domenica 23 luglio 2017

DUE GRANELLI DI SENAPA TRA I ROVI DI CALABRIA… ( di Bruno Demasi)

“LA CHIESA SI SALVERA’ SOLO SE TORNA POVERA”.

     Il neo arcivescovo di Bologna, Matteo Zuppi, l’ha detto con chiarezza e in Calabria questa drastica affermazione che interessa tutti da vicino tintinna come una lama di acciaio che fende le tenebre del conformismo, della paura, del disagio di vivere il Vangelo nell’ essenzialità del quotidiano, tra i mille problemi e le battaglie da retroguardia che le curie sono costrette ad affrontare giorno per giorno, tra i mille equilibri bizantini che sono costrette a ricercare e mantenere per il quieto vivere e il bene supremo della comunità ecclesiale. 
   Ma di quale povertà e, di rimando di quale Chiesa e di quale comunità ecclesiale stiamo parlando?   
   Non certo della povertà strettamente finanziaria, che costituisce casomai problema a sé, quanto della povertà di enfasi e di parole, di compromessi e convenienze, la povertà di una Chiesa che rinunci a calcoli e paure, che abbandoni l’habitus dei silenzi e dell’ossequio pedante verso persone e istituzioni malate, che abbia a cuore veramente  la pulizia della scalinata del tempio, che apra con gioia  le porte realmente a tutti e non solo alla casta dei presunti addetti ai lavori che proliferano nei primi banchi e nelle sacrestie e al sussiego dei discutibilissimi  ammantati di improbabili appartenenze ecclesiali...  
   Una chiesa che sappia gridare il Vangelo dai tetti, ma con la Costituzione in mano come diceva don Milani,  e che abbia a cuore sul serio la cultura e la scuola cattolica e le rilanci con fervore come fatto di tanti, di molti...
   Una chiesa che non abbia il timore di incidere i bubboni che le si formano in seno quando il pus dell’interesse cova per anni ed esplode in campagne di morte.
    Una Chiesa, in ultima analisi , che non sia timida contro la corruzione e la ndrangheta, che non alzi solo voci flebili, ma sappia anche dare lezioni serie di vita , se necessario, a laici e preti – e ce ne sono – che ostentano stili e comportamenti molto  discutibili, persistendo caparbiamente in quello stile annoso di disobbedienza ai pastori, già endemico da queste parti ai tempi del Concilio Vaticano II, quando per i vescovi l’argomento di maggiore interesse era costituito dal Clero, anzi dai problemi del Clero…individuati nella «poca osservanza della legge della residenza; la scarsa cura dell’insegnamento catechistico ai fanciulli e agli adulti; la poca disponibilità ad obbedire al Vescovo, specie dai sacerdoti novelli….» , come scrive Don Letterio Festa in un suo prezioso studio che varrebbe la pena riprendere e  approfondire (“Le proposte dei vescovi delle chiese calabresi per il Concilio Vaticano II – cittàcalabria edizioni).
 
    Senza minimizzare altri grandi sforzi effettuati della Chiesa di Calabria, abbiamo due granelli di senapa in questo senso che sebbene stiano crescendo pianissimo, contengono un prezioso DNA di reale rinnovamento.
   Il primo risale al 21 giugno del 2014 con la venuta di Papa Francesco a Sibari. Davanti a 250.000 persone il Pontefice tra l’altro disse: "La ’ndrangheta è questo, adorazione del male e disprezzo del bene comune. Questo male va combattuto, va allontanato! Bisogna dirgli di no! Coloro che nella loro vita seguono questa strada di male, come sono i mafiosi, non sono in comunione con Dio: sono scomunicati!”.   
   Una rivoluzione che lasciò meravigliati anche gli anti-clericali di mestiere, per la nitidezza e la fermezza del linguaggio, ma che ha bisogno di rivoluzionari veri per essere alimentata e portata avanti con fermezza e coraggio: tra i laici, ma anche tra i preti!
     Il secondo granello è un vescovo coraggioso al vertice della Conferenza episcopale calabra, Mons. Vincenzo Bertolone, arcivescovo di Catanzaro-Squillace, postulatore della causa di canonizzazione di don Pino Puglisi su cui ha pubblicato recentemente due libri che tutti dovremmo leggere e meditare “L’enigma della zizzania - Il Metodo Puglisi”(2016) –“Don Pino Martire di Mafia”( 2017), Ed. Rubbettino.
    In una risposta ad una delle tante interviste nelle quali egli col coraggio del neofita più che con la prudenza del vecchio prelato navigato parla in modo aperto del dramma di questa terra, egli afferma a proposito di don Pino: 

