Se non proprio la prima in assoluto, certamente una delle prime testimonianza del toponimo “Saline” si trova nella leggendaria Vita Tauri, inserita nella Vita di S. Pancrazio cui rimanderebbe anche il Bios di S. Fantino di Tauriana, scritto tra la metà del secolo VIII ed i primi decenni del IX (Rossi Taibbi” Vita di S.Elia il Giovane” 1962, p. 206). Il toponimo fu quindi usato per indicare il luogo in cui S. Elia il Giovane edificò il suo monastero e, alla fine dell’età bizantina,viene citato nel Brebion di Reggio e nella Vita di S. Luca,vescovo di Isola di Capo Rizzuto.
Le “Saline” figurano poi come sede di una turma (circoscrizione territoriale dell’amministrazione bizantina) nel corpus dei 47 atti di donazione, datati tra il 1050 e il 1064/65 d.C, alla cattedrale di Hagia Agathè ( S. Agata, ovvero Oppido), una città episcopale fondata almeno intorno alla metà del secolo XI presso un precedente kastron di nome Oppido, che è con ogni ragionevole approssimazione identificabile a ridosso del sito in cui sorgeva l’ antica Mamerto di straboniana memoria.
Anche se , di fatto, la ricerca archeologica nel territorio delle Saline non è stata esauriente e nemmeno estesa, è stato comunque possibile documentare da tempo l’ importanza storica delle saline medievali in un territorio in cui , già in epoca italiaca, Tauriana col suo territorio e il suo porto naturale aveva acquisito un’organizzazione di tipo urbano del tutto originale e di tutto rispetto, con la presenza imponente dei Tauriani documentata anche a Mella-Oppido ( Cfr relazioni di scavo di L. Costamagna e P. Visonà 1999 R.; Agostino 2001).
I centri urbani romani e medievali delle Saline mostrano, infatti, un forte legame con l’insediamento italico: le due città che si succedono nell’ambito della storia della regione (Tauriana e S. Agata-Oppido) costituiscono sostanzialmente i due veri poli di quell’asse che sembra essere stato l’elemento portante dell’organizzazione italica del territorio.
Non è questa la sede per osservare quale sia stata la parabola di ascesa e/o di decadenza di Tauriana e di S.Agata/Oppido. Preme invece restringere lo sguardo sulla reale collocazione geografica della Turma delle Saline e alla portata che occorre realmente attribuire alla sua denominazione.
In effetti il toponimo “Saline” continua ad apparire anche dopo l’età bizantina nell’espressione “Vallis Salinarum” (all ‘ inizio della dominazione normanna di questo esteso comprensorio), addirittura a volte come toponimo specifico di un insediamento abitativo strettamente delimitato, come nel caso del villaggio, collocabile probabilmente ai margini dell’omonima zona di cui scrive E. Pontieri (”Tra i Normanni dell’Italia Meridionale” 1964,pp. 157, 181). Ciò tuttavia non ne spiega fino in fondo i limiti e i caratteri almeno essenziali.
Le prime notizie attingibili dalla Cronaca del Malaterra sembrano avvalorare l’idea della “turma” delle Saline come comprensorio assai esteso, almeno dall’altuura su cui sorge l’odierna Nicotera, a nord, fino al promontorio che sovrasta Palmi, a sud; mentre ad est e ad ovest i confini naturali sarebbero stati rispettivamente i contrafforti dell’Aspromonte e il Tirreno. Un territorio, dunque, molto ampio, attraversato da nord a sud dalla via Popilia, strada maestra per il collegamento romano di Hipponion con Rhegion e da ovest a est da una serie di strade “istmiche”, che, oltrepassando l’Aspromonte, collegavano le “Saline” con Gerace o Locri, ormai ampiamente documentate anche dalla ricerca archeologica ( “Via Magna de Fella”; “Limina”; “Serro di Tavola”).
La stessa Cronaca del Malaterra, tuttavia, dopo aver fatto immaginare nelle sue prime battute dei confini molto estesi per la Valle delle Saline, nel prosieguo della sua narrazione, restringe il bacino al cuore geoorografico dell’attuale Piana di Gioia Tauro, addirittura al bacino dell’attuale Petrace, che con i suoi numerosi affluenti di tipo torrentizio, descrive un territorio difficilmente configurabile come una “Piana” o una “Valle” propriamente dette.
Qui ci soccorrono le acutissime osservazioni di Domenico Minuto (in “Polis”, Studi interdisciplinari sul mondo antico, a cura di F. Costabile;vol II, pp.324-328). Più che una valle in senso stretto – osserva il Minuto,riprendendo le note di Andrè Guillou – il Malaterra usa l’espressione “Vallis Salinarum” per tradurre l’espressione bizantina di “eparchia”: infatti – continua lo studioso -:” quando si affacciarono i Normanni su questo comprensorio essa era… un’eparchia, cioè un’importante sezione di amministrazione territoriale corrispondente alla provincia o al distretto. E la chiamo ‘Vallis’ perché la vide giustamente come una proiezione della storia siciliana, necessariamente imbevuta anche di cultura araba…peraltro l’arabico ‘Waliah’ significa appunto territorio, giurisdizione”.
L’osservazione del prof.Minuto, grande studioso di acutissime intuizioni , è stata spesso trascurata o, peggio, ignorata, ma varrebbe la pena riprenderla con attenzione se veramente si vuole ricostruire la fisionomia storica vera dell’attuale Piana di Gioia Tauro, senza trascurarne peraltro l’eredità araba sia a livello glottologico sia a livello toponomastico ( il “caso” “Mella” è emblematico in tal senso…).