mercoledì 24 luglio 2024

A GIUGNETTO I BAGNI A BAGNARA! ( di Bruno Demasi )

     Lo sapevano tutti che Ciccio Piruni  non sapeva né leggere né scrivere, ma che era geniale nel farsi i conti a mente approfittandone per mandare avanti i propri affari e per imbrogliare in tutti i modi il prossimo. Era partito da zero prendendo una cabella di appena quattordici salme di olive in una timpa dove non scendevano nemmeno le capre, ma ce l’aveva fatta a guadagnare quel tanto che gli serviva per comprarsi subito una tuminata di uliveto abbandonato, da cui spremette pure il sangue riuscendo a mettere da parte il necessario per acquistare l’ anno dopo un altro pezzo di terreno. E così di anno in anno, risparmiando e faticando come un dannato , riuscì a comprare una miriade di piccolissimi appezzamenti dai quali allungava le mani per raccogliere anche molte olive dei confinanti. E quando sposò Peppa, figlia di un bovaro pieno di formaggio e di soldi, che gli portò in dote anche un bell’aranceto con orto e sorgiva di acqua, si sentì completo. Lavoravano entrambi come pazzi giorno e notte e man mano che si arricchivano, entrambi diventavano sempre più pesanti e tarchiati . In capo a pochi anni erano ormai proprietari di tanta roba e benestanti, ma Peppa era infelice e lo raccontava sempre al prete in confessione: primo e principio non tollerava più che suo marito venisse chiamato da tutti Ciccio e lei Peppa: c’erano tanti scalzacani morti di fame a Oppido che volevano essere chiamati con il diminuitivo in segno di rispetto… ; in secondo luogo non era più cosa che lei e il marito continuassero ad abitare in due bassi sormontati da due catambigghiari in un vicolo. E tanto fece, tanto non fece, che costrinse il marito a comprare una casa sulla strada larga, lasciando la stalla accuratamente fuori mano e fuori dalla vista della gente, nel vicolo. Contemporaneamente cominciò una vera e propria battaglia con chiunque pretendendo di essere chiamata almeno Peppina e intimando a tutti di chiamare il marito Ciccillo, anche se il diminuitivo e il vezzeggiativo facevano a pugni con la rispettiva mole dei due che li ingoffiva sempre di più, costringendoli a camminare a gambe larghe e col fiatone.

    Di fronte alla casa nuova c’era però il palazzotto di Don Titta e della moglie Donna Matirda, che faceva impazzire di invidia Peppina, tanto che, dopo appena un anno dall’ acquisto della seconda casa, pretese che Ciccillo la vendesse e comprasse e sistemasse un palazzetto che era stato messo in vendita nella stessa strada. Riassodato il primo cruccio – quello della casa – adesso che la famiglia viveva in un palazzo, bisognava essere chiamati come si conveniva, quindi Peppina iniziò una nuova crociata contro tutti pretendendo che da quel momento lei e il marito fossero chiamati rispettivamente Onna Peppina e Don Ciccillo. E fu inflessibile, specialmente con i parenti che, facendo finta di dimenticarsi, continuavano con insolenza ad apostrofarli con i vecchi nomi!

    Don Titta quando usciva dal suo palazzetto sfoggiava quasi sempre la cammisa nigara e i lucidissimi stivali altrettanto nigari, per cui donna Peppina cominciò una mattana col marito per costringerlo ad usare anche lui la stessa cammisa e gli stessi stivali, ma non ci fu verso: egli prima temporeggiò, poi rifiutò sacramentando che lui con quella gente non voleva assolutamente avere niente da fare e Onna Peppina a malincuore fu costretta a rassegnarsi.