  “Più che predicare un vangelo-contro, Puglisi propone l’annuncio mite del Vangelo della tenerezza. Per questa via, lo stesso martirio di Puglisi diviene una strategia pastorale particolarmente efficace nei campi (ormai troppi e dappertutto) in cui si è insinuata la gramigna delle mafie . Un vero e proprio antidoto silenzioso che mette in crisi la cattiva semina, nella consapevolezza che le mafie non sono mai state un fatto solamente criminale, che i processi e le pene non sono sufficienti quando non accompagnate da un serio e condiviso impegno sociale”.
    Ecco, proprio della “cattiva semina “ o della mancata semina  quotidiana ci dovremmo preoccupare e soprattutto della mancanza reale di impegno sociale serio, al di là della serie sterminata di parole, convegni, congressi, seminari, tavole rotonde, eventi che nella grande maggioranza dei casi servono appena a coprire qualche lembo di questo vuoto pauroso in cui siamo precipitati oltre che a soddisfare la vanità di gente sempre interessata ai propri scopi.

mercoledì 12 luglio 2017

RESPONSABILE ANTICORRUZIONE: DOMANDE PERVENUTE NESSUNA

      di Bruno Demasi

E’ andato deserto il bando della Regione Calabria relativo alla manifestazione di interesse per la nomina di un  responsabile dell’anticorruzione che dovrebbe vigilare sui dirigenti della pubblica amministrazione calabra.
     Notizie come questa dovrebbero far inorridire i cittadini, mettere i cinque prefetti calabri in stato di fibrillazione legalitaria, indurre il governo a smetterla di trastullarsi in dichiarazioni uterine e giochini vari e a badare realmente al marasma del nostro sud del sud, spingere il nostro Stato ormai narcotizzato da inefficienza e malaffare a tutti i livelli a una seria riflessione circa la propria identità e il proprio ruolo, al di là delle pose di cartapesta.
    Le associazione votate consacrate alla difesa della legalità invece sono esenti da ogni forma di rabbia o pudore tanto è vero che non si sono fatte ancora sentire davanti allo scandalo degli scandali : la paura di chiunque ad ambire al ruolo di responsabile anticorruzione nella Regione Calabria, dove evidentemente i colletti bianchi e le cosche imperanti in certi dipartimenti e uffici - e non solo a livello regionale -  sono più potenti e temibili delle cosidette “coppole” ormai appartenenti solo al folklore ndranghetistico. 

    «Ci sono direttori generali - ha spiegato Gratteri intervenendo a una manifestazione a Reggio Calabria - che da vent’anni sono nello stesso posto, e da incensurati gestiscono la cosa pubblica con metodo mafioso… grazie a …una politica debole che non ha la forza e la preparazione tecnico-giuridica per affrontare il problema della gestione dei quadri. Per amministrare la cosa pubblica basterebbe un po’ di buon senso ma la parte procedurale dei meccanismi di appalto è governata da un centro di potere che è lì da sempre. Anche per questo quando mi hanno proposto di candidarmi ho detto di no».
    Gli fa eco persino Oliverio affermando: «Sottoscrivo convintamente la valutazione del procuratore Gratteri…quello della burocrazia è un problema più che politico direi di democrazia…Si avverte una pressione, una presenza che definirei un macigno, uno schema sempre uguale di burocrazia dominante. Sono dell’idea che questa struttura abbia avuto un peso tutt’altro che secondario nel ritardato processo di sviluppo della Calabria». 

     Nella sola “Cittadella Regionale” di Catanzaro dalla quale Sergio Mattarella si è beato nella visione agropastorale e poetica della terra bruzia, una struttura elefantiaca in cui sono “occupati” almeno mille dipendenti, i colletti bianchi resistono allo “spoil system” e ai cambiamenti politici. Una casta di intoccabili a cui nessuno si permette di pestare i piedi, una “burocrazia arrogante e autosufficiente sul piano del potere...”, come la definisce il presidente calabro,  in un contesto da operetta  in cui persino le riunioni di giunta pare vengano registrate abusivamente e addirittura alcuni dipartimenti regionali promuovano atti in senso diametralmente opposto rispetto alle richieste del presidente e della sua giunta. Figuriamoci cosa accade in tante amministrazioni cosiddette più "periferiche"!
    E mentre tutto tace, basta organizzare annualmente due o tre convegni o manifestazioni sulla legalità e la  pubblica amministrazione calabra  di vario livello ritorna ogni volta miracolosamente pura, integra e sana. Come la Venere del Botticelli che nasce dalla schiuma  sporca delle banconote.

