sabato 27 febbraio 2016

“NON SI PUO’ FARE DELL’ANTIMAFIA UN MESTIERE…”

di Bruno Demasi

   «Non si può fare dell’antimafia un mestiere. Invito politici ed enti locali a non erogare più denaro pubblico ad associazioni che nascono dal nulla». Lo diceva sei mesi fa in un’intervista a QN il procuratore aggiunto del Tribunale di Reggio Calabria, Nicola Gratteri.
   «Le indagini sono in corso, non posso fare nomi - sottolineava - ma ci sono casi di soggetti che hanno ricevuto importi che sfiorano il milione di euro di contributi. Gente furba che si fa vedere vicino a magistrati e vittime di mafia ma che, in realtà, non ha mai prodotto nulla. Persone che ottengono la legittimazione tenendo incontri nelle scuole e magari relegano nell’ombra chi, davvero, i crimini di mafia li ha vissuti sulla propria pelle».
    Oggi sappiamo a chi, tra gli altri, si riferiva il magistrato, e non si tratta certo di una sola persona, di una sola associazione, di una sola di quelle sedicenti onlus che tra i clamori mediali che riescono a suscitare ad arte succhiano il sangue al contribuente attraverso le generosissime elargizioni di denaro pubblico da parte dei Comuni, delle Province, delle Regioni, dello Stato nel suo insieme. 

   Gratteri era stato chiaro anche in quella occasione: «Invece che fare incontri molto spesso inutili nelle scuole – proponeva -, si assumano insegnanti, iniziando dai territori ad alta densità mafiosa. Si dia modo ai ragazzi di fare il tempo pieno, anziché rimandarli a casa, col rischio che si nutrano di cultura mafiosa».
    Un monito per combattere una battaglia vera e non di facciata contro la ndrangheta, un monito forse anche a qualche alta carica dello Stato spesso peregrinante tra le scuole, sicuramente un monito a tanta magistratura che ama esibirsi in improbabilissimi e costosissimi convegni in cui gli allievi delle scuole sono doppiamente defraudati: della loro dignità, perché non si dice loro quanti soldi girano per organizzare cotanti eventi e perché si sottrae loro il vero tempo scuola
strumentalizzandone la presenza coreografica davanti alle telecamere e agli obiettivi dei fotografi per immortalare il nulla.

    Su un solo aspetto non concordo con Gratteri: la scuola a tempo pieno o prolungato è venuta meno in molte realtà scolastiche – è vero - perché a volte il MIUR lesina aperture di nuove classi in questo senso ( pur consumando milioni di € in “buoni” da 500 € concessi agli insegnanti per comprare ufficialmente materiali e strumenti per la loro formazione, ma di fatto televisori e cellulari, fatturando poi tablet), ma soprattutto perché l’insipienza dei genitori, la pigrizia di molti insegnanti fanno venir meno questa opportunità per intere leve di alunni abbandonati in orario extrascolastico a se stessi…

domenica 21 febbraio 2016

“RISPARMIARE I SOLDI SPESI IN CONVEGNI ANTIMAFIA E ASSUMERE INSEGNANTI…”