    Un nuovo motivo di cruccio e di invidia però era in agguato: ogni anno, il primo giorno del mese di giugnetto, Don Titta e Donna Matirda caricavano il calesse con ogni ben di Dio e partivano per i bagni di sole e di sabbia calda sulla pilaja di Bagnara, dove affittavano una casa per tutto il mese. Era il momento in cui i dolori articolari di Onna Peppina si riacutizzavano in modo spaventoso e la povera donna era costretta a ferriare un giorno si e l’altro pure con tutta la sua mole dal proprio palazzo alla casa del medico , al negozio dello speziale e allo studio della Jenara, rinomata applicatrice di cataplasmi e stoppate di crusca al bianco d’uovo contro i dolori.

-  Dottore non ce la fazzo più, Voi non sapete che fuoco che ho nelle ossa specialmente quando sono coricata .
-   Benedetta donna - ondeggiava la testa il medico – è da più di un anno che ve lo dico: voi avete bisogno di bagni di sole e di sabbia bollente sulla pilaja !
-   Dottore! E chi lo dice a quella testa di scecco di mio marito che bada solo a faticare dalla mattina alla sera e a raccogliere soldi nel gruppo?
-  Fatelo venire qui con una scusa e glielo dico io – rispose il medico.
    Da quel momento i gemiti e i lamenti di Onna Peppina diventarono strazianti e frequentissimi, specialmente quando lei e il coniuge si mettevano pesantemente a letto e, quando una notte Don Ciccillo, approfittando di un momentaneo assopimento della consorte, cercò di accostarsi a lei con intenzione, facendole fare qualche movimento maldestro , questa esplose subito in pianti e urla altissime che le causarono il vommico. L’uomo, spaventato a morte, appena fece giorno uscì e si recò dal medico per riferire l’accaduto:
-  Ciccillo, vostra moglie è testarda assai: è da più di un anno che le dico che per curare i suoi dolori oramai non bastano più cataplasmi e stoppate: in queste situazioni non esiste altra medicina che il sole e la sabbia infuocata della pilaja del mare, ma lei come se niente fosse.
-  Veramente, dottore, lei è da un anno che m’appila di portarla a Bagnara, - disse l’uomo – ma non pensavo mai che la situazione fosse tanto grave.
-    E’ grave, anzi gravissima, - disse il medico, mettendo il carico da undici – e più tempo passa senza la cura di sole e di sabbia, più si aggrava, finchè non si potrà fare niente e si paralizzerà!
     L’uomo tornò a casa con gli occhi di fuori:
-    E va bene, ci dobbiamo sacrificare per andare a Bagnara! – disse alla moglie ancora storciuta dai  dolori e dal vommico - Vedi quello che devi preparare mentre io sistemo le mie cose. Con la prima di Giugnetto partiamo…
-    E come parti? Col fiato e con i pili? – insorse Onna Peppina – Prima devi andare a trovare una casa...
    Don Ciccillo due giorni dopo partì col carrozzino e la mula più grossa e forzuta. Rimase a Bagnara una notte e la sera successiva fu di ritorno stanchissimo e affamato, ma la moglie , prima di dargli da mangiare, pretese che le raccontasse per filo e per segno come erano andate le cose. L’uomo cercò di cavarsela evasivamente , ma Onna Peppina fu inflessibile e il marito fu costretto più volte a ricominciare il resoconto daccapo:

