cristallizzano in formule che non toccano il cuore di nessuno e restano sommerse e rinchiuse nella stanza dei semplici addetti ai lavori, senza tentare almeno di raggiungere l’udito della gente che resta irrimediabilmente fuori.

II IPOTESI

     Dio si interesserebbe ancora dell'uomo di Calabria perché lo considera grande e importante, perché ha stima di lui: «… di gloria e di onore lo hai coronato», recita il salmo. E allora Dio vuole accompagnarsi a lui non tanto per consegnargli leggi, ma per stimolare a sviluppare le sue capacità intellettive, affettive, fisiche, in modo che diventi “custode e coltivatore del mondo”. Non è forse chiamata anche la gente di Calabria a essere custode di un'armonia sociale per la quale occorrono regole sempre nuove, sempre più adatte a far nascere una società solidale? Molte religioni tendono a fare dell'uomo un dipendente, un passivo esecutore, mentre il Dio che aspettiamo ci vuole autonomi, liber1, creativi, non soggetti alla tentazione della nostalgia di un passato ormai troppo lontano che segna malinconicamente persino i canti natalizi dei tempi moderni.

    E in un contesto regionale spappolato come il nostra tale scelta nostalgica assume, quasi inevitabilmente la forma di una fuga in un mondo irreale, molto distante dal realismo cattolico di Péguy: “Per sperare… bisogna essere molto felici, bisogna avere ottenuto, ricevuto una grande grazia. E quello che è facile è l’inclinazione a disperare, ed è una grande tentazione”. Non c’è nostalgia o idea che possa umanamente vincere tale tentazione. Occorre qualcosa di reale che si vede e si tocca. Che possa riempire il cuore di stupore e la mente e il corpo animati da uno spirito nuovo di rinascita anche sociale.

III IPOTESI

    Si potrebbe addirittura pensare che Dio voglia addirittura imparare dai Calabresi, eredi di una grande civiltà perduta: ardire di pensare questo, cioè che l'uomo può dare a Dio apporti e stimoli per crescere? Qui indubbiamente ci immergiamo nel mistero, però se riusciamo ad abbandonare l'idea filosofica di un essere perfettissimo e di un Dio statico e approdiamo a quella di un essere in continuo divenire, di un Dio vivo, allora certe ardite congetture non possono essere del tutto scartate. Forse non si è sufficientemente riflettuto su Maria «Madre di Dio» (la theotòkos tanto venerata da sempre su queste balze ricoperte dalla macchia mediterranea ), su Maria che genera Dio. Egli assume non solo la carne umana, ma anche i sentimenti, i problemi, le gioie e i dolori dell'uomo. Questo non ha alcuna influenza sulla sua natura e sulla sua crescita?
    Non vogliamo troppo insistere su questo aspetto che ci può disorientare, ma almeno possiamo dire che l'uomo, persino l’uomo di Calabria con tutte le sue superbie, i suoi limiti, le sue paure, è chiamato, come dice san Paolo, a completare Gesù.

    In che cosa consista questo «completamento» non ci è dato conoscere, ma possiamo almeno interrogarci e cercare di capire pure perché i più vicini all’incontro con Cristo sono quelli che non credono che la salvezza possa essere “opera delle loro mani”. Quelli che, magari ingenuamente si rendono testimoni dell’unica Storia interessante mai capitata in questo mondo e hanno la certezza che l’unico orientamento dello spirito, l’unico indirizzo dell’intelletto, della volontà e del cuore è verso Cristo, Redentore dell’uomo e del mondo, perché solo in lui c’è salvezza.