di Bruno Demasi

  Maestri di gattopardismo noi Meridionali, ma non solo noi evidentemente. Maestra assoluta di gattopardismo infatti l’ Italia intera affannata nella corsa alla legalità parolaia, verbosa, priva di contenuti reali, spesso anche danarosa nell’organizzazione di eventi – bomboniera, comunque quasi sempre fine a se stessa.
     E’ quanto nei giorni scorsi Nicola Gratteri ha voluto sottolineare in una sua intervista a Linkiesta, curata magistralmente da Lidia Baratta, mentre si accinge a preparare le valigie in vista del suo trasferimento a Catanzaro come procuratore della locale Direzione Distrettuale Antimafia e mentre ancora una volta è costretto a riflettere ad alta voce sull’inaudita escalation di agguati, bombe, intimidazioni a privati e istituzioni che in questo primo mese e mezzo del 2016 sta scombinando vistosamente tutte le statistiche possibili dei reati di ndrangheta.
   La lettura del ministro dell’Interno Angelino Alfano giunto a metà mese a Reggio Calabria è , come al solito, trionfalistica, quasi mutuata dai proclami ridicoli che il suo conterraneo Francesco Crispi faceva sornione oltre un secolo fa quando timidamente si incominciava a parlare di mafia . Per il nostro ineffabile Alfano la recrudescenza assurda dei fatti di ndrangheta che in queste settimane sta segnando vistosamente la Calabria altro non sarebbe che la reazione mafiosa alla pressione dello Stato.
    Non si capisce di quale pressione egli parli e se sia veramente convinto di ciò che afferma mentre il governo di cui egli fa parte, mai espresso dal popolo, è intento a gingillarsi a Palazzo Chigi e al Parlamento in discussioni oziose che hanno il solo scopo di spostare l’attenzione del cittadino dai problemi reali dai quali è oppresso. Compresa la pressione mafiosa. Quella si!
    E siccome tutti siamo muti, siamo tutti attenti alle sciocchezze che ci propinano televisioni, giornali e social network servi del regime, diventa più che mai preziosa ancora una volta la riflessione attenta e lucida di Gratteri che è il primo a non essere convinto dell’analisi alfano-renzi-collodiana della recrudescenza ndranghetistica e del marasma sociale in cui annaspiamo in questo momento storico del Sud. 

    Per Gratteri. «Non bisogna fare un’insalata di tutto quello che sta succedendo», dice. «È improbabile che i boss di ‘ndrangheta, visto che negli ultimi anni abbiamo arrestato duemila di loro, si siano riuniti e abbiano deciso di bruciare un po’ di pullman lì, mettere bombe carta qui, gambizzare e uccidere da un’altra parte… non tutto è ‘ndrangheta e i fatti vanno analizzati uno a uno, con le cause e le concause. Molte volte sono fatti singoli, in altri casi cinque o sei eventi hanno un unico disegno».
    Continua , senza peli sulla lingua,: “la ‘ndrangheta che conosco io non ha alcun interesse a fare rumore e ad avere uno scontro con le istituzioni…Non misuro la presenza o la pervasività delle mafie dal numero delle macchine bruciate o dai morti a terra. Non è quella l’emergenza. La ‘ndrangheta che conosco io discute, parla, dà consigli, formalmente non minaccia ma intimidisce. La ‘ndrangheta che conosco io è quella che muove tonnellate di cocaina e poi con i soldi guadagnati condiziona l’economia e quindi la libertà della gente. È quella che controlla il voto, gli appalti, che dice non solo chi vince l’appalto, ma anche dove deve essere costruita un’opera pubblica e se deve essere costruita”
    E non tace nemmeno sugli allarmi lanciati contro il presunto attacco della criminalità organizzata a politici ed amministratori, osservando che :”Tutti i candidati dicono sempre che i voti della mafia non li vogliono, lo dicono pubblicamente, anzi lo urlano. Ma spesso nelle ultime 48 ore al candidato viene il panico di non essere eletto e quindi è nelle ultime 48 ore che fa i patti col diavolo. Ovviamente nel momento in cui una famiglia di ‘ndrangheta ti consegna un pacchetto di voti che è il 20% dell’elettorato attivo, determina chi sarà il sindaco. Il capomafia quindi vorrà quantomeno cogestire il comune. Come minimo indicando chi sarà il tecnico comunale o intervenendo sul piano regolatore. Può darsi anche però che la ‘ndrangheta sbagli il cavallo vincente, ma il capomafia non starà alla finestra a guardare, farà di tutto per entrare nella spartizione della torta” Dunque – continua – “non tutti gli attentati ai pubblici amministratori sono fatti dalla mafia perché l’amministrazione si è opposta alla mafia. Molti attentati vengono fatti perché l’amministratore non è stato al gioco e al giogo della ‘ndrangheta. Alcuni attentati vengono fatti perché l’amministratore o il politico non è stato ai patti precedenti con ‘la ndrangheta. Altri attentati ancora possono non riguardare la ‘ndrangheta, ma essere problemi anche interni ai rapporti tra pubblici amministratori.Non misuro la presenza o la pervasività delle mafie dal numero delle macchine bruciate o dai morti a terra. Non è quella l’emergenza. La ‘ndrangheta che conosco io è quella che muove tonnellate di cocaina e poi con i soldi guadagnati condiziona l’economia e quindi la libertà della gente. È quella che controlla il voto e gli appalti” 