-   Appena arrivato a Bagnara, ho dato di lingua nella piazza e mi hanno indicato la casa di una bagnarota vedova e con una mandra di figli, che d’estate affitta la sua casa ai bagnanti e se ne va ad abitare con la famiglia in una barracca costruita a poca distanza. Mi ha fatto vedere la casa che è situata vicino alla ripa del mare e che è tutta terragna con due stanze. In una stanza c’è la fornacetta a legna e a carbone con buffetta e sedie e in più una piattera e una cristallera con stipo; nell’altra stanza un letto su quattro trispita , un lavamani con cannata, un casciabanco per la biancheria del letto e un altro per i vestimenti, ma una sola colonnetta con càntaro interno . Il prezzo è di quindici lire al giorno per tutte queste cose, se poi, invece di una, vogliamo due colonnette e due càntari e per il letto invece di quattro trispita ne vogliamo sei, il prezzo aumenta da quindici a diciotto lire al giorno, che per tutto il mese fa 558 lire. La grandissima caiorda, quando le ho detto che è un prezzo caro e che io un uomo nelle mie terre lo pago sette o al massimo otto lire per una giornata intera di lavoro , sai cosa mi ha risposto?.... Che lei se ne fotte quanto lo pago, che la casa è sua e che se vogliamo pisciare là dentro dobbiamo pagare quanto è giusto. In più, dato che ha capito che siamo possidenti di olivi, vuole un cafiso di olio buono che però ha detto che sconterà facendoci mbarrare gratis di racina zibibbo. 
-   E tu cosa hai risposto? – chiesa ansiosissima Onna Peppina che non stava più nella pelle.
-   Quando le ho detto che la somma mi sembrava alta, prima si è messa a fare voci e a grampinarsi la faccia con le unghie piangendo offesa, poi alla fine ci siamo aggiustati per 550 lire, comprese le due colonnette e i sei trispita per il letto. Mi disse però che a parte dobbiamo pagare la legna e il carbone per la fornacetta che ci porterà lei insieme al sale e a tutto quello che ci serve per mangiare; di non preoccuparci di portare quindi assolutamente niente, a parte l’olio, perchè se la vedrà lei: almeno piangiamo con un occhio: perdiamo da un lato e guadagniamo dall’altro con quella fetusa…

    Onna Peppina la sera del 30 di giugno si limitò a preparare da mangiare una cosa leggera solo per il viaggio e, quando la pignata di stocco e patate fu fredda , la sistemò dentro una cannistra insieme con fiaschi di acqua e di vino , mentre vestimenti e biancheria li riunì in due grandi trusce ngruppate e comunicò al marito che lei era pronta a partire l’indomani mattina prestissimo prima della partenza di Don Titta e di Donna Matirda che dovevano fare la stessa strada. Appena però don Ciccillo cominciò a caricare la roba sul carrozzino per non perdere poi tempo alla partenza, la moglie sbiancò in viso e si mise a fare voci altissime:
-   E che? Te lo devo dire io che non possiamo andare a Bagnara col carrozzino e con la mula? Prima e principio che chi ci vede scendere dal carrozzino ci prende per strascinafacende e pezzenti . E poi mi sai dire dove lo lasci il carrozzino per un mese? Davanti alla casa? E per la mula ti affitti pure una stalla? Non è cosa! O prendi una rotomobile di noleggio oppure fai venire Pirozzo col suo calesse!
Don Ciccillo non trovò nessuna rotomobile di noleggio e fu costretto per la partenza dell’indomani mattina presto ad andare ad avvisare Pirozzo che gliela fece subito difficile:
-  Ho il mozzo della ruota sinistra un po’ spanato e la jumenta malatizza di visceratura e non vorrei che succedesse qualcosa!
   Ma alle insistenze del cliente alla fine cedette e l’indomani mattina alle sette albe fu davanti al palazzetto di Don Ciccillo pronto a caricare la grande cannistra , le due trusce, i due cafisi pieni d’olio e i due voluminosi passeggeri che a malapena riuscirono a sedersi sulla panca del calesse. Partirono. Onna Peppina, per precauzione, oltre ai soldi portati dal marito nelle capaci tasche del gilè, aveva pensato bene di preparare una certa somma di riserva dentro un grande muccaturi più volte ngruppato e nascosto dentro l’enorme seno.