    Comunque sia e malgrado tutto , già “Suonano mille campane”, nei versi magici   e nella musica commossa   di Filippo Grillo col canto inimitabile di Salvatore Rugolo, ed è già tempo di dirci ancora una volta 

BUON NATALE!

domenica 16 dicembre 2018

HANNUKAH 2018 , LA FESTA DELLE LUCI IN CALABRIA

  di Domenica Sorrenti
   C’era una melodia strana, un canto struggente  che nel profondo dell’inverno sentivo reiterare  da mia nonna mentre raccoglieva le sue olive al freddo di novembre o di dicembre , una nenia  che ogni anno cercava di insegnare con parole misteriose alle sue figlie e alle altre donne che l’aiutavano, come a lei era stata insegnata da sua madre o da sua nonna. Un canto struggente e povero che mi è rimasto indelebile nella mente come le lacrime di quella donna e delle sue sorelle quando rievocavano un tempo lontano e perduto in una terra promessa in cui non erano mai state se non attraverso i ricordi dei loro padri e dei loro nonni. La terra di Israele. E poi le cose non dette: la fame, il freddo, la paura, le persecuzioni, la dispersione coatta  delle loro tradizioni ataviche per abbracciare la fede cristiana, l’unica che potesse renderli eguali o che avessero a portata di mano sulle montagne delle Serre e poi a Piminoro e poi a Oppido. Ma il ricordo straziante della patria avìta non era mai venuto meno e diventava più acuto e dolente nei giorni della Festa delle Luci, di cui parla Domenica Sorrenti in questa bellissima pagina o in prossimità della festa delle Capanne o più semplicemente nella sacralità con cui preparava il pranzo e la cena e cercava di radunare la famiglia  nei giorni del sabato, antica e sbiadita memoria del grande Shabbat.
    Quella nenia l’ho risentita dopo tantissimi anni in un frammento della colonna sonora del film “Iona che visse nella balena”, ripresa miracolosamente da Ennio Morricone dalla tradizione dei canti ebraici più antichi e subito tutto mi è tornato alla memoria in un flash illuminante e doloroso. E’ la nenia che si può ascoltare in apertura del video pubblicato su you tube che qui riporto a corredo di questo  articolo stupendo che Domenica Sorrenti, infaticabile animatrice dell’Associazione “ Cittanova Radici” e di tante “cose” ebraiche ha dedicato alla festa di Hannukah di quest’anno in Calabria. Una terra che lungo i secoli  ha accolto un numero impressionante di Ebrei e di tradizioni di cui si era persa quella memoria che pian piano sta riaffiorando con tutta la sua enorme ricchezza di significati e di valori che la distingue e che in questo triste  ottantesimo anniversario della promulgazione delle leggi razziali non possiamo assolutamente dimenticare(Bruno Demasi)


     In questo significativo  2018 ben cinque località e sei luoghi diversi hanno preso parte alle manifestazioni per la ricorrenza di Hanukkah o Festa delle Luci che si svolge ogni anno dal 25 del mese di Kislev al 2 o 3 del mese di Tevet, a seconda della durata del mese precedente, seguendo il calendario ebraico, mentre secondo il calendario gregoriano la ricorrenza quest’anno è caduta dal 3 al 10 del mese di dicembre.
   In Calabria, la celebrazione della Festa delle Luci si è svolta a Cetraro, a Reggio Calabria, a Soriano Calabro, e, come sempre, presso l’ex Campo di Internamento di Ferramonti di Tarsia e nella città di Cosenza. 

  La celebrazione dei festeggiamenti è stata molto partecipata, grazie al coinvolgimento degli alunni di quattro Istituti Scolastici di Istruzione Superiore ed ha permesso ad una popolazione molto giovane di venire informata su un avvenimento che oltre ad avere un fondamento biblico, ha un grande valore storico, sociale e culturale perché rappresenta la vittoria di un piccolo numero di persone su una moltitudine che lo vuole sovrastare, serve da incoraggiamento a tutte le persone di buona volontà che hanno a cuore il bene comune e vuole essere una festa di pace per tutte le genti. 