 
    E mentre Alfano sostiene senza molti pudori che la recrudescenza mafiosa è il segno che le cosche stanno perdendo la partita di fonte al pugno di ferro dello Stato, Gratteri non esita ad affermare: “..stiamo pareggiando la partita. Per vincere davvero bisogna cambiare le regole del gioco. Come dicono nei teatri di guerra, bisogna cambiare le regole di ingaggio: il codice penale, il codice di procedura penale, l’ordinamento penitenziario, sempre nel rispetto della Costituzione. È necessario fare tante di quelle modifiche finché delinquere non sarà più conveniente. Sono tutte proposte che abbiamo messo nero su bianco nella Commissione voluta dal governo, che ho presieduto a titolo gratuito chiamando i migliori esperti …In Italia ci sono 44mila uomini della polizia penitenziaria. Ogni giorno diecimila di questi vengono impegnati per trasferire i detenuti. Se a Reggio Calabria si tiene un processo con 40 imputati detenuti che devono rispondere di concorso in associazione di stampo mafioso, bisogna impiegare gli uomini che scortino fino a Reggio i detenuti di massima sicurezza, che in genere stanno da Roma in su. Nel tribunale di Reggio questi detenuti stanno insieme sette-otto ore. Qui hanno il tempo di incontrarsi, parlare, fare affari, trasmettere attraverso gli avvocati messaggi di morte o richieste di mazzette, minacciare i testimoni. Per otto-nove mesi vengono tenuti nelle carceri tra Reggio, Palmi e Vibo Valentia. Poi torneranno a Reggio magari dopo sette-otto mesi per l’appello. Questo giochino in tutta Italia costa 70 milioni di euro. Quello che abbiamo proposto noi è che tutti i detenuti di alta sicurezza sentiti a qualsiasi titolo, come indagati, testimoni, o anche se si devono separare, non vengano trasferiti, ma restino dove sono sfruttando le videoconferenze. Con una sola modifica si eviterebbe che i detenuti possano continuare a nuocere e minacciare e si risparmierebbero 70 milioni di euro l’anno. Immaginiamo quanti uomini della polizia penitenziaria potremmo assumere con questi soldi”
    Dov’è il decisionismo di questo “Governo del fare” di questo governo che issa ancora la propria logora e trionfalistica bandiera su riforme che hanno smantellato la Costituzione repubblicana, la Scuola, la Sanità, ma che non hanno minimamente preso in considerazione le proposte della Commissione Gratteria che ha concluso i propri lavori oltre un anno fa e si aspettava che almeno un decreto legge seguito da ulteriori disegni di legge provvedesse subito a bloccare queste abnormi incongruenze nel sistema penale e penitenziario? 

