Giuditta Levato appartiene a tutti noi , a quella Calabria che ha ricostruito e difeso col sangue e col
sudore dei contadini la civiltà seminata
dai Greci, dai Bruzi , dai Normanni, dagli Ebrei, dagli Arabi e poi tradita e depredata da tante orde di barbari che
hanno spadroneggiato e spadroneggiano tuttora su questa terra…
Per chi non se ne ricordasse, per tutti gli alunni delle nostre scuole a cui si insegnano (quando si insegnano) mille inezie e mille sciocchezze di importazione anglosas-sone, ma non si insegna la nostra storia vera, Giuditta Levato era /è la contadina calabrese uccisa nel novembre del 1946 durante una pacifica occupazione di terre. La prima vittima di quella lotta al latifondo calabrese che si venne a produrre in seguito al tentativo degli agrari di ostacolare con ogni mezzo l'applicazione della Legge Gullo che nel 1944 aveva sancito l'assegnazione di porzioni di terre ai contadini che le lavoravano riuniti in cooperative. Una guerra durissima e senza esclusione di colpi , che ha distrutto l’idea stessa di cooperativa in Calabria per molti decenni e che invece ha fatto germogliare e moltiplicarsi come non mai la mala pianta delle guardianìe o, che dir si voglia, delle aggregazioni mafiose al servizio degli agrari.
La guerra contro i contadini registrò in primis dal 1946 fino almeno al 1950, i fatti sanguinosi che ebbero come teatro il territorio di Petilia Policastro e di Melissa, ma anche tante pagine di martirio contadino di cui non furono esenti molti altri paesi della Calabria intera, compresi quelli della Piana di Gioia Tauro (Messignadi, Drosi...ecc).
Per chi non se ne ricordasse, per tutti gli alunni delle nostre scuole a cui si insegnano (quando si insegnano) mille inezie e mille sciocchezze di importazione anglosas-sone, ma non si insegna la nostra storia vera, Giuditta Levato era /è la contadina calabrese uccisa nel novembre del 1946 durante una pacifica occupazione di terre. La prima vittima di quella lotta al latifondo calabrese che si venne a produrre in seguito al tentativo degli agrari di ostacolare con ogni mezzo l'applicazione della Legge Gullo che nel 1944 aveva sancito l'assegnazione di porzioni di terre ai contadini che le lavoravano riuniti in cooperative. Una guerra durissima e senza esclusione di colpi , che ha distrutto l’idea stessa di cooperativa in Calabria per molti decenni e che invece ha fatto germogliare e moltiplicarsi come non mai la mala pianta delle guardianìe o, che dir si voglia, delle aggregazioni mafiose al servizio degli agrari.
La guerra contro i contadini registrò in primis dal 1946 fino almeno al 1950, i fatti sanguinosi che ebbero come teatro il territorio di Petilia Policastro e di Melissa, ma anche tante pagine di martirio contadino di cui non furono esenti molti altri paesi della Calabria intera, compresi quelli della Piana di Gioia Tauro (Messignadi, Drosi...ecc).
Giuditta Levato venne barbaramente uccisa all'età di 31 anni il 28 di novembre del 1946. Era incinta di sette mesi del suo terzo figlio . Si era recata insieme al
marito e con un nutrito gruppo di contadini, che come loro avevano
ricevuto dalla Commissione Provinciale istituita dalla legge Gullo la
concessione delle terre che avevano coltivato, per impedire che una
mandria di buoi e di vacche di proprietà del latifondista del luogo,
Pietro Mazza distruggesse quanto avevano seminato. Durante la
manifestazione di protesta dal fucile di un uomo al servizio del Mazza
partì un colpo che attinse proprio all'addome Giuditta Levato. Nel
terribile trambusto che ne seguì, la donna fu trasportata prima a casa e
poi in ospedale, dove quasi subito morì insieme alla creatura che
portava in grembo.