   Si accende la chanukkiah, il candelabro ad otto bracci con un lume posto al centro detto shamash, “servitore”, utilizzato per accendere gli altri lumi, per ricordare il miracolo avvenuto nel 165 a.C, in occasione della vittoria dei Maccabei contro le armate di Antioco IV Epifane di Siria. Il crudele monarca aveva conquistato tutto il territorio della Giudea ed aveva condotto una violenta persecuzione contro la religione ebraica arrivando a profanarne la parte più sacra, il Tempio di Gerusalemme, con l’introduzione della statua di Zeus e l’adorazione agli dei pagani, secondo i riti della cultura ellenistica.
   Giuda il Maccabeo non si piegò all’imposizione del culto pagano, mantenne fede nell’unico Dio della Torah, si unì ad un piccolo numero di persone e capeggiò una rivolta riuscendo ad avere la meglio sui Siri che vennero sconfitti e scacciati definitivamente dal territorio di Giuda.
   Ottenuta la liberazione dagli invasori, bisognava provvedere alla riconsacrazione del Tempio, infatti Hanukkah significa proprio consacrazione, dedicazione; si cercò dell’olio consacrato per accendere la Menorah, il candelabro a sette bracci che vi ardeva in modo perenne. Frugando dappertutto si trovò unicamente una piccola ampolla di olio puro recante la certificazione del sacerdote. Venne acceso il candelabro e l’olio, sufficiente per un solo giorno, durò per otto giorni consecutivi, il tempo necessario per approvvigionarne del nuovo.
   Per ricordare questo avvenimento straordinario viene acceso ogni anno il candelabro a otto bracci in ognuna delle otto sere di Hanukkah. Si inizia quindi la sera del 24 del mese di Kislev accendendo il primo lume che continuerà a bruciare fin quando tutte le lampade verranno accese.
  Il primo lume è stato acceso la sera del 2 dicembre a Cetraro, dove si è svolto un importante convegno interreligioso ad 80 anni dalle Leggi Razziali avente come tema un aforisma di Primo Levi: “È successo ma può succedere ancora”. 

   Dopo oltre 500 anni dalla cacciata degli ebrei, è stato riacceso il candelabro con una splendida cerimonia officiata da Rav Umberto Piperno, alla presenza di Roque Pugliese, infaticabile referente calabrese per la Comunità Ebraica di Napoli, a cui vanno le congratulazioni per tutte le iniziative messe in cantiere per la riscoperta delle radici e la valorizzazione della cultura ebraica.
    Negli incontri è stato sottolineato come la festa debba essere considerata una “festa di pace per tutti gli uomini”, concetto più volte affermato da Rav Piperno, sempre affettuosamente presente nelle diverse ricorrenze in Calabria.
   Pensiero ripreso dal sindaco Falcomatà della Città Metropolitana che ha presieduto l’incontro nella Galleria di Palazzo San Giorgio, affiancato dall’assessore all’Istruzione Anna Nucera e da Franco Arcidiaco, delegato alla Cultura.
   All’incontro moderato con grande “savoir faire” da Daniela Scuncia, hanno partecipato, con intenso coinvolgimento emotivo, i rappresentanti delle varie confessioni religiose; non è mancata la presenza del protopapa della chiesa Greco-ortodossa, padre Daniele Castrizio, di don Valerio Chiovaro della Parrocchia Cattolica dei Greci, di Ester Labate per i Cristiani Battisti, di Pino Canale per i Cristiani Valdesi, di Gigliola Pedullà, presidente del Sae, di Simona Stillitano, segretaria del Gris, ma anche dei rappresentanti di diverse Associazioni Culturali impegnati ad approfondire percorsi storici unitamente ai ricercatori dell’ISN/CNR, i quali testimoniano, con i loro studi, dell’antica presenza ebraica sul territorio calabrese. 

