sabato 13 luglio 2024

QUANDO GLI EBREI PORTARONO LA MEDICINA NELLA " PIANA DI GIOIA TAURO " ( di Bruno Demasi)


 
 
Pensare che nell’attuale  Piana di Gioia Tauro , dove da parecchi anni ormai  la sanità  registra gravissime carenze, per non parlare di  nefandezze di ogni genere, già nel Medioevo ad opera delle minoranze ebraiche, si sviluppava  in modo mirabile l’arte medica, fa quasi impressione. Dirò meglio,  già nel IX e nel X secolo in queste contrade l’arte medica registrava livelli che oggi considereremmo di eccellenza, il che non ci inorgoglisce, anzi ci offende se pensiamo in quale baratro siamo piombati dopo tanti secoli...

   Due erano le attività peculiari cui si dedicavano gli Ebrei, come si legge nella “Vita” di San Nilo di Rossano: la mercatura  e la medicina. Mentre la prima però era quasi imposta dalla tradizionale situazione di marginalità sociale e religiosa in cui erano costretti a vivere, nella seconda essi brillavano ancora di più perchè essa era  frutto di una libera scelta sebbene non avulsa dal desiderio del guadagno.Non esercitavano infatti l’arte medica solo  per filantropia, gli Ebrei calabri, e tuttavia c’era nella loro attività un che di missionario e di elitario che in qualche modo li riscattava dal disprezzo di cui generalmente venivano coperti in un contesto che, pur avendo bisogno di loro, quasi li rifiutava...
 
  Antesignano e capostipite nell’arte medica era stato quel Donnolo Shabbetai, otrantino di origine, ma cresciuto e formato all’arte medica e  alla filosofia, a Rossano,dove già nell’anno 970 componeva il testo principe per la farmacologia, Il libro delle misture, come scrive Cesare Colafemmina nel suo stupendo contributo agli studi sugli Ebrei in Calabria pubblicato nel 1996 da Rubettino.
Non stiamo qui a chiederci se quest’opera di Shabbetai, ed altre che ne seguirono, fossero  mutuate da altri testi preesistenti, a noi interessa osservare intanto l’intelligenza fine dell’uomo e del medico e la sua capacità di divulgare in tutta la regione l’arte medico-farmacologica da lui coltivata e probabilmente  anche studiata ed appresa  su opere similari composte da   studiosi arabi o bizantini.
 
  Dall’epoca di Shabbetai ai documenti pubblicati da Colafemmina passano tuttavia  più o meno quattro secoli durante i quali evidentemente l’arte medica ( che purtroppo, come in ogni epoca, non è stata mai a corto di “clienti”)  continuò a crescere e a diffondersi, tanto che nel 1400, in piena epoca angioina e poi aragonese, si assiste già all’ uso modernissimo di sottoporre i medici ad un esame solo in seguito al quale il sovrano concede l’autorizzazione per l’esercizio dell’arte medica e farmacologica.
Scrive in proposito Vincenzo Villella nel suo recentissimo e monumentale studio "Ebrei di Calabria" (GrafichEditore 2024): " A Seminara è ricordata la famiglia del medico Lazzaro Sacerdote che agli inizi del 1400 si trasferì a Termini Imerese... Nel 1424 il medico Giuda Raffato di Seminara otteneva dal re Luigi III d'Angiò (1403-1434) l'autorizzazione ad esercitare la professione nel ducato di Calabria...Negli anni 1452-53 ottenevano la licenza dal re Alfonso gli speziali Mosè di Crotone,Aron de Marcadianni di Montalto, Leone da Oppido, Iohanan de Acuni da Strongoli...La presenza di medici e farmacisti ebrei...dava certamente prestigio alle varie comunità ebraiche locali...(pp.349-350)".
 
   Che  ben tre  luminari dell’arte medica  e farmacologica esercitassero quasi contemporaneamente la loro arte sulle contrade solcate dal Metauro-Marro è fatto molto significativo, ma  abitualmente trascurato dalla storiografia ufficiale ancora oggi tutta tesa a dipingere il nostro Sud come terra di nessuno e di selvaggi. Ed è a maggior ragione significativo poichè all’epoca la formazione dei medici non era cosa facile e di poco conto: si partiva da un lungo discepolato al seguito di un maestro per arrivare poi all’esame regolare e, solo dopo un tirocinio lunghissimo, all’autorizzazione del medico, che, oltre alle competenze diagnostiche, terapeutiche  e farmacologiche, doveva possedere inequivocabilmente l’arte dello scrivere appresa probabilmente in vere e proprie scuole rabbiniche esistenti in loco.

   Insomma l’arte medica ebraica anche al servizio della Cultura! Ma soprattutto l’arte e l'ingegno ebraici umilmente al servizio della Calabria e, nella fattispecie, di quel territorio oggi  semidisprezzato che  passa sotto l’appellativo fortemente banalizzante e riduttivo  di “Piana di Gioia Tauro”.