domenica 9 luglio 2017

ANTICHE E NUOVE SERENATE, DA CIARDULLO A EPIFANIO

di Bruno Demasi

    No, non mi riferisco affatto una volta tanto agli sproloqui dei nostri politici calabri, maestri di serenate e sviolinate al tutto e al niente nel medesimo tempo, mi riferisco propriamente alla Serenata come genere poetico musicale autoctono calabro certamente non unico nella Penisola, ma unico nella sua assoluta indipendenza dalle stornellate, dai mottetti, dalle musichette serali sotto il balcone della donna amata prive di un tessuto poetico che, nel nostro caso, ne costituisce invece la forza.    
    Malgrado l’evoluzione della comunicazione, alcune tradizioni come questa tendono sempre con fervore ad essere conservate e ancora oggi nel territorio del parco aspromontano in provincia di Reggio Calabria, sopravvive la tradizione delle “Serenate”. In particolare l’attenzione alla serenata , viene prevista per la vigilia del matrimonio, o all’uccisione del maiale che rappresenta una festa straordinaria che unisce e compatta tutta la famiglia. 

    La serenata, viene eseguita con la fisarmonica o piu’ classicamente con l’organetto, e la chitarra e/o il mandolino. E’ un’occasione vissuta coralmente, con parenti e amici , con l’assaggio delle “Frittule”, accompagnando il tutto, secondo il rituale gastronomico più fedele alla tradizione, con un bel bicchiere di vino, peperoni fritti , pane e quant’altro.
    Sull’epos della Serenata la narrazione sarebbe lunga, ma è possibile racchiuderla tra due capostipiti fondamentali, uno risalente alla fine dell’Ottocento, l’altro ai giorni nostri: Il primo è Michele De Marco, in arte “Ciardullo” vissuto in provincia di Cosenza a cavallo tra Ottocento e Novecento, poeta, giornalista, drammaturgo di grande portata. Il secondo è Ciccio Epifanio, il “Mastru Cantaturi dell’Aspromonte” com’egli ama definirsi, grande poeta vernacolo, compositore di musiche e canzoni da lui stesso magistralmente eseguite, che ha voluto inviare questo stupendo inedito a questo blog che gliene è grato.
    Tra le due composizioni quasi un secolo di distanza, ma neanche un millimetro di differenza in termini di freschezza poetica e uso magistrale della nobile parola calabra.

                            'NNA SERENATA... (di Michele De Marco – Ciardullo)


Nna serenata, chilla serenata
chi sai tu, chi sacc'io, sempre te cantu...
La luna, ianca, s'e' mpernata
mienzu a lu cielu, e ti lu fa nnu ncantu...

La iumarella abbasciu, guala guala,
ruccula queta queta e chianu chianu...
Nnu riscignuolu canta a la sepala
e n'autru lle rispunna chiu' luntanu...

Cum'e' bella stasira sta campagna,
cchi barsamu, Mari', cchi pumpusia!...
Cchi ntinni a sta chitarra chi accumpagna
sta serenata chi cantu ppe tia...

Tu duormi ntra stu liettu ch'e' fatatu,
pecchi' cce duormi tu, bellizza mia;
e ntra lu suonnu sienti appassionatu
jire lu nume tue: << Maria, Maria >>...

E riesti ppe nna picca, ntantaviglia,
e nun te para no ch'io cantu fore;
ma, ncantesimu nuovu e meraviglia,
para ca si ccu mie core ntra core...                                 

Pue sc-canti, te risbigli, sienti, riri,
e abbazi sutt'a tie lu cusciniellu;
nun iati ppe me sentere, suspiri,
e 'ntra li labbra dici << Povariellu >>!...

Povariellu... Lu sai ca nnu pensieru,
unu surtantu rota ntra ssa capu...
Tu sula me capisci ppe daveru,
tu de le pene mie nun te fa' gapu...

Quannu, bellizza mia, quannu, rispunna
trase la pace ntra ssu core mio?
Iamu sbattuti sempre cumu l'unna,
nun riposamu mai nne' tu nne' io...

Me pare de te sentere: << Ha 'raggiune >>...
dici, e sienti le lacrime saglire.
Fatte curaggiu, e l'urtimu scalune:
ha de finire, bella, ha de finire!...