   L’accensione del secondo lume, celebrata con grazia da Rav Piperno, è avvenuta anche alla presenza del sindaco di Zambrone, Corrado L’Andolina, professionista di grande cultura e caratura morale che, per l’occasione, è stato invitato ad unirsi al coro dei partecipanti.
   Per la ricorrenza, a tutti gli intervenuti è stata consegnata una copia della lucerna ebraica con impressa la Menorah di Leucopetra, simbolo di luce e di vita, ritrovata a Motta San Giovanni ed abilmente riprodotta in terracotta dai maestri artigiani di Seminara, con l’intenzione di dare un riconoscimento a quanti si sono distinti nel campo culturale, lavorando per il dialogo e la comprensione delle diverse entità spirituali con apertura mentale e rispetto, ma anche come testimonianza delle antiche radici ebraiche della Calabria e per ricostruire un legame ideologico tra passato, presente e futuro.
   L’incontro si è concluso con dolci delicatezze preparate dagli allievi dell’Istituto Alberghiero Euclide di Condofuri, località prossima a Bova Marina dove sono stati ritrovati i resti della seconda sinagoga più antica dopo quella di Ostia Antica, la più vecchia dell’Occidente.
   Grande enfasi è stato dato al tema del convegno “Le nostre radici ebraiche tra filosofia e storia” svoltosi presso il liceo Scientifico N. Machiavelli di Soriano Calabro, nella mattinata del 4 dicembre ed organizzato dalla dirigente scolastica Licia Bevilacqua grandemente convinta che “Le radici ebraiche sono un nostro substrato culturale di cui spesso non ci rendiamo conto”. 

   Nell’ex Campo di Internamento di Ferramonti di Tarsia, ora Museo Internazionale della Shoah, anche quest’anno si è svolta la cerimonia dell’accensione dei lumi alla presenza del sindaco Roberto Ameruso, delle Autorità Militari e Civili tra cui l’Onorevole Franco Sergio, molto sensibile alle tematiche attinenti la cultura ebraica.
   Tra le splendide fontane di via Arabia, a Cosenza si è concluso il 4 dicembre, il ciclo dei festeggiamenti per la Festa delle Luci.
   Questa città è, tra le località calabresi, quella più attenta al dialogo tra le fedi e vanta un’apertura mentale ed una disponibilità che meritano apprezzamenti in quanto in tanti hanno raggiunto la consapevolezza che esiste un ebraismo sotterraneo che sta per venire fuori.
   Oggi è urgente far comprendere che la convivenza delle diverse culture non nasce dalla sopraffazione di un gruppo, di un’etnia, di una popolazione, ma dall’accettazione e dal rispetto dell’altro, dalla coesistenza pacifica di visioni diverse del mondo.
   Una società più giusta si costruisce con il dialogo e con il rispetto reciproco, oggi è necessario lottare fortemente contro gli stereotipi e contro i pregiudizi. Albert Einstein in un aforisma afferma: “È molto più facile rompere un atomo che un pregiudizio”.
   Ripartire dalla propria identità per indagare il passato e conoscere i fatti storici, per approfondire usi e costumi, per ricercare nel nostro DNA di calabresi quei geni che testimoniano di un passato glorioso, serve per riappropriarsi dei valori millenari della nostra cultura, mantenendo nel cuore la Parola che viene da Sion, da Gerusalemme, madre di tutte le religioni, come ponte verso un futuro di cooperazione. È urgente far partire dalla Calabria un messaggio di fiducia e di speranza che prenda il volo ed arrivi al mondo intero in un clima sempre più intenso di amicizia, di fratellanza nel rispetto dei valori e dei diritti umani.

mercoledì 24 ottobre 2018

CALIGOLA E L’ANTICO PORTO DI REGGIO

 di Felice Delfino
 Una situazione storica apparentemente poco significativa, eppure eloquentissima: il porto di Reggio Calabria, stando alla sua vocazione geografica, nel tempo avrebbe potuto e dovuto avere ben altre attenzioni e risorse da parte delle rotte commerciali mediterranee. Ciò appare ancora oggi evidente, ma la situazione non evolve rispetto al passato. Felice Delfino, storico della grande eredità ebraica dei nostri paesi e della nostra terra , riprendendo Giuseppe Flavio, parla di una chanche perduta, na che - chissà - forse potrebbe essere rispolverata da qualcuno ancora oggi...!(Bruno Demasi)

