di Bruno Demasi
Tra tanti pallonari e palloni gonfiati che
pensano di fare integrazione razziale solo parlandone a lungo nei salotti
televisivi o parlamentari, finalmente anche la nostra Piana, con una piccola
squadra di pallone, riesce a dare come non mai
una lezione di coraggio e di
concretezza a tutti!
__________
La discriminazione razziale stavolta la
lasciamo ad altri e alla
serie A, ai ricchi e agli importanti di turno. A noi basta una squadra di
calcio per farci ritrovare finalmente
almeno una briciola di quell’identità perduta che in altri tempi, quanto
ad accoglienza, civiltà e tolleranza, ci ha consentito di dare lezioni al mondo conosciuto...
Si tratta del KOA BOSCO, non solo una
squadra di calcio, nata dall’impegno
concretamente antirazzista di
don Roberto Meduri, parroco della chiesa Sant’Antonio di Padova della
frazione Bosco di Rosarno , formazione interamente composta da ragazzi
africani che disputerà il campionato di Terza Categoria. Una squadra calcistica
di tutto rispetto, ma anche un gruppo di persone che finalmente sa fare
squadra: Khadim che si occuperà delle pubbliche relazioni, Masseck e Ibrahima,
senegalesi, avranno il compito di assistere la squadra durante le partite. Il
traduttore Magatte Diop, anche lui del Senegal, come anche il preparatore
atletico Mbengue Bassirou, e l’osservatore Amar Alassane. A dare una mano a don
Roberto Meduri in quest’iniziativa anche alcuni ragazzi del posto che si stanno
prodigando ogni giorno al fine di portare avanti questo progetto che ha una
enorme valenza sociale. Come il direttore generale Domenico Bagalà, il
responsabile tecnico Domenico Mammoliti, il segretario Angelo Paiano e
l’allenatore dei portieri Antonello Meduri.
Ed è una squadra che non nasce a caso in
questo territorio, perchè a Rosarno infatti sono tantissimi i ragazzi africani
sistemati nelle tendopoli che arrivano dai loro Paesi in cerca di lavoro e di
un futuro migliore. Un’iniziativa, inserita nell’ambito del progetto "Uniti
oltre le frontiere", finalizzata al riscatto
sociale degli africani nella Piana e senza scopo di lucro.
Ne
parla lo stesso Don Roberto, uno di quei
sacerdoti che non stanno a gingillarsi in pietismi di maniera e progettazioni a tavolino o in cammini di raffinati
approfondimenti formali del proprio essere
cristiani, ma si spendono quotidianamente per
la gente e per Cristo:
“...
volevamo dare un’opportunità nuova a questi ragazzi africani, una risposta
diversa rispetto a quelli che erano gli aiuti che avevamo saputo dargli.
Abbiamo pensato di creare intorno a loro un’opportunità che li vedesse, li
riscattasse in un certo senso da quello che era accaduto nel 2010, in quel
momento si era creata una spaccatura nella società, nei giovani, nei ragazzi
che già prima non li vedevano di buon occhio. Poi hanno iniziato a sentire una
certa ferita, ma non voglio parlare di razzismo, per quello che era successo.
...Gli abitanti di Rosarno (n.d.r) inizialmente li hanno boicottati, hanno fatto anche dei
danni, quello che hanno potuto, per far sentire il loro rifiuto. C’era questa
volontà di lasciarli in quello stato; hanno creato un ghetto con la tendopoli.
Gli abitanti dicevano: ”Stanno lì, noi gli diamo del lavoro in nero, ma
riconoscergli i diritti, no”. E non parliamo di diritti particolari, ma anche
solo quello di poter passeggiare oppure fare una squadra di calcio...
All’interno del campo profughi, tra
francofoni, anglofoni, ci sono delle spaccature di clan, e delle frontiere che
loro si portano dalla stessa Africa. E allora lì, creare una squadra che li
faccia giocare insieme, ha un obbiettivo diverso: la prima barriera è la loro,
poi c’erano quelle dei giovani che non riuscivamo a coinvolgere in nessuna
attività, per non parlare delle barriere sociali, culturali della Calabria
rispetto a questi ragazzi.
Quando facevamo gli allenamenti abbiamo subito dei cori razzisti e delle ingiurie. Pensavano forse che loro potevano essere una minaccia. Questo, almeno a Rosarno è durato poco. È stato bello vederli insieme, proprio spalla a spalla, i giovani di Rosarno ripulire il campo e la zona intorno e fare di quel campo, che era ormai diventato una discarica a cielo aperto, un luogo dove potevano giocare un calcio pulito, almeno per quanto riguarda le scorie che erano rimaste lì e pulito anche nel senso che non era più aggressivo. Poi dopo alcuni piccoli attentati abbiamo dovuto spostarci con gli allenamenti a Polistena e poi siamo finiti a Palmi. A Palmi è stato bellissimo perché ci hanno accolto bene, e loro stanno bene. Anche se vivono nella tendopoli, disputeremo le partite di campionato a Rosarno perché c’è tanta gente che li aspetta e che fa il tifo per loro.”
Quando facevamo gli allenamenti abbiamo subito dei cori razzisti e delle ingiurie. Pensavano forse che loro potevano essere una minaccia. Questo, almeno a Rosarno è durato poco. È stato bello vederli insieme, proprio spalla a spalla, i giovani di Rosarno ripulire il campo e la zona intorno e fare di quel campo, che era ormai diventato una discarica a cielo aperto, un luogo dove potevano giocare un calcio pulito, almeno per quanto riguarda le scorie che erano rimaste lì e pulito anche nel senso che non era più aggressivo. Poi dopo alcuni piccoli attentati abbiamo dovuto spostarci con gli allenamenti a Polistena e poi siamo finiti a Palmi. A Palmi è stato bellissimo perché ci hanno accolto bene, e loro stanno bene. Anche se vivono nella tendopoli, disputeremo le partite di campionato a Rosarno perché c’è tanta gente che li aspetta e che fa il tifo per loro.”
Grazie,
don Roberto, grazie ragazzi del KOA BOSCO per la grande lezione di vita che ci state
dando e per l’immagine bella della Piana che porterete in giro con le vostre
magliette racimolate alla meglio e con le vostre scarpe di pochi soldi che
nessuno si sognerà forse mai di sponsorizzare.