Fin qui la storia colpevolmente dimenticata persino da noi Calabresi, ma ad essa si è associata nel tempo un' altra incredibile storia al Palazzo della Regione a Reggio, dove l’Ufficio di Presidenza del Consiglio Regionale, bontà sua, intitolava a Giuditta Levato la sala conferenze, quale omaggio tardivo al sacrificio di tutte le donne calabresi prostrate dalla fatica, e vi poneva come emblema un grande quadro che, realizzato sull’unica foto esistente di Giuditta Levato, la ritrae con accanto i due figli spaventati e con gli occhi sbarrati dal flash del fotografo: indossa un cappotto ormai troppo stretto per fasciare il suo corpo disfatto da tre gravidanze, di cui una in corso, e sorride col viso dolce e altero, paziente e dignitoso, che è quello delle nostre donne di Calabria.
Un quadro ingenuo, ma bellissimo, che però alcuni anni fa era inspiegabilmente sparito per far posto a una rielaborazione pittorica di fantasia ( un volto tumefatto che verosimilmente vorrebbe rappresentare il volto di Giuditta ) , commissionata e realizzata non si sa da chi e per ben trentamila euro. Dobbiamo alla penna del giornalista Riccardo Tripepi l’allarme indignato lanciato all'epoca contro lo scempio perpetrato in modo anonimo dentro i muri del Palazzo, tanto che nel pomeriggio della stessa giornata in cui vide la luce l'articolo di Tripepi il quadro originario tornò al suo posto nella sala di Palazzo Campanella, mentre il nuovo non si seppe che fine avesse fatto insieme ai soldi stanziati per farlo fare....
Fin qui la storia colpevolmente dimenticata persino da noi Calabresi, ma ad essa si è associata nel tempo un' altra incredibile storia al Palazzo della Regione a Reggio, dove l’Ufficio di Presidenza del Consiglio Regionale, bontà sua, intitolava a Giuditta Levato la sala conferenze, quale omaggio tardivo al sacrificio di tutte le donne calabresi prostrate dalla fatica, e vi poneva come emblema un grande quadro che, realizzato sull’unica foto esistente di Giuditta Levato, la ritrae con accanto i due figli spaventati e con gli occhi sbarrati dal flash del fotografo: indossa un cappotto ormai troppo stretto per fasciare il suo corpo disfatto da tre gravidanze, di cui una in corso, e sorride col viso dolce e altero, paziente e dignitoso, che è quello delle nostre donne di Calabria.
Un quadro ingenuo, ma bellissimo, che però alcuni anni fa era inspiegabilmente sparito per far posto a una rielaborazione pittorica di fantasia ( un volto tumefatto che verosimilmente vorrebbe rappresentare il volto di Giuditta ) , commissionata e realizzata non si sa da chi e per ben trentamila euro. Dobbiamo alla penna del giornalista Riccardo Tripepi l’allarme indignato lanciato all'epoca contro lo scempio perpetrato in modo anonimo dentro i muri del Palazzo, tanto che nel pomeriggio della stessa giornata in cui vide la luce l'articolo di Tripepi il quadro originario tornò al suo posto nella sala di Palazzo Campanella, mentre il nuovo non si seppe che fine avesse fatto insieme ai soldi stanziati per farlo fare....
Come tanto, tantissimo denaro, sottratto alle casse regionali e alle nostre tasche !
Una storia, se vogliamo, banale, ma che illustra bene come anche i ricordi più sacri in Calabria vengano strumentalizzati per spillare e dirottare soldi dalle tasche dei contribuenti a quelle di qualche colletto bianco-sporco...
Ancora più grave però la strumentalizzazione di Giuditta Levato che si sta tentando in questi giorni da parte di qualche intellettuale calabro sulla cresta dell'onda che tenta di farla diventare il simbolo della protesta calabrese contro lo Stato oppressore. Giuditta è e resta emblema della lotta contadina contro i padroni e contro la mafia pagata dai padroni e malamenta oggi giustificata e mascherata da tanti letterati prezzolati che oggi sputano veleno addosso ai magistratri in trincea!
Vergognoso e offensivo manipolarne il ricordo in maniera tanto maldestra!!!