     Strano destino quello del porto di Reggio Calabria: da sempre suscita gli interessi di governanti e governatori vari, ma da sempre rimane marginale non solo nello scenario del Mediterraneo, ma addirittura in quel crocevia di traffici e commerci che è lo Stretto di Messina.
    Ne è testimonianza, tra le tante possibili, il progetto che per questo porto aveva messo in cantiere uno degli imperatori romani più discussi, quel Caligola passato alla storia per le sue stravaganze prima ancora che per i suoi meriti e i suoi demeriti. 

    L’Impero Romano è stato un Impero vastissimo che richiedeva necessariamente la presenza di un uomo forte che detenesse il potere e che lo mantenesse saldo . Non era dunque raro che gli imperatori si comportassero in maniera spietata e con una violenza inaudita. Alcuni di loro comunque è accertato che soffrivano di una patologia che in qualche modo garantìva loro il potere : la sindrome borderline; un disturbo della personalità collocabile nella linea di confine tra la nevrosi e la psicosi. Anche il dictator e poi dictator vitae, Caio Giulio Cesare, ne era affetto, tanto da alternare momenti di megalomania  a momenti di più dignitosa sobrietà.
    Altri nomi illustri interessati da tale patologia furono quelli erano Caligola e Nerone, entrambi borderline.
    Con Caligola il potere divenne assoluto , tanto che egli arriva a spacciarsi presso i Greci come figlio di Apollo e presso gli Egiziani come figlio del dio Aton; volle inoltre che a Gerusalemme si collocasse una sua statua e che gli ebrei l’adorassero.
    Tuttavia, Caligola oltre ad essere ricordato per le sue stranezze o follie o stravaganze, come i bagni nell’oro oppure i banchetti a base di carni ricoperte d’oro , e’ ricordato anche per l’idea di ristrutturare ed ampliare il porto di Reghion, facendo della citta ’ il punto di arrivo dell’annona egiziana, vale a dire del flusso di grano che veniva imbarcato ad Alessandria per nutrire la Capitale.     Lo ricorda lo storico di origine ebraica Giuseppe Flavio nella sua opera “Antichità giudaiche”. La soluzione avrebbe risolto il problema di sfamare milioni di persone perchè  il porto di Ostia era troppo piccolo ed inadeguato per recepire le tonnellate di viveri che vi arrivavano  e le navi cariche di grano dovevano attendere giorni se non settimane prima di attraccare. 

     L’idea di Caligola di far edificare il porto a Reggio era eccellente dato che, come diverse fonti attestano, esisteva una regolare rotta di navi che partivano da Alessandria e facevano scalo a Reggio e poi a Pozzuoli. Da Reghion a Roma il grano sarebbe arrivato via terra sfruttando la via Popilia. I lavori, come attesta lo stesso Giuseppe Flavio, non furono mai portati a termine per la morte di Caligola, che comunque scongiuro’ l’obbligo da lui atrocemente imposto agli Ebrei di adorare anche la sua statua. Rimase il porto che il tempo e le necessità spostarono gradualmente sulla parte nord del litorale reggino, ma non gli diedero mai il rilievo che forse avrebbe meritato. Men che mai oggi.

domenica 14 ottobre 2018

MA AI TEDESCHI L’AVETE DETTO CHE L’ASPROMONTE CHIUDE?