   Il viaggio procedette alacremente fino alle porte di Palmi, quando il conducente si dovette bruscamente fermare perché la ruota sinistra ballava la tarantella e tirava da una parte e perché la iumenta iniziava a impennarsi. Scese dal calesse e rabbonì la bestia che immediatamente spaparanzò a terra un carico maleodorante che fece rizzare i capelli a Don Ciccillo e a Onna Peppina, costretti scendere a loro volta. Mentre sosteneva con tutte le sue forze la ruota che sembrava pronta a staccarsi, Pirozzo affannato gridò: 
-  Ciccio! Muovetevi, datemi una mano….!
   Onna Peppina , sentendo quelle parole, non voleva credere alle proprie orecchie che le divennero infuocate per la rabbia e si mise a urlare:
-  E che? Avate mangiato nella stessa limba per chiamarlo in questo modo? Come vi permettete, Pirozzo?
L’uomo si mise a sacramentare imbestialito, mentre sopraggiungeva agile ed elegante il calesse di Don Titta e di Donna Matirda, che, superandoli, li salutarono, abbozzando un sorrisetto di compatimento…:
-   Se non mi aiutate, abbandono il calesse qui e me ne torno a casa con la jumenta e poi vediamo se mi permetto..!
    Don Ciccillo si diede da fare, sacramentanmdo anche lui, e dopo una buona ora riuscirono a rimettere a posto il mozzo della ruota e a rabbonire la cavalla che si decise a riprendere il viaggio. Onna Peppina, specialmente dopo aver visto Donna Matirda con l’ombrellino da sole e il sorrisino stampato sulla faccia, mozzicava amaro e non volle che si fermassero per consumare nemmeno un morzo di pane. Ci vollero ancora alcune ore di strada e tra giorno e scuro, come volle Dio, arrivarono a Bagnara, trovando ad attenderli davanti alla casa la bagnarota con le chiavi in mano visibilmente nervosa per il loro ritardo:
-  La caiorda vuole i soldi in anticipo! – sbottò don Ciccillo, mentre Onna Peppina squadrava la donna dalla testa ai piedi, scandalizzata per la stranezza della saia arricciatissima a fisarmonica lunga appena sotto il ginocchio e per il fatto che era scalza:
-  Bona venuta a voi! – esclamò dura la donna – Mi pareva che avevate sbagliato strada. Qui avete le chiavi . Se mi date i soldi della casa e il mio cafiso d’olio, vado subito a prendervi una fascina e del carbone per la fornacetta e qualche cosa da mangiare…
   Don Ciccillo si appartò e sacramentando le contò sulla mano 550 lire e, subito dopo che tutto il carico portato fu messo dentro il primo basso, cominciò a litigare e a fare voci con Pirozzo che pretendeva di avere almeno un compenso di 50 lire sia per il viaggio di andata e ritorno sia per parziale risarcimento della rottura del mozzo della ruota, che doveva essere cambiato. Inutilmente Onna Peppina gli faceva nzinga di parlare a bassa voce, Don Ciccillo tra la fame nera che aveva, il caldo e il nervosismo sembrava oramai mezzo pazzo e rossissimo in viso. Alla fine Pirozzo cedette per 40 lire e ripartì sacramentando, mentre i due coniugi stremati entravano finalmente in casa.
    Non passarono dieci minuti che si sentì bussare: era la bagnarota che, seguita da alcuni dei suoi figli scalzi e in fila indiana, era venuta a portare le provviste. In mano aveva un pagnocco biancastro di una mezza chilata , un grappolo di racina zibibbo e una mezza cartata di pasta secca; il primo figlio portava una cortara piena d’acqua per uso di sete e di cucina; il secondo un bagliolo d’acqua per comodo di lavamani; la terza due fascine di rami secchi; la quarta un panaro mezzo pieno di carbone; il quinto una chilata di grinzose patate vecchie e tre limoni quasi secchi.
    Il materiale venne scaricato in perfetto ordine in parte sulla buffetta, in parte sulla fornacetta e in parte a terra e i cinque figlioli uscirono in fila come erano entrati, mentre la loro madre restava in piedi con l’aria di aspettare qualcosa…
    Mentre Don Ciccillo guardava a bocca aperta tutta la scena, Onna Peppina dava fondo alle scarsissime energie che le erano rimaste e si rivolgeva alla donna: 
-  Grazie tante per l’incomodo, volete favorire a mangiare qualcosa con noi?
-  Noi abbiamo già mangiato. –  rispose piccata la bagnarota – Lo zibibbo, l’acqua e i limoni , che vi possono servire in caso di necessità di stomaco o di viscere, ve li regalo io. Per la pasta sono 2 lire ; per il pane 1 lira e mezza; per le patate 1 lira e mezza; 3 lire per le due fascine e 2 lire per il carbone. In totale 10 lire. E allungò significativamente la mano verso Don Ciccillo… che, rosso in viso, si guardò nella capace tasca santiando tra i denti…
-  Domani ci dite voi dove conviene cominciare a fare i bagni di sabbia e di sole ? – disse timidamente Onna Peppina…
-  Vi mando il mio figlio più grande a scavarvi la fossa nella rena alla mattina presto – rispose la bagnarota – così si cuoce bene al sole e quando arrivate voi è già pronta, ma cercate di non andare sulla pilaja con quelle saie lunghe fino ai piedi, noi qui non ne usiamo perché dobbiamo camminare e lavorare e fa molto caldo. Se volete una cammisa leggera al ginocchio per sotterrarvi nella rina calda, ve l’affitto io… Per lo scavo della fossa nella pilaja sono 2 lire al giorno per mio figlio e 1 lira per l’affitto della cammisa fino al ginocchio. Me le date ora o pagate domani mattina?
   Marito e moglie si guardarono sgomenti e Don Ciccillo, sbuffando sudore e fumo, disse che avrebbe consegnato 3 lire al giorno direttamente al ragazzo ogni mattina, mentre finalmente la donna usciva…
   Rimasti una buona volta soli, i due coniugi si gurdarono senza parlare, ma dopo un po’ Onna Peppina non ce la fece più a stare zitta e sbottò:
-  Almeno che dovevamo risparmiare sul mangiare…
    Don Ciccillo avvilito non rispose per non farla lunga, mentre si sedevano alla buffetta con una fame lupigna: Onna Peppina prese dalla cannistra la pignata piena di stocco e patate e la posò sulla buffetta, poi tagliò in quattro pezzi la mezza chilata di pane duro che aveva portato la bagnarota, mentre Don Ciccillo pescava dalla cannistra un fiasco di vino. Nel giro di appena quattro minuti nella pignata e sulla buffetta non restò niente, ma in compenso la fame ancora faceva udire i suoi morsi, che continuarono a farsi sentire quando si coricarono con molta circospezione sul letto i cui tre paia di trispita scricchiolavano paurosamente. Trattennero persino il fiato fino a quando non caddero entrambi in un sonno piombigno.

