Continua su queste pagine l’excursus inedito e avvincente di Rocco Liberti sui viaggiatori stranieri che nell’Ottocento predilessero l’attuale Calabria quale scenario variegato e imprevedibile per le loro annotazioni e le loro osservazioni. Stavolta non si tratta di un militare di carriera di stanza in questo territorio, ma di un viaggiatore propriamente detto, che pur proveniente dalla Francia, non ha nulla da invidiare ai dandys inglesi che nello stesso periodo si dedicavano ai loro gran tours aventi come meta peculiare il sud della Penisola. A De Coustine si devono comunque notizie di prima mano non solo sulle caratteristiche del paesaggio calabrese, in particolare Palmi e quella che oggi viene definita “Costa Viola”, ma anche sulla società del tempo e sul singolare ruolo femminile all’interno di tale contesto. Una pagina che vale la pena di leggere con attenzione per scoprirvi inedite visioni della nostra realtà meridionale che vengono opportunamente messe in risalto dall'abituale acume di Rocco Liberti e che, pur risalenti a due secoli fa, mantengono tratti imprevedibili di modernità.( Bruno Demasi)
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In sequenza ai tanti militari di carriera pervenuti in Calabria nel decennio precedente, ecco finalmente un autentico turista con la brama d’intraprendere, come altri prima di lui, un’escursione in una zona, nella quale i miti greci e quelli romantici del brigantaggio facevano sempre grande presa. Il marchese Adolphe De Custine, un francese che acquisterà notevole fama per i suoi vagabondaggi per l’Europa, è arrivato in Calabria a Castrovillari il 23 maggio del 1812 e nella regione si è trattenuto insino al 5 luglio.
Nato in Lorena nel 1790, è deceduto a Parigi nel 1857. Amante del girovagare, finiti sotto la ghigliottina il nonno e il padre, con la madre e i di lei amanti si è mosso per l’Europa. Omosessuale, ha coltivato amicizie sia maschili che femminili e talvolta ha meditato il suicidio. Ha lasciato pubblicazioni di viaggi - è noto il “Viaggio in Russia” - romanzi e poesie e anche lui non è uscito dagli schemi scontati dell’epoca in merito al giudizio sulla Calabria. In un iniziale lavoro ha infatti: «La Calabria assomiglia a tutto fuorché all’Italia», mentre in un secondo: «La Calabria è un vero mosaico, un abito d’Arlecchino, dove ogni piccola comunità ha mantenuto il suo colore locale, il suo carattere primitivo senza essere confusa con i suoi vicini».
Il 25 maggio 1812 De Custine è stato a Lungro e per questo paese e relativo territorio non ha mancato di porre l’attenzione, com’era naturale, alle miniere di sale e agli Albanesi. Il 27 si è spostato a Cosenza e da qui, via Paola, ha percorso la costa fino a Palmi. In tale cittadina è giunto alle 9 di sera del 9 giugno provenendo dalla plaga tropeana e la sua visione e quella degli immediati dintorni lo hanno letteralmente mandato in estasi.
Di seguito quanto ha sentito di esprimere in un’occasione, ma di occasioni se ne sono verificate più di una: «giardini profumati e la graziosa cittadina di Palmi, ai piedi di un’enorme roccia, quasi interamente nascosta sotto un bosco di castagni, completavano il quadro più dolce, più ricco, più pomposo che abbia mai catturato l’immaginazione di un pittore! I colori di un clima caldo gettato su questa scena, nel momento in cui la giornata stava per finire, mi hanno reso l’effetto di una visione. Ero di marmo, insensibile, lo stupore, l’ammirazione mi avevano sopraffatto! Non proverò più ciò che ho sentito questa sera: la sorpresa è stata parecchia; ed ora in poi è impossibile, finché vivrò, ricorderò con riconoscenza, con affetto le meraviglie della prima notte che ho visto nell’arrivare a Palmi … Ciò che ho provato è stato più che la vita. La mia anima era pervenuta alla mèta senza essere passata per la morte!». In altra addirittura dirà che «Napoli e le sue meraviglie sono tristi rispetto a Palmi! Non c’è punto afflizione, mania, malinconia, malattia dell’anima che possa resistere alla vista di questo Eliseo, di questo paradiso terrestre». Non solo, ma, mettendo in paragone Scilla e Palmi, eleverà di molto la bellezza di quest’ultima: la posizione di Scilla è «meno ridente e meno bella di quella di Palmi. Palmi mi ha riempito di ogni cosa e d’ora in poi penserò a questo luogo come si rimpiange qualcuno». Alquanto lusinghiera questa dichiarazione finale[I1.