di Gioacchino Criaco


    L’esodo degli immigrati da Riace è solo il contrappunto triste di un esodo molto più ampio e dimenticato che ha spopolato da anni e sta ancora spopolando quel che rimane della vita della nostra terra: un dilavamento continuo dell’ humus antico sotto gli schiaffi , il vento, le piene della fame che lasciano a nudo solo pietre e ingrassano di braccia e di sangue terre più ospitali della nostra. Un crocevia di immigrati e di migranti che si incontrano ancora oggi su questa terra, appena appena gratificata dagli sguardi impietositi o impietosi degli osservatori esterni o dei tribuni del nord che vengono a spendervi le loro roboanti cartucce per rastrellare voti e battimani. A costoro il consenso servile e miserabile di tanta della nostra gente rimasta qui alla ricerca di scuse non per sopravvivere, ma per primeggiare, dopo aver distrutto le strade, la convivenza,  le scuole e persino il nostro orgoglio antico. Ci restano i musei o forse solo i ricordi dei ricordi , ma Gioacchino Criaco ancora una volta ci dice a cosa  possono servire… (Bruno Demasi)
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     Non voglio fare il guastafeste, la Calabria davvero custodisce un tesoro immenso, se le decine di tour operator scesi a Reggio porteranno migliaia e migliaia di turisti tedeschi sarà un fatto positivo, le nostre striminzite risorse economiche ne hanno bisogno. Certo, senza tante piaggerie, siamo più noi a fargli un favore, concedendogli di condividere una bellezza che così, alle loro latitudini, e ai nostri prezzi, non è semplice da trovare. 

     Chi verrà con rispetto ci darà una mano, e capirà che la rappresentazione che per anni è stata data della Calabria è sbagliata, e che ha privato molti di un bene immenso. Dunque merito a chi si è prodigato per la discesa tedesca. Però, in attesa della svolta, noi le cose dobbiamo dircele, senza offuscare la sacra immagine della nostra terra. Dobbiamo dircelo che fra le numerose cose positive un po’ di piaghe le abbiamo. Diciamocelo zitti zitti, fra di noi. confessiamocelo che una delle potenziali e maggiori risorse del territorio, l’Aspromonte, sta chiudendo, si sta inesorabilmente svuotando.
    E noi lo sappiamo che la cultura di cui portiamo vanto, quella greca, sopravvive solo su pochi balzi di Mana Ji, che la lingua in bocca ai Bronzi, in caso di resurrezione, sarebbe quella che è superstite a Roccaforte, Bova, Gallicianò, nella vallata dell’Ammendolea.

 Sussurriamolo allo Zefiro che da giugno l’ente di governo del parco d’Aspromonte non ha un presidente. Che le scuole chiudono e ragazzi e famiglie scendono in braccio allo Jonio in una diaspora che porterà tutti altrove, che Mimmo Lucano dovrà emigrare all’estero per accoglierci, integrarci e riunirci. Che, con un’ironia spicciola, la mia, potrei dire -con quello che si è speso per accogliere i tedeschi a Reggio, si poteva fare un progetto, pagare un paio di insegnanti e spedirli in montagna a tenere aperta la scuola di Roccaforte. Soffiamolo nelle orecchie di questo Stato che Roccaforte è l’occasione per dimostrare di esserci, di rivelare un’altra faccia, buona, oltre a quella che scioglie i Comuni, con mani che costruiscono e non solo legano e trascinano. 
     Sveliamo al principe della città metropolitana, che esiste un mondo oltre le mura di Risa, che si può passeggiare sul lungomare di Reggio e proseguire uscendo dalla città, per scoprire, insieme ai tedeschi la profondità della Grecìa calabrese. 

Ululiamo al lupo della Sila, che c’è una madre lucente che muore e i progetti milionari di ri-popolamento, a posteriori, risultano solo una beffa. Gridiamolo al popolo calabrese che Roccaforte è l’occasione per rifarsi comunità coesa, solidale, che accoglie lo straniero e protegge i suoi. Scriviamolo agli intellettuali calabresi che fare cultura non è solo scrivere, ma lottare. Diciamocelo in faccia che le uniche vette raggiunte dalla Calabria ci sono state solo ai tempi in cui i nostri scalatori in cima alla cordata erano i filosofi, non i procuratori o i prefetti. Perché se non ci diciamo la verità, è capace che i Bronzi davvero si risveglino, e non avranno parole di miele né per i tedeschi né per noi.