    Alle sette albe sentirono bussare e si svegliarono di soprassalto, accorgendosi con raccapriccio che, mentre tentavano di alzarsi, il letto continuava a ballare e a scricchiolare paurosamente: era una delle bambine della bagnarota che recava sulle braccine una cammisa bianca, larga e leggera per i bagni di sabbia di Onna Peppina.
-  Devi dire a tua madre – le intimò Don Ciccillo – che venga a parlare con me al più presto possibile!
    Non passarono nemmeno cinque minuti che la bagnarota arrivò col suo passo agile e silenzioso a piedi nudi e lo sguardo interrogativo.
-   Eravamo d’accordo per tre paia di trispita di ferro come Dio comanda sotto il letto, non per sei tenute leggere leggere che vanno naca naca e che da un momento all’altro pare che ti vogliono sacramentare a terra! – disse alterato Don Ciccillo - Qui ci vuole assolutamente almeno un altro paio di trispita!
-   E poi , per quanto riguarda il pane, - aggiunse timidamente Onna Peppina - quella mezza chilata che avete portato ieri sera non ci ha permesso nemmeno di fare “bacchiti” con quei quattro morza ed è subito finito. Vedete di portarne almeno un poco in più….!
-  Quanto ne volete? – rispose a tono la bagnarota – Vi basta una chilata o ne volete una chilata e mezza?
-  Almeno una chilata e mezza… – osservò a voce bassissima Onna Peppina.
-  Va bene, fra poco vi porto il pane e un altro paio di trispita per il letto; la fossa nella pilaja è già pronta e si sta cuocendo al sole: sono 2 lire al giorno per il lavoro di mio figlio per scavarla e poi per coprirvi quando vi sotterrate, 1 lira per l’affitto della cammisa da bagno, 1 lira e mezza in più al giorno per il quarto paio di trispita e 1 lira e mezza al giorno per il pane. In totale 180 lire per tutto il mese: preparatele e me le date appena torno così vi togliete il piccio di darmele alla spizzeca giorno per giorno…