Oltrepassate Bagnara e Scilla, De Custine si è poi trasferito a Reggio, dove è rimasto dal 14 al 23 giugno. Il 23 sarà ancora a Palmi via mare e salirà a piedi l’erta che dall’insenatura marina conduce ad essa. Ripreso il cammino il giorno seguente, pur costretto a spostarsi di qua e di là per trovare la strada, si è portato a Casalnuovo. Così riferisce in proposito: «alla fine di sei ore di marcia attraverso foreste d’ulivi e villaggi pittoreschi, arrivammo a Casal-Nuovo, piccola città situata ai piedi del monte Moleti, vicino all’Aspromonte». Eccolo di poi a Gerace, definita «mucchio di macerie». In essa si è dato al passeggio in compagnia del vicario del vescovo e di tre o quattro sacerdoti, che afferma: «mi sembravano i preti dei Racconti di La Fontaine o di Boccaccio».
Da Gerace discesa sul litorale ionico e arrivo a Rucello (Roccella) e Stilo, sulla quale così si sofferma: è «arroccato all’altezza del nido dell’aquila, senza sentieri, senza commercio, quasi senza terra, dimenticato dalla civiltà moderna, sul versante meridionale dell’Aspromonte». Via per Catanzaro, Rogliano, Cosenza e Tarsia. Per l’antica capitale dei Bruzi siffattamente tiene ad esprimersi: «ho provato un timore del quale mi ricorderò a lungo». Dopo Catanzaro, il 5 luglio si è fatto sotto a Castrovillari, dove ha dovuto trattenervisi in attesa di una carrozza che potesse trasferirlo a Napoli[2].
Nell’opera di De Custine riescono numerosi i particolari degni di nota in riferimento allo spostamento da un centro all’altro e alla loro descrizione, ma essa risulta ricca non soltanto di specifiche notazioni sull’aspetto fisico di paesi e contrade, anche di considerazioni sulla società. Non potendoci attardare su ogni aspetto, ci limitiamo a officiarne almeno due, il clima e la donna. Scrive sul primo: «una delle peculiarità della Calabria è la diversità dei suoi climi: vi arrampicate per cento piedi, superate una catena di colline, fate una lega, girate un promontorio, avete cambiato latitudine. Gli stranieri non possono credere a così tanta variabilità di temperatura nello stesso territorio. Sono abituato a viaggiare senza prendere alcuna precauzione; ma in Calabria mi sono pentito spesso di non avere un cappotto, poiché il passaggio dal freddo al caldo, dall’estate all’inverno è improvviso e frequente. D’estate c’è più bisogno di coprirsi al sud che al nord». E sull’altro: «le donne quasi non si vedono, rimangono rinchiuse tutto il giorno, e non escono che di notte. Tuttavia, abbiamo cenato una volta con la bella figlia del nostro ospite, che è uno dei personaggi più ricchi della città. Sua nuora è una giovane donna, molto candida e molto carina, la cui sensibilità non mi è sembrata esagerata. Essa non ha tratti così delicati come molti altri italiani. Ha schiacciato il suo cane in una porta, e mentre il corpo sanguinante del povero animale veniva portato via, la signora, che stava conversando, ha girato soltanto la testa per chiedere cosa stesse succedendo. Potrei sbagliarmi, ma preferirei meglio essere suo figlio o suo marito piuttosto che il suo cane»[3].
De Custine ha inserito le sue impressioni calabresi in “Lettres ecrites à diverses époques pendant des courses en Suisse, en Calabre, en Angleterre et en Ecosse”, edita a Parigi nel 1830 dalle Edizioni Vézard e uscita in contemporanea a Louvain chez F. Michel, Imprimeur-libraire de l’Universitè. La parte riguardante la Calabria tradotta in lingua italiana è apparsa inizialmente nel 1979 a Palermo presso Flaccovio a cura di Anna Maria Rubino Campini. La stessa però aveva già nel 1968 prodotto uno studio sul viaggiatore d’oltralpe e sui suoi viaggi. Si tratta di “Alla ricerca di Astolphe De Custine-Sei studi con documenti inediti” (Roma 1968, Edizioni di Storia e Letteratura, “Quaderni di cultura francese a cura della Fondazione Primoli”). Nel 1983 le Lettere sono state pubblicate a Diamante, quindi nel 2008 c’è stata l’edizione Rubbettino con la traduzione di Carlo Carlino. Quest’ultima è abbastanza accettabile, ma sovente il traduttore abbandona la costruzione letterale incappando a volte in evidenti errori.