    E’ orripilante pensare al trionfalismo di Alfano quando un addetto serio ai lavori come Gratteri continua ad affermare: “Con la ‘ndrangheta stiamo pareggiando la partita. Per vincere davvero bisogna cambiare le regole del gioco: il codice penale, il codice di procedura penale, l’ordinamento penitenziario. È necessario fare tante di quelle modifiche finché delinquere diventerà non conveniente”
    E’ orripilante pensare che ancora oggi si consumano milioni in sciocchezze e in progetti-vetrina , si chiudono classi e scuole a tempo pieno o prolungato lasciando bambini e ragazzi sulla strada, quando – conclude Gratteri – “bisogna anche investire in istruzione e in cultura. Basta risparmiare i soldi spesi in convegni antimafia e assumere gli insegnanti calabresi che stanno andando in Veneto, Lombardia, Emilia Romagna, Toscana. Avremmo bisogno di in una scuola a tempo pieno. I giovani in Calabria sono sempre più ignoranti, così vengono affascinati dall’onnipotenza che può dar loro l’affiliazione alla ‘ndrangheta: è su di loro che bisogna lavorare. Certo, con le modifiche normative vedi i risultati già dopo quattro o cinque anni. Se investi in istruzione e cultura hai bisogno di molto più tempo per vedere i risultati. E il politico purtroppo non fa progettazione di lungo periodo: il politico fa progetti i cui risultati devono vedersi al massimo tra un anno e mezzo. Sarà molto dura”.
    Pensiamoci sul serio!
   Oppure continuiamo , come ormai siamo soliti fare,  a discutere del sesso degli angeli!

sabato 13 febbraio 2016

L'ANTICA ARTE CALABRA DEL CORTEGGIAMENTO

di Maria Lombardo

  Un tempo il corteggiamento era visto come l’inizio di un percorso importante nella vita di una giovane contadina in età da marito, un mezzo che le consentiva di avere visibilità sociale e di sentirsi importante. Ben altri tempi , quando ci si accontentava di poco. Era davvero dura la vita che dovevano fare i poveri corteggiatori: la ragazza non usciva mai di casa e ,se lo faceva, era sempre accompagnata. “‘A fhimmana non viduta, centu ducati e’ cchiù è valutata”, ragion per cui le schette, ossia le nubili, si potevano guardare solo in chiesa.
    Tuttavia era anche in uso che il giovanotto cercasse la donna nel suo paese. Quale buona occasione la domenica a messa o nelle feste di paese. Le donne da marito in quei giorni, smessi gli abiti quotidiani, tiravano fuori dal baule l’abito migliore magari cucito dalla madre. Il giovanotto frequentava la chiesa, ma solo per incrociare lo sguardo della ragazza scelta. A volte l’incontro amoroso, un po’più ravvicinato, avveniva nei campi , che spesso erano confinanti e coltivati dai rispettivi genitori, o nei boschi, dove la ragazza si avventurava a far legna, o alla fontanella rurale dove si recava a prendere l’acqua per bere, oppure alla fiumara dove andava per lavare i panni. 

    Succedeva poi che tra gli innamorati, magari mentre lavoravano i propri poderi, si sollevassero dei canti, canti inventati lì per lì, ma sinceri e carichi di sentimento. Per le valli e nei campi, al tempo della semina o del raccolto, si innalzavano nell’aria dolci melodie che accendevano i cuori palpitanti di giovani contadini e contadinelle di stirpe calabrese. Le più ardite nel canto erano le donne che davano sfogo alla propria ugola anche da sole o istigavano le compagne a farlo in coro per non farsi scoprire. Era infatti un andirivieni di melodie a botta e risposta imitate, in questo, da timidi giovani che con mottetti e serenate intessevano con le loro belle una storia semplice, intensa e commovente.
    Cantavano all’aria nova, diceva mia nonna, brani antichi a volte mutati in qualche forma. Qui ne riporto alcuni spezzoni nei versi nel nostro dialetto locale e leggermente adattati in modo da risultare comprensibili e di senso compiuto affidandoli rispettivamente ad un Lui e ad una lei ideali.
    Lei andava cercando il ragazzo e sperando di incontrarlo si affidava alla fortuna:” Io già jettai ’na vuci ‘ntà vallata mu viju si mi rispundi la furtuna”. Lui la incontrava emozionato: “Oi giuvinettha cu sti ricci attornu, no sbattire st’occhi ca mi fhai morire”.
    Capitava però che fosse lui ad errare per le campagne in cerca di Lei anche solo per un saluto:
    “Bella chi tieni ’nu garofalu a la rizzigghja ,chi ù dduri mi vena de trhi migghja". Lei ardeva dal desiderio di stare viciao all’amato e il non vederlo era fonte di dolore e sofferenza.
    Era questa la strada  bella, ma contorta che conduceva al matrimonio  le giovani contadine.