    Alle otto di mattina, quando i coniugi uscirono di casa per recarsi alla pilaja, il sole campaniava. Don Ciccillo camminava dietro le spalle di Onna Peppina per ripararla da sguardi indiscreti perché quella fetusa di bagnarota le aveva affittato un cammisino troppo corto... L’enorme fossa nella rina era pronta e l’operaio che l’aveva scavata, un muccuso di nove o dieci anni annerito dal sole, li stava aspettando appoggiato alla vanga. La donna , essendo malatizza, fu fatta adagiare con ogni riguardo nella fossa, poi il picciotto si tolse dalla tasca un muccaturi lordo e annerito e glielo pose sul viso a mo’ di sudario per ripararla dalla polvere; quindi incominciò a vangarle sul corpo la sabbia già rovente fino a quando non la coprì tutta fino al collo. Ritirò il muccaturi , salutò e se ne andò.

   Don Ciccillo, riparato dal sole da una vecchia paglietta che aveva trovato attaccata a un chiodo dietro la porta, si gustava il panorama in silenzio, mentre sul viso rossissimo della moglie fiorivano subito gocce di sudore grosse quanto un uovo di piccione e ferriavano decine e decine di mosche. Verso le nove e mezza le chiese:
- Come ti senti? Almeno cominciano ad alleggiarti i dolori?
- Ca chi…!? – rispose con un filo di voce la donna – non vedi che sto morendo? Mi sento il fuoco in tutte le carni...
   Verso le dieci Onna Peppina in un lago di sudore , smuovendo di colpo una montagna di rina e mandando fumo dalle orecchie , chiese la mano per alzarsi. Sbandava e, solo appoggiandosi pesantemente al marito, riuscì a guadagnare la casa e a stendersi sul letto che ebbe un altro pauroso sussulto. Bussarono alla porta: era la bagnarota con un chilo e mezzo di pane in mano, seguita da due figli che portavano la nuova coppia di trispita e che fecero immediatamente alzare Onna Peppina per sistemare il letto, mentre la loro madre si rivolgeva a Don Ciccillo:
-   Per stasera vi porto pisciallogghio o tunnina? Il pisciallogghio viene 2 lire a libbra; la tunnina 1 lira e mezza.
-   Portate che catinazzo volete, ma portate qualcosa da mangiare perché ci state lasciando morti di fame –  rispose l’uomo.
- La paglietta del bonanima vi ripara dal sole?
-  Quale bonanima…? Disse Don Ciccillo impappinato.
-  Mio marito povirazzo. Vedova sugnu! Se la volete in affitto sono 50 centesimi al giorno, 15 lire per tutta la mesata e se me le date ora è meglio. Lo sapete che non mi piacciono le spizzeche, come ve lo devo cantare?
  Appena la bagnarota e i figli uscirono, Don Ciccillo cominciò una banda contro di lei, urlando frasi irripetibili, mentre la moglie lamentandosi e sbuffando, rossissima in viso e nelle carni cercava di accendere la fornacetta per bollire almeno due fila di pasta.