Nato in Lorena nel 1790, è deceduto a Parigi nel 1857. Amante del girovagare, finiti sotto la ghigliottina il nonno e il padre, con la madre e i di lei amanti si è mosso per l’Europa. Omosessuale, ha coltivato amicizie sia maschili che femminili e talvolta ha meditato il suicidio. Ha lasciato pubblicazioni di viaggi - è noto il “Viaggio in Russia” - romanzi e poesie e anche lui non è uscito dagli schemi scontati dell’epoca in merito al giudizio sulla Calabria. In un iniziale lavoro ha infatti: «La Calabria assomiglia a tutto fuorché all’Italia», mentre in un secondo: «La Calabria è un vero mosaico, un abito d’Arlecchino, dove ogni piccola comunità ha mantenuto il suo colore locale, il suo carattere primitivo senza essere confusa con i suoi vicini».
Il 25 maggio 1812 De Custine è stato a Lungro e per questo paese e relativo territorio non ha mancato di porre l’attenzione, com’era naturale, alle miniere di sale e agli Albanesi. Il 27 si è spostato a Cosenza e da qui, via Paola, ha percorso la costa fino a Palmi. In tale cittadina è giunto alle 9 di sera del 9 giugno provenendo dalla plaga tropeana e la sua visione e quella degli immediati dintorni lo hanno letteralmente mandato in estasi.
Di seguito quanto ha sentito di esprimere in un’occasione, ma di occasioni se ne sono verificate più di una: «giardini profumati e la graziosa cittadina di Palmi, ai piedi di un’enorme roccia, quasi interamente nascosta sotto un bosco di castagni, completavano il quadro più dolce, più ricco, più pomposo che abbia mai catturato l’immaginazione di un pittore! I colori di un clima caldo gettato su questa scena, nel momento in cui la giornata stava per finire, mi hanno reso l’effetto di una visione. Ero di marmo, insensibile, lo stupore, l’ammirazione mi avevano sopraffatto! Non proverò più ciò che ho sentito questa sera: la sorpresa è stata parecchia; ed ora in poi è impossibile, finché vivrò, ricorderò con riconoscenza, con affetto le meraviglie della prima notte che ho visto nell’arrivare a Palmi … Ciò che ho provato è stato più che la vita. La mia anima era pervenuta alla mèta senza essere passata per la morte!». In altra addirittura dirà che «Napoli e le sue meraviglie sono tristi rispetto a Palmi! Non c’è punto afflizione, mania, malinconia, malattia dell’anima che possa resistere alla vista di questo Eliseo, di questo paradiso terrestre». Non solo, ma, mettendo in paragone Scilla e Palmi, eleverà di molto la bellezza di quest’ultima: la posizione di Scilla è «meno ridente e meno bella di quella di Palmi. Palmi mi ha riempito di ogni cosa e d’ora in poi penserò a questo luogo come si rimpiange qualcuno». Alquanto lusinghiera questa dichiarazione finale[I1.
Oltrepassate Bagnara e Scilla, De Custine si è poi trasferito a Reggio, dove è rimasto dal 14 al 23 giugno. Il 23 sarà ancora a Palmi via mare e salirà a piedi l’erta che dall’insenatura marina conduce ad essa. Ripreso il cammino il giorno seguente, pur costretto a spostarsi di qua e di là per trovare la strada, si è portato a Casalnuovo. Così riferisce in proposito: «alla fine di sei ore di marcia attraverso foreste d’ulivi e villaggi pittoreschi, arrivammo a Casal-Nuovo, piccola città situata ai piedi del monte Moleti, vicino all’Aspromonte». Eccolo di poi a Gerace, definita «mucchio di macerie». In essa si è dato al passeggio in compagnia del vicario del vescovo e di tre o quattro sacerdoti, che afferma: «mi sembravano i preti dei Racconti di La Fontaine o di Boccaccio».