domenica 7 febbraio 2016

“CALABRIA VERDE” LA MASCHERA PERDE...

di Bruno Demasi
    In genere a Carnevale le maschere si indossano , ma in Calabria c’è invece chi le indossa tutto l’anno e poi va a perderle proprio nel tempo di Carnevale.
    “Calabria Verde” è la carnevalata erede dell’Arssa, l’importante agenzia che avrebbe dovuto incentivare la valorizzazione dei prodotti agricoli calabresi, erede anche delle Comunità Montane, nate per sostenere lo sviluppo della montagna e cresciute per sostenere l’immagine di politici ruspanti locali, erede infine dell’ Afor , che, con un gran numero di operai forestali, avrebbe dovuto salvaguardare il territorio montano dei cartoni animati calabresi dal rischio idrogeologico e dagli incendi .
     Un anno e mezzo fa la Regione Calabria molto poeticamente aveva unificato le competenze di queste tre grandi idrovore di denaro pubblico in un unico , nuovo e grande carrozzone dispensatore di doni e di foraggio di ogni genere, chiamato “Calabria Verde”, che da qualche mese è oggetto delle attenzioni della Procura di Catanzaro e della Guardia di Finanza. 

    Si stanno scrutando attentamente questi diciotto mesi di gestione di fondi e appalti da parte di questo ennesimo serbatoio di voti e di denaro, nel quale si è aperta una falla molto vistosa: la perdita di 33 milioni di euro di fondi europei destinati all’acquisto di mezzi per la Protezione Civile. 
   Il bando cancellato in fretta e furia, per motivi ancora non del tutto chiariti e la mole di fondi sprecati fanno intendere che la scelta di revocare la gara sia avvenuta in seguito a qualche pesante e misterioso problema che ha coinvolto il dipartimento Agricoltura, la Protezione civile e la Presidenza della giunta regionale che qualche giorno fa ha applaudito a Catanzaro il presidente Mattarella, il quale anzichè incavolarsi  sul serio per i miasmi respirati in terra di Calabrioa, propagandava alcune ovvietà sugli storici destini del suolo bruzio, trascurando, tra 

l’altro, anche  questa  carnevalata che di verde calabrese ha soltanto la bile della popolazione di questa regione spremuta come un limone per riempire le tasche dei faccendieri e dei politicanti di turno.
     L’unica speranza è che, in clima di  svendita di maschere, la Procura di Catanzaro che ha aperto un'inchiesta su tutti gli appalti indetti da Calabria Verde fin dalla sua costituzione riesca a far luce in tempi brevissimi su tutto. Anche sulla fretta con cui nei giorni scorsi si è dimesso il direttore generale dell'Azienda, Paolo Furgiuele e sui silenzi glaciali della giunta calabroplumbea.