  I primi giorni passarono lentamente: Onna Peppina era diventata una vampa e , quando si sotterrava nella rina, doveva trattenere le urla di dolore per non darla vinta al marito e tanto meno a quella gatta alliffata di Donna Matirda che si metteva a pochi metri di distanza sulla spiaggia.
    Già dopo la prima settimana i soldi che aveva portato Don Ciccillo cominciavano a fagliare, anche se mangiavano pochissimo e solamente quello che voleva la fetusa della bagnarota, tanto che una sera l’uomo sacramentando uscì di casa come un pazzo alla ricerca di una bettola per comprare qualcosa, ma non trovò altro che una luppinara che per 5 lire gli riempì una grande cartata di luppino salato con cui lui e la moglie si riempirono la pancia mangiandone avidamente fino a sera tardi e svuotando una cortara d’acqua per la grandissima sete che si sviluppò. La notte si dovettero alzare varie volte per prendere ciascuno il proprio càntaro, con grande strepito e movimento di trispita e ancora una volta don Ciccillo dovette rinunciare ad accostarsi alla consorte, che ogni notte non sapeva più quale scusa trovare al marito per evitare movimenti falsi su quel letto che andava più naca naca di prima …
    Al nono giorno i soldi finirono completamente e Don Ciccillo non la smetteva più di imprecare contro la bagnarota mpama che li stava dissanguando:
-   Questa, se la lasciamo fare, ci spolpa pure l’osso darreto, è una sanguetta! – andava sparrasiando casa casa, mentre invano Onna Peppina cercava di calmarlo.
-  Bono, Ciccillo, ci vuole pacenzia. Siamo quasi a metà del mese e il tempo passa presto.
-  Si , e siamo senza mezza lira! Va a finire che devo andare da Don Titta per farmi un prestito…
-   Che non si dica mai !!! – rispose incaponita  e infuocatissima Onna Peppina – ho qualcosa io nella sacchetta del gippone, pigliala!
-  Ma almeno i catinazzi dei tuoi dolori ti sono alleggiati?
-  Di jorno pare che alleggiano, ma poi la notte tornano e sento un fuoco…
-  Se non ti passano pure la notte, quando torniamo a Oppido quel bastaso del medico mi sente…!

    La mattina dell’undicesimo giorno la bagnarota portò solo il pane e non più il solito grappolo di racina zibibbo. Alle richieste di spiegazioni di Don Ciccillo, rispose che aveva promesso che li avrebbe fatti mbarrare gratis di zibibbo e infatti gliene aveva portato ogni giorno per dieci giorni:
-   Se non vi siete mbarrati fino a ora, non vi mbarrate più! – E uscendo chiuse rumorosamente la porta alle sue spalle, mentre Don Ciccillo bestiammava ad altissima voce, lanciandole dietro una fascina.
-   Non è cosa – disse Onna Peppina – facciamoci furbi: il pane oramai è pagato per tutto il mese. D’ora in poi a mezzogiorno e la sera ci arrangiamo con un uovo fritto a testa e pane, sennò qui va a finire che ci vuole una banca…!
   Don Ciccillo, sempre più affamato, sputava veleno in continuazione e una notte, quando le si accostò nel letto, Onna Peppina non ebbe cuore di allontanarlo con una delle solite scuse. Non passarono però nemmeno tre minuti che si scatenò un terribile vituperio di rumori di ferro e di legno: pareva che fosse arrivato il terremoto…e si ritrovarono a terra in un finimondo di trispita, materassi aperti, lenzuola e coscina, che li costrinse a rimettere tutto a posto in un lago di sudore. Due trispita però risultarono irrimediabilmente danneggiati e piegati. E quando arrivò la bagnarota per portare il pane e glieli mostrarono, questa si accasciò a terra ululando e grampinandosi il viso:
- Che catinazzo avete fatto? Erano un ricordo della catananna!!! E ora chi me li paga?
- Portateli da un forgiaro e smettetela! – disse Don Ciccillo - Rispondo io!
- Ma quale forgiaro e forgiaro! – Obiettò la donna - Prima e principio che per un forgiaro bisogna andare a Scilla, e poi sapete quanto ci vuole per sistemarli come prima? Almeno 75 lire, fuoco che mi è venuto…!
   Onna Peppina, rovistando nervosamente nell’altra tasca del gippone, trovò le 75 lire e le consegnò alla donna insieme ai trispita rotti , mentre Don Ciccillo continuava a santiare:
-  Ma guarda tu che mi mbatte con questa caiorda: non solo ci ha costretto a pane e acqua, ora vuole pure farsi il letto nuovo a nostre spese! L’ avevo detto io che ci sta mangiando anche l’osso darreto…!

  Alla boa dei quindici giorni le cose cominciarono però a migliorare. Sembrava quasi un miracolo: Onna Peppina non si lamentava  come prima dei suoi dolori, Don Ciccillo quando vedeva la bagnarota non bestemmiava più, anzi quasi quasi sembrava che le sorridesse sotto i baffi…, il fuoco della sabbia rovente non si sa perché era diventato sopportabile e i materassi ormai adagiati a terra consentivano ai due coniugi di riposare senza più paura di precipitare. C’era solo una cosa che non quadrava a Onna Peppina: Don Ciccillo che, quando il letto era sui trispita, ogni notte la nsurtava, ora che il letto era al sicuro a terra  badava solo a dormire… Non era cosa…che catinazzo stava succedendo? 
    Una notte, mentre nel dormiveglia rivedeva la faccia che faceva prima il marito alla bagnarota e poi la confrontava con quella che le faceva adesso quando la mattina portava il pane, una luce improvvisa esplose violenta davanti ai suoi occhi e si alzò a sedere sul materasso con gli occhi sbarrati urlando con la mente contro una nemica invisibile:
- Fuoco che ti bruciasse come sta bruciando me!!! Ci hai pigliato tutto fino all’ultima lira e ora mi vuoi pigliare pure il marito?
   Si alzò come una furia mentre Don Ciccillo continuava a russare, raccolse tutto ciò che avevano in due trusce ngruppate, poi, appena fu alba, uscì come una furia, si recò nella barracca della bagnarota e quando questa si affacciò sulla porta le buttò addosso il cammisino che le aveva imprestato dicendole di girarsi perché voleva vedere come era fatta la sua saia… e le assestò una violentissima pedata nel didietro che fece ferriare a lungo la donna...Quindi si recò verso la piazza e cominciò a dare di lingua per un mezzo che li accompagnasse a Oppido. Appena lo trovò, si aggiustò sul prezzo, pagando in anticipo di più e non di meno, e andò a svegliare il marito che costrinse a montare sul calesse storciuto e insonnicchiato com’era. Partirono.

    Per strada l’uomo le domando’ come mai fossero partiti con otto giorni di anticipo, già regolarmente pagati alla bagnarota e Onna Peppina sibillinamente rispose:
-  Non solo i dolori sono alleggiati, ma sono scomparsi del tutto: una mano santa! Avevo fatto un voto alla Madonna Annunziata, che stanotte mi è venuta in sogno, e domani stesso lo devo sciogliere davanti al suo altare nella cattedrale di tavola!
-  Almeno i soldi di questi giorni che non ci godiamo noi – disse il marito – li ha avuti di bene con i suoi figli quella povera vedova che non abbiamo nemmeno salutato…
-  Stai parlando della bagnarota? – scattò infuocata Onna Peppina – Prima di partire sono andata io a salutarla e a ringraziarla come si meritava. Pure a nome tuo!
                                                                                                      
                                                                      Bruno Antonio Demasi