                                                 SIRINATA  (di Ciccio Epifanio)

‘A notti è longa e ‘a to' finestra è chiusa
e ‘n celu sulu stà la luna 'mpisa
li to' carizzi su ricordi cari
e li me' occhji ormai funtani amari

Girau sta vita mia non havi paci
senza cumportu e sulu c ‘a me cruci
non c'è penzeru chi mi fa' paura
sulu ‘a luntananza mi dispera.

Notti raminga notti sulagna
di gioja e doluri fidili cumpagna
hjuhjja chianu nu filu di ventu
li belli paroli 'ccordamu a lu cantu

Dimmi allura la bella preghera
na vuci chi trema lu cori chi spera
canta lu tempu jochi d'i hjuri
li primi carizzi l'affanni d'amuri.

E lu celu s'alluma a la marina
stanca trema la stija primalora
stija lucenti stija matutina
ferma lu tempu mu cantamu ancora

O musa chi lu versu sai m'addrizzi
e di li cosi cogghji l'armunia
dammi lu toccu di li toi carizzi
lu cantu di la bella poisia

Vola canzuni ora vola  vola
dassa lu tempu quand'eri figghjola
cantami l'arba lu jornu chi brisci
lu jelu chi pasci la rosa e la crisci

Canta li frundi canta lu ventu
lu suli chi cedi a lu mari d'argentu
volau lu tempu volaru li hjuri

 li primi carizzi l'affanni d’amuri.

martedì 4 luglio 2017

LI COPRIREMO CON LE NOSTRE VERGOGNE

di Bruno Demasi
   Fa più scandalo un ragazzo africano che fa il bagno sulla spiaggia di Reggio Calabria nudo o un adulto africano che , dimesso dall’ospedale di RC non ha nulla da mettersi addosso o le centinaia di Africani della tendopoli di San Ferdinando costretti a scappare dal fuoco che divora le loro tende?
   Tre storie che si sono intersecate in questi ultimi giorni in cui ancora una volta lo scirocco più bollente e maleodorante che mai ha cotto questo lembo malato di universo che si chiama Calabria , ma anche tanti cervelli calabresi pronti a gridare allo scandalo in una realtà politica, sociale, istituzionale in cui gli scandali, quelli veri, quelli dei colletti bianchi che continuano a mangiare a più non posso, quelli della politica malata che finge impegni sociali e politici mai esistiti, quelli della tassazione ossessiva che dissangua questa terra di poveri, vengono ormai solo a stento sommersi. E fino a quando? 

   Il primo scandalo è stato provocato nelle menti e nelle gole lisce dei benpensanti dal ragazzo di colore che non si è nemmeno accorto di destare scandalo andando a immergersi nudo nel mare di Reggio Calabria attraversando una battigia-immondezzaio che da anni non provoca alcuna reazione civile da parte di nessuno.
   Il secondo scandalo è quello di Daniel, il ghanese dimesso dal reparto O.T.L. degli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria, che non aveva neanche un pigiama per uscire dall’ospedale e che solo la pietà di eccellenti medici e infermieri, oltre alle amorevoli cure prestate, gli ha procurato, quasi di nascosto, almeno una vecchia tenuta da infermiere per impedirgli di uscire nudo, oltre che scalzo, per essere accompagnato da chi era andato a prenderlo alla tendopoli di San Ferdinando, dove – grazie a Dio – è poi arrivato almeno con una maglietta, un pantalone e un paio di scarpe e del pane.
   Il terzo scandalo è stato provocato dall’odore acre della carne sporca e sudata in fuga attraverso montagne di immondizia dalle baracche delle tendopoli di San Ferdinando in preda al fuoco. 

   Sono tre vergogne sicuramente che urtano il naso, l’occhio e lo stomaco dei Reggini e dei Calabresi benpensanti, coloro i quali sono pronti a fare  eleganti flash mobbing di solidarietà verso non meglio specificati “poveri e diseredati”, quelli che non tacciono davanti a non meglio specificati scandali di palazzo, ma tacciono e si scandalizzano se qualcuno mostra volontariamente o involontariamente le proprie nudità misere, nere affamate e spesso pestate e coperte di sangue sulla strada che da Gerusalemme scende a Gerico.
    E la storia infinita dei soldi che lo Stato spende per questi derelitti ogni giorno e di cui questi derelitti non  vedono neanche un centesimo con il beneplacito  e la complicità di TUTTE le istituzioni è una delle vergogne bibliche , la più grande, con cui copriremo le nudità malate di questa gente.