Da Gerace discesa sul litorale ionico e arrivo a Rucello (Roccella) e Stilo, sulla quale così si sofferma: è «arroccato all’altezza del nido dell’aquila, senza sentieri, senza commercio, quasi senza terra, dimenticato dalla civiltà moderna, sul versante meridionale dell’Aspromonte». Via per Catanzaro, Rogliano, Cosenza e Tarsia. Per l’antica capitale dei Bruzi siffattamente tiene ad esprimersi: «ho provato un timore del quale mi ricorderò a lungo». Dopo Catanzaro, il 5 luglio si è fatto sotto a Castrovillari, dove ha dovuto trattenervisi in attesa di una carrozza che potesse trasferirlo a Napoli[2].
Nell’opera di De Custine riescono numerosi i particolari degni di nota in riferimento allo spostamento da un centro all’altro e alla loro descrizione, ma essa risulta ricca non soltanto di specifiche notazioni sull’aspetto fisico di paesi e contrade, anche di considerazioni sulla società. Non potendoci attardare su ogni aspetto, ci limitiamo a officiarne almeno due, il clima e la donna. Scrive sul primo: «una delle peculiarità della Calabria è la diversità dei suoi climi: vi arrampicate per cento piedi, superate una catena di colline, fate una lega, girate un promontorio, avete cambiato latitudine. Gli stranieri non possono credere a così tanta variabilità di temperatura nello stesso territorio. Sono abituato a viaggiare senza prendere alcuna precauzione; ma in Calabria mi sono pentito spesso di non avere un cappotto, poiché il passaggio dal freddo al caldo, dall’estate all’inverno è improvviso e frequente. D’estate c’è più bisogno di coprirsi al sud che al nord». E sull’altro: «le donne quasi non si vedono, rimangono rinchiuse tutto il giorno, e non escono che di notte. Tuttavia, abbiamo cenato una volta con la bella figlia del nostro ospite, che è uno dei personaggi più ricchi della città. Sua nuora è una giovane donna, molto candida e molto carina, la cui sensibilità non mi è sembrata esagerata. Essa non ha tratti così delicati come molti altri italiani. Ha schiacciato il suo cane in una porta, e mentre il corpo sanguinante del povero animale veniva portato via, la signora, che stava conversando, ha girato soltanto la testa per chiedere cosa stesse succedendo. Potrei sbagliarmi, ma preferirei meglio essere suo figlio o suo marito piuttosto che il suo cane»[3].
De Custine ha inserito le sue impressioni calabresi in “Lettres ecrites à diverses époques pendant des courses en Suisse, en Calabre, en Angleterre et en Ecosse”, edita a Parigi nel 1830 dalle Edizioni Vézard e uscita in contemporanea a Louvain chez F. Michel, Imprimeur-libraire de l’Universitè. La parte riguardante la Calabria tradotta in lingua italiana è apparsa inizialmente nel 1979 a Palermo presso Flaccovio a cura di Anna Maria Rubino Campini. La stessa però aveva già nel 1968 prodotto uno studio sul viaggiatore d’oltralpe e sui suoi viaggi. Si tratta di “Alla ricerca di Astolphe De Custine-Sei studi con documenti inediti” (Roma 1968, Edizioni di Storia e Letteratura, “Quaderni di cultura francese a cura della Fondazione Primoli”). Nel 1983 le Lettere sono state pubblicate a Diamante, quindi nel 2008 c’è stata l’edizione Rubbettino con la traduzione di Carlo Carlino. Quest’ultima è abbastanza accettabile, ma sovente il traduttore abbandona la costruzione letterale incappando a volte in evidenti errori.
Rocco Liberti
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[1] Astolphe De Custine, Lettres ecrites à diverses époques pendant des courses en Suisse, en Calabre, en Angleterre et en Ecosse, Paris, Ed. Vézard 1830, tome I, pp. 306, 326, 381-382, 383, 398, trad. dal francese; Id., Lettere dalla Calabria, trad. di Carlo Carlino, Rubbettino, Soveria Mannelli 2008, passim. Un’interessante saggio sulla figura di De Custine e le sue peregrinazioni è stato dato alle stampe da Anna Maria Rubino. È “Alla ricerca di Astolphe De Custine-Sei studi con documenti inediti”, Roma 1968, Edizioni di Storia e Letteratura, “Quaderni di cultura francese a cura della Fondazione Primoli”.
[2] De Custine, Lettres ecrites…, tome II, pp. 22, 25, 38, trad. Dal francese.
[3] De Custine, Lettres ecrites…, tome I, pp. 408, 417.
[2] De Custine, Lettres ecrites…, tome II, pp. 22, 25, 38, trad. Dal francese.
[3] De Custine, Lettres ecrites…, tome I, pp. 408, 417.