martedì 2 febbraio 2016

LETTERA MOLTO APERTA AL PRESIDENTE MATTARELLA

di Bruno Demasi

     Gentile Presidente,
Le confesso che quando sento qualcuno affermare che “Sconfiggere la 'ndrangheta e' possibile. E' un dovere, che va posto in cima ad ogni programma di governo” che “La Calabria non e' sola. Lo Stato non e' lontano. La Calabria e parte integrante e inseparabile della vita dell'Italia", che "Il contrasto alla criminalita' organizzata e la battaglia per l'affermazione della legalita' restano pietre angolari di ogni progettualita' politica" sono indeciso se incominciare a fare finalmente salti di gioia o continuare a grattarmi il prurito che mi suscitano le dichiarazioni di principio alla camomilla, in genere, e quelle sui fatidici destini bruzi, in particolare.
   Propoendo  senz'altro per la seconda delle due ipotesi, vuoi perché la mia stanca età ormai mi consente poco di spiccare salti, vuoi perché il prurito diventa quasi insopportabile quando a rispolverare questi stanchissimi teoremi dell’ovvio è un presidente della Repubblica intelligente come Lei e, come Lei, gravemente provato negli affetti familiari proprio dalle efferatezze di quell’universo senza confini e senza fisionomia che da queste parti chiamiamo “Ndrangheta” e nella Sua Sicilia viene chiamato  in modo diverso, ma sempre Inferno è!
    Capisco che quando, qualche giorno fa a Catanzaro, Lei è andato a inaugurare la Cittadella Regionale, che la Regione calabra ha impiegato oltre 50 anni per costruire e una quantità dilagante di denaro che avrebbe potuto tappezzare molti sentieri impervi della Sila e dell’Aspromonte, qualcosa doveva pur dire.
     Capisco anche il Suo ardente bisogno di incoraggiare, noi Calabresi in grandissima parte ormai disillusi fino al punto di piangere quando ci raccontano barzellette o di ridere fino alle lacrime davanti alle tragedie quotidiane che condiscono la vita di questa gente.
    Ciò che – mi creda – non capisco è il Suo accenno alla libertà di stampa ( in Calabria come altrove), quando , nelle stesse ore in cui il Capo del Governo assumeva come sottosegretari certi personaggi che nel recente passato proprio qui in Calabria hanno chiuso giornali e tentato di soffocare voci indipendenti ,venivano a giurare nelle Sue mani. 

    Per carità, accettiamo l’assioma secondo il quale Ella afferma che "La presenza della 'ndrangheta in questo territorio nonche' le minacce ai componenti della stampa libera sono percepite nella comunita' a cui viene impedita la libera e piena crescita economica e sociale”, che “ Lo Stato e' al fianco di chi lotta per estirpare la pianta malavitosa", ma questa presenza dello Stato al fianco di chi lotta non mi pare di vederla ancora. O c’è e non la si vede? 
   E’ tuttavia vero che "l'Italia ha bisogno dello sviluppo del Sud” , che “ La rimonta della Calabria dipende anzitutto dai Calabresi, cosi' come per ciascuna delle regioni meridionali”, che “ La buona politica insomma ha molto da fare. Guai a nascondersi dietro vecchi alibi…”, ma ci domandiamo con angoscia se – dato che la rimonta dipende da noi- come mai:

· Si continua a rubare e a favorire amici e parenti negli appalti pubblici in modo diffuso, ma nessuno lo ammette;
· Si continua a sperperare il denaro pubblico in tante occasioni e  sotto gli occhi di tutti
e a smantellare  la Sanità pubblica;
· Si continua a gestire la rete scolastica regionale come farebbe Lucignolo nel paese dei balocchi;
· Si tollera a San Ferdinando e a Rosarno la persistenza di ghetti intollerabili nei quali sono ammassati migliaia di esseri umani affamati e infreddoliti , vessati da bastoni e dalle carote di tanti caporali di ogni genere, magari con le etichette attaccate sul taschino;
· Si accetta impunemente la depenalizzazione di decine di “reati minori” attraverso i quali la ndrangheta avvia ogni giorno al cursus honorum centinaia di giovani senza arte né parte;
· Non ci si scandalizza delle percentuali abissali di disoccupazione giovanile che affliggono da sempre queste terre;
· Non si ha la voglia di urlare davanti alle macerie materiali e morali di una terra abbandonata da secoli a se stessa e sfruttata fino al midollo;
· Non si ha il coraggio di incazzarsi, o almeno di ridere, davanti alle mille quotidiane bugie recitate davanti alla gente, agli studenti, alle persone di buona volontà, da tanti professionisti prezzolati della legalità.

    Tante altre domande potremmo avanzare, Presidente ...
    Soltanto domande  infatti, perché le nostre povere risposte ormai da tempo non hanno diritto di cittadinanza nei Palazzi e comunque  se l’è portate via il vento di Levante…