Non esistono le stagioni di mezzo all’inferno , nemmeno come luoghi comuni, nemmeno come elementi di un calendario di carta riciclata, perché nella tendopoli di San Ferdinando le dimensioni al massimo possono essere due: o si scoppia di caldo o si muore di freddo e le grandi scritte ormai sbiadite sui fianchi delle tende logore e sporche, rattoppate o ampliate alla meno peggio, “MINISTERO DELL’INTERNO”, appaiono come titoli di vecchi giornali accartocciati abbandonati nell’ immondizia.
E se mancano gli spazi crescono a dismisura le baracche. A ridosso delle tende o delle fabbriche abbandonate o sequestrate, ma anche all’interno di esse. L’inferno qui non è neanche a gironi, ma è variopinto e lacero, distribuito alla meno peggio con geometrie da fame tra le strade invase dalle erbacce e spesso anche dai rifiuti in quella che avrebbe dovuto essere la” seconda zona industriale” satellite del porto di Gioia Tauro e che invece è diventata l’allegoria del deserto onnivoro che nasconde o divora definitivamente migliaia di esseri umani relegati al ruolo di bestie.
E, se tace glacialmente lo Stato, ritornano i bandi per le manifestazioni di interesse per la “gestione di una tendopoli temporanea per immigrati extracomunitari” lanciati periodicamente dal Comune di San Ferdinando e i conseguenti appalti affidati rigorosamente “ ad associazioni di volontariato” iscritte ai relativi registri regionali o provinciali.
Bandi di cui si apprezza il sense of humour sebbene non si capisca cosa si intenda con l’espressione “gestione di una tendopoli” e come mai ancora si usi l’aggettivo “temporaneo” per qualificare un ammasso di tende miracolosamente in piedi anche dopo il diluvio d’acqua degli scorsi giorni e il diluvio di parole e di promesse di sempre.
C’è comunque un volontario qui che continua a combattere la sua battaglia immane contro tutto e contro tutti, specialmente contro l’assuefazione di comodo che fa diventare duraturo ed eterno ciò che avrebbe dovuto essere transitorio: E’ don Roberto Meduri, il parroco della vicina parrocchia del Bosco di Rosarno, che non rappresenta nessuna associazione di volontariato e non è in grado di avanzare alcuna “manifestazione d’interesse” perché il suo unico interesse è quello che ogni sera, spesso dopo un digiuno coatto durato l’intero giorno correndo di qua e di là senza posa a soccorrere e ad aiutare, lo fa salire ancora sull’altare della sua chiesa di campagna per nutrirsi di pochi grammi di Pane e di poche gocce di Vino.
E il suo oscuro datore di lavoro , originario di uno sperdutissimo villaggio chiamato Betlemme, anch'egli immigrato da sempre e dovunque, nonostante le insistenze di molti, si intestardisce ancora a proibirgli di creare una di quelle associazioni magicamente iscritte nei registri untuosi che aprono tante porte e che tanto lustro e decoro (ma non solo...) danno a chi le crea o a chi le rappresenta.