di Ciccio Epifanio
Un bel racconto del poeta-cantore-narratore Ciccio Epifanio di
esordio su questo blog che non ha mancato già alcuni mesi or sono di
celebrarne la grande ricchezza poetica e musicale in un post a lui
interamente dedicato ( che è possibile rivedere e gustare ancora a
questo link: HAGIA AGATHE': IL VERO MASTRU /CANTATURI DELL’ASPROMONTE E DELLA CALABRIA, FRANCESCO EPIFANIO )
Se Guido Piovene affermava che “La Calabria sembra essere stata creata
da un Dio capriccioso che, dopo aver creato diversi mondi, si è
divertito a mescolarli insieme”, Ciccio Epifanio completa questa
osservazione cantando con accenti struggenti nel video che illustra
questa pagina il miscuglio di meraviglie calabre e cogliendo
argutamente nel racconto l’essenza orgogliosa e testarda di ogni buon
Calabrese (Bruno Demasi).
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In un paradisiaco angolo dell’universo con vista privilegiata
sull’incomparabile scenario della galassia di Andromeda e della via
Lattea, in una splendida alba dello spazio cosmico temporale, Sua
Divinità il Padreterno, Creatore e Signore di tutte le cose visibili ed
invisibili, contemplava, compiacendosi della Sua creazione, il danzare
elegante dei soli e dei pianeti, delle lune e delle stelle che, come una
vorticosa immensa giostra celeste, gli giravano intorno con ordinata
cosmica armonia.
“Bella opera non c’è che dire - sospirava tra sè - questa parte
dell’universo mi è venuta proprio bene”. Poi, spostando lo sguardo verso
la parte più esterna della Via Lattea, la Sua attenzione fu attratta da
un piccolo pianeta che brillava di un’intensa luce azzurra: quel
bagliore lo incuriosì a tal punto che volle accertarsi meglio e così
constato’ che questo pianeta, insieme ad altri otto, girava attorno ad
una grande immensa stella. “Ma certo! - esclamò - come ho fatto a
scordarmelo! Quella è la terra! E’ lì che ho fatto i miei primi
esperimenti per la creazione dell’uomo, è quello il pianeta dove non
molto tempo cosmico fa ho mandato mio figlio (che poi, per una ragione
che sarebbe complicato spiegare era sempre Lui ) a immolarsi per
redimere e riscattare l’umanità. Laggiù, in quel piccolo punto celeste
ho creato l’uomo a mia immagine e somiglianza. Quasi quasi – disse –
vado a dare una sbirciatina laggiù. Sono curioso di sapere, dopo tutto
questo tempo e dopo tutto quello che ho fatto per loro, quale
considerazione hanno di me le mie creature. Motivi per amarmi e onorarmi
ne hanno a iosa!
Fu così che, detto e fatto, si ritrovò a ridiscendere sulla terra
proprio mentre gli sovveniva di un punto esatto di quel meraviglioso
pianeta, una macchia di Mediterraneo, che I Suoi figlioli greci, rapiti
dalla sua bellezza e dalla sua ricchezza, avevano via via denominato
Aschenazia, Ausonia, Enotria, Vitulia e infine Calabria.
Si ricordo’ anche che durante la creazione si era divertito a
plasmare la materia di quell’ angolo di universo così come fa lo
scultore per trarre dal marmo il suo ideale di bellezza. Aveva ancora in
mente la cura, l’estro e l’ amore profusi nel rifinire le montagne a
strapiombo sul mare, le coste frastagliate e selvagge e il profilo
armonioso, rigoglioso e delicato. Aveva compresso tra il pollice e
l’indice la materia per modellare gli opposti golfi di Santa Eufemia e
Squillace, poi aveva posto, distanziandoli tra loro, tre grandi
altopiani a cui aveva dato il nome di Pollino, Sila e Aspromonte
arricchendoli di maestose pinete, di contorti castagneti ,di boschi
lussureggianti di uliveti, nonché di ricchi vigneti le cui dolci uve
davano un vino forte e generoso, che la leggenda voleva fosse servito a
Ulisse per ubriacare il ciclope Polifemo, ed una vegetazione che nel
contemplarla , a prodotto finito, aveva sorpreso anche il Creatore
stesso per le sfaccettature di verde che si era inventato! Aveva fatto
scaturire da quei monti fresche sorgenti e fiumare che impetuose
scendevano a valle per poi placare la loro furia in un mare cangiante
tra blu cobalto e argento pescoso. Insomma si era divertito a fare di
quel lembo di terra qualcosa di veramente unico e speciale.
Gli erano giunte voci (una colomba, pare) che quella meraviglia era
diventata uno sfasciume pendulo sul mare. “Possono I calabresi non
capire che tutta quella Grazia-di-Dio gliel’ho concessa affinche’ ne
potessero usufruire e prosperare avendo cura di conservare e tutelare
un patrimonio ambientale e paesaggistico che per la sua bellezza puo’
attirare gente da tutto il mondo?” si domandava un Dio perplesso e
preoccupato. E la preoccupazione divento’ sgomento quando si accerto’
che gli abitanti di quei luoghi sopportavano che quella meraviglia
venisse lasciata alla speculazione e agli appetiti famelici di gente
senza scrupoli che in combutta con governanti cialtroni e corrotti e una
chiesa pavida e troppo occupata nei suoi calcoli di immagine, avevano
finito col deturpare quella terra piegandola ai loro subdoli interessi
fino a deturparne anche l’identita’: da terra delle meraviglie a terra
di ndrangheta.
“Delle due l’una: – disse un po’ incazzato – O durante la creazione
qualcosa e’ andato storto e non me ne sono accorto, oppure concedere
all’uomo la libertà e il libero arbitrio non è stata una mossa giusta.
In entrambi I casi, si tratterebbe di uno sbaglio ma cio’ confligge con
il mio essere onnipotente e perfettissimo, e alla mia eta’ non mi va di
entrare in crisi di identita’. Oramai e’ fatta e non ho ne’ tempo ne’
voglia di rimettere tutto in discussione. E comunque aiutati che Dio
t’aiuta!” aggiunse un po’ sornione…
Assunte quindi le sembianze di un attempato signore, decise di
materializzarsi in un angolo di quella terra che gli era venuto
particolarmente bello. Aveva in mente, una volta accertata la
considerazione che gli uomini hanno di Lui, di recarsi alla villa
comunale della bella cittadina di Palmi e da lì proseguire fino al
sovrastante monte Sant’Elia ed illudere i sensi contemplando lo
spettacolo davanti a sè: un tratto di costa che il suo figliuolo Platone
pare avesse definito Viola per l’inteso colore violaceo che le acque
del mare assumono tra la pittoresca Bagnara e la mitologica Scilla
passando dalla mozzafiato Porto Oreste all’incastonata perla di Cala
Janculla. Una illusione ottica di luce, mare e fondali con visuale sullo
Stretto.
Pensava gia’
a librarsi dal monte, dare un’occhiata panoramica al vicino e
altrettanto sventurato capolavoro siculo, e da li’ fare ritorno
nell’alto dei cieli. “Che Meraviglia che ho fatto” – disse un Dio
compiaciuto e senza dubbio esteta.
Assorto in questi pensieri si ritrovò sulla strada che porta a Palmi
nei pressi di un ponte che congiunge le due sponde del fiume Petrace. Un
ponte che gli umani chiamano Pontevecchio, forse perché per
ricostruirlo dopo che era stato distrutto da un terribile alluvione ,
avevano impiegato tra appalti, subappalti tangenti e provviste varie
quasi trent’anni e, una volta terminato, era gia’ vecchio. Giunto sul
ponte, si accorse di un uomo che camminava speditamente davanti a lui.
“Ecco -- disse fiducioso –quest’uomo fa proprio al caso mio.
Sperimenterò su di lui la considerazione degli umani nei miei
confronti”.
Affrettò il passo e raggiuntolo gli si fece incontro e con fare molto garbato gli domandò:
- Scusate, buon uomo posso chiedervi dove siete diretto?
L’uomo lo guardò di sbieco e quasi seccato rispose:
- A Parmi vaju!
Al che il Padreterno, sempre garbatamente lo corresse dicendo:
- Andate a Palmi se vuole Dio?
L’uomo si irrigidi’, gli lanciò uno sguardo di sfida e con disprezzo rispose:
- Vaju a Parmi se voli e se non voli!
A quel punto il Creatore, messa da parte la sua infinita bontà e
misericordia, preso dalla collera, lo trasformò seduta stante in rospo e
lo scagliò in una pozza d’acqua stagnante formata dal sottostante fiume
Petrace, sospirando “Bella riconoscenza! E’questo il modo di
comportarsi con chi, oltre ad averlo creato, si e’ pure immolato per
lui”. Quindi deluso e infastidito lasciò la terra e in un batter
d’occhio se ne torno’ nel paradiso.
Nei giorni successivi, pur essendo impegnato a valutare miriadi di
richieste accumulate dalla e per l’eternita’, non riusciva a togliersi
dalla mente il ricordo di quel giorno terreno. “Forse – pensava – con
quell’uomo sono stato eccessivamente severo. Forse quel poveretto quel
giorno era in un momento di crisi e di sconforto e si è lasciato andare.
E poi che Padreterno sono se non riesco a capire e perdonare?”. Insomma
si rese conto di averla fatta grossa e di dovervi porre rimedio. Così
in men che non si dica, si fece preparare il carro celeste e una volta a
bordo, inforco’ la rotta che dalle Plejadi conduce al sistema solare e
atterro’ nel punto esatto del ponte da cui aveva scagliato l’uomo nel fiume.
Restituite al malcapitato le umane sembianze e ricollocatolo sul
ponte, gli si accostò e col solito garbo gli ridomandò:
- Scusate buon uomo, posso chiedervi dove siete diretto?
E l’altro di rimando:
- A Parmi vaju!
Allora il Padreterno un po’ incredulo ma con voce bonaria e accomodante gli richiese:
- Andate a Palmi se vuole Dio?
L’ uomo lo guardò, strinse i pugni e a bocca spalancata, con quanto fiato aveva in gola gridò:
- VAJU SE VOLI E SE NON VOLI... E SE NNO U GURNALI (stagno)E’ JIA’!
Pare che Dio proprio allora, mantenendo a stento la calma, abbia coniato la metafora “Testardo come un